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sul Danubio col pianoforte: il concerto di Andrea Lucchesini
giovedì 24 gennaio 2013
L’Istituzione Universitaria dei Concerti è una delle
più antiche organizzazioni concertistiche italiane. Sviluppata dall’Università
La Sapienza, i suoi due appuntamenti settimanali (32 concerti questa stagione,
martedì sera e sabato pomeriggio) sono affollati da giovani sia per i prezzi
“politici” (ossia molto bassi) sia perché coniuga la grande classica con la
contemporanea (anche jazz, elettroacustica, live electronics). Ce ne occupiamo
meno di quanto meriti solamente a ragione della grande offerta musicale a Roma
e nel tentativo di seguire il resto d’Italia e i principali eventi stranieri.
Di grande rilievo, il viaggio musicale lungo il
Danubio, con tappe a Budapest e a Vienna, eseguito il 12 ed il 19 gennaio da
uno più apprezzati pianisti italiani di oggi, Andrea Lucchesini. La prima tappa
di questo viaggio è stata Budapest. Il pianista toscano ha preso
brevemente la parola per introdurre il concerto e ha poi lasciato che
fosse la musica a parlare. Dal punto di vista cronologico è stato un viaggio
a ritroso, perchè iniziato con l'autore più recente in programma, György Ligeti
(1923-2006), uno dei protagonisti della musica della seconda metà del ventesimo
secolo. Partito dall'eredità di Bela Bartók, Ligeti si accostò presto alla
dodecafonia per approdare infine agli sperimentalismi - elettronica,
poliritmia, micropolifonia - delle avanguardie musicali degli anni Sessanta e
Settanta. Nel periodo del regime comunista Ligeti mantenne un forte rapporto
con la più avanzata cultura europea, cui l'Ungheria apparteneva di diritto da
almeno un secolo, ma dovette pagare queste sue posizioni artistiche con un
lungo periodo di lontananza dalla sua patria. Di Ligeti si applaude “Musica
Ricercata” (1951/53), uno dei lavori fondamentali del suo periodo giovanile,
stato scelto da Stanley Kubrick per la colonna sonora di Eyes Wide Shut.
Con un salto indietro di alcuni decenni, Lucchesini
ha eseguito la Sonata di Bela Bartók (1881-1945), compositore
fondamentale della prima metà del Novecento, che partecipò da protagonista agli
sviluppi della musica europea della sua epoca, ma allo stesso tempo rimase
sempre profondamente legato alla sua terra e basò tutta la sua produzione
sull'attento e amorevole studio della musica magiara. La Sonata, scritta nel
1926, ha colpito per la severa concentrazione, la ricchezza di idee e la
violenza percussiva con cui è trattato lo strumento. Approdo inevitabile di
questo viaggio è Franz Liszt, di cui Lucchesini ha presentato la Sonata in si
minore (1852/53), opera di geniale audacia, formata da una sola grande campata,
senza la tradizionale divisione in movimenti: la più alta realizzazione
pianistica non solo di Liszt ma di tutta la seconda metà dell'Ottocento.
Nella seconda tappa, Lucchesini ha dovuto fare una
difficilissima scelta nello sterminato numero di musicisti che a Vienna
nacquero o operarono e alla fine ha deciso di soffermarsi su tre autori che
hanno dominato la musica dell'Ottocento e hanno anche dato un inestimabile
contributo di capolavori al pianoforte: Beethoven, Schubert e Brahms. Il concerto
è stato ha aperto il concerto con una raccolta di tre brani Franz
Schubert che appartengono alla prodigiosa fioritura di capolavori
dell'ultimo anno di vita del compositore, il 1828, quand'era ormai consapevole
della precocissima fine che lo attendeva. Furono scoperti soltanto quarant'anni
dopo da Johannes Brahms e pubblicati nel 1868, ma non hanno mai raggiunto la
celebrità di altre raccolte pianistiche di Schubert, come gli Impromtus op 90 e
op. 142, cui sono accostabili per la loro forma libera e il loro tono lirico,
con un'alternanza di momenti tranquilli e teneri e di presagi angosciosi. A
Schubert risponde idealmente Johannes Brahms, con i suoi 3 Intermezzi op.117.
Composti nel 1892 appartengono anch'essi all'ultima fase creativa del loro
autore. Brahms tornò a scrivere per il pianoforte dopo tredici anni e
riversò in quello che era il "suo" strumento un intimo diario
musicale un vero e proprio monologo interiore, che definì
"ninne-nanne della mia sofferenza".
Conclude il concerto Ludwig van Beethoven, con l'opera
più grandiosa della grande letteratura pianistica dell'Ottocento, la Sonata n.
29 in si bemolle maggiore op.106 "Hammerklavier", abbozzata nel 1817,
terminata solo dopo due anni e dedicata all'arciduca Rodolfo d'Austria, allievo
del compositore e uno dei suoi più grandi ammiratori. E’ uno degli ultimi
capolavori beethoveniani, titanico non soltanto per le sue proporzioni e per il
suo contenuto ma anche per la volontà di superamento dei limiti naturali
del pianoforte dell'epoca. Grande successo.
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