Il
Falstaff che vedremo alla Scala
L'opera è in cartellone
dal 15 gennaio al 12 febbraio, per la direzione musicale di Daniel Harding e la
regia di Robert Carsen
di Hans Sachs - 11 gennaio 2013 16:18 fonte Il Velino/AGV Roma
falstaff
Falstaff, capolavoro di un
ottuagenario, è il primo allestimento di un’opera verdiana che il Teatro alla
Scala presenta nell’anno del bicentenario, in co-produzione con la Royal Opera
House di Londra, la direzione musicale è affidata a Daniel Harding, la regia a
Robert Carsen. Il cast è di alto livello. È in scena dal 15 gennaio al 12
febbraio.
La
direzione musicale di Harding promette un ritmo veloce. Non mancheranno le gags
(previste dettagliatamente dal libretto) nella regia di Carsen, ma sarà molto
differente dalla precedente edizione scaligera (quella di Giorgio Strehler) che
è stata vista per decenni in vari teatri, e in diversi continenti. Una farsa in
musica attira anche un pubblico giovane, ma occorre tenere conto della vena di
melanconia della riflessione dell’ottantenne Verdi sugli stadi della vita e su
come coniugare, in ciascuno di essi, un differente modo di amare. Una vena
delicatissima che esplode unicamente nell’arioso "Va vecchio John".
Carsen
propone (ha detto) uno spettacolo originale, molto diverso da adattamenti e
attualizzazioni quali viste a Firenze alcuni anni fa per la regia di Luca Ronconi
(un rave party intriso di serena malinconia) e di quello proposto da Herbert
Wernicke a Aix en Provence (che si svolgeva quasi interamente in una stazione
ferroviaria in un’epoca imprecisata del Novecento). Siamo negli Anni Cinquanta
quando in una Gran Bretagna che si modernizzava il senso di appartenenza ad una
o ad un’altra classe sociale era molto forte. In questo contesto, ‘Falstaff’
diventa quasi una black comedy sul cambiamento generazione e sociale.
Si
riderà perché c’è tanta azione in scena anche se in buca è tutt’altra storia: è
davvero straordinario che una partitura scritta da un ottantenne che era stato
il protagonista assoluto del melodramma ottocentesco italiano ed europeo,
anticipi Puccini, Strauss e - perché no? - Janaceck. Non solo una rottura
definitiva con le forme melodiche tradizionali (aria, duetto, quartetto), ma
anche e soprattutto l’enfasi sul declamato - dunque, una legittimazione del
canto che prende vita direttamente dal significato della parola. Sottolinea,
poi, lo sguardo ironico di Verdi dalla prima all’ultima battuta.
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