giovedì 31 marzo 2016

Fast Forward Festival, il teatro musicale contemporaneo sbarca a Roma da Formiche 31 marzo



Fast Forward Festival, il teatro musicale contemporaneo sbarca a Roma
Fast Forward Festival, il teatro musicale contemporaneo sbarca a Roma
Roma tornerà al centro dell’arte contemporanea con il Fast Forward Festival. Dal 27 maggio al 9 giugno si terrà la prima edizione di questo festival internazionale di teatro musicale contemporaneo che porterà nella capitale una decina di spettacoli con nuovi linguaggi musicali e teatrali. Dalla musica alla danza, tutte le nuove forme di arte visiva e linguaggi digitali saranno presenti.
Presentato dal Teatro dell’Opera di Roma, a cura di Giorgio Battistelli, il Fast Forward Festival avrà sette scenari a Roma: il Teatro Costanzi, Teatro Argentina, Auditorium Parco della Musica, Teatro India, Teatro Nazionale, Teatro di Villa Torlonia e Villa Medici.
jean-pierre-drouet_foto-credit-jacky-joannes_low
pagina-da-la-passion-selon-sademystere-de-chambre-avec-tableux-vivants-di-sylvano-bussotti_edizioni-ricordi_8
proserpina_regia-di-valentina-carrasco_2
schwarz-auf-weiss_composizione-e-regia-di-heiner-goebbels
balnk-out_ideazione-e-regia-michel-van-der-aa
empty-moves_coreografia-angelin-preljocaj-1
jean-pierre-drouet_foto-credit-jacky-joannes_low
pagina-da-la-passion-selon-sademystere-de-chambre-avec-tableux-vivants-di-sylvano-bussotti_edizioni-ricordi_8
proserpina_regia-di-valentina-carrasco_2
schwarz-auf-weiss_composizione-e-regia-di-heiner-goebbels
balnk-out_ideazione-e-regia-michel-van-der-aa
empty-moves_coreografia-angelin-preljocaj-1
jean-pierre-drouet_foto-credit-jacky-joannes_low
pagina-da-la-passion-selon-sademystere-de-chambre-avec-tableux-vivants-di-sylvano-bussotti_edizioni-ricordi_8
In programma ci sarà “Schwarz auf Weiss” (Nero su Bianco) il 27 maggio, con il ritorno di Heiner Goebbels alla guida dell’Ensemble Modern di Francoforte; la prima opera teatrale di Sylvano Bussotti, “La Passion selon Sade”, il 28 maggio e la recente coreografia del maestro della danza contemporanea “Empty moves 1 – 2 – 3″ di Angelin Preljocaj il 30 maggio. Il 31 maggio invece sarà il momento di “Blank Out”, l’opera per soprano e video 3D di Michel van der Aa. I concerti del percussionista Jean-Pierre Drouet (3 giugno); quello del gruppo francese Ensemble Aleph (29 maggio); il progetto di Francesco Prode (1° giugno); la “traduzione in musica” dei Wall Drawings di Sol Lewitt per le percussioni dell’ Ensemble Dedalus (2 giugno) e il gruppo italiano Ars Ludi (2 giugno – ore 21) con “Il suono e il gesto”.
“Opera, teatro musicale, termini e definizioni che si sono dissolti attraverso esperienze che rappresentano diverse possibilità del teatro musicale del nostro tempo. Il teatro continua a essere una possibilità di andare oltre il suono… Il teatro, in tutte le sue accezioni, è la maniera con la quale la musica raddoppia se stessa, la sua efficacia, la sua ambizione e, contemporaneamente, si mette alla prova uscendo dai propri confini, esponendosi al confronto con un’altra dimensione espressiva e percettiva”, ha spiegato il maestro Giorgio Battistelli, direttore artistico del Teatro dell’Opera.
Hanno collaborato all’organizzazione del festival l’Accademia di Santa Cecilia, il Teatro di Roma, la Fondazione Musica per Roma e l’Accademia di Francia.
Con il Fast Forward Festival gli organizzatori sperano di collocare di nuovo Roma sullo stesso piano artistico contemporaneo delle grandi capitali europee.
Qui tutte le informazioni del festival
31/03/2016

mercoledì 30 marzo 2016

Benveniuto Cellini a Roma in Formiche mensile del 31 marzo

Palchi
e platee
di Beckmesser
Al pari degli altri lavori di Berlioz
per il teatro in musica, Benvenuto
Cellini è un’opera “maledetta”.
Berlioz venne senza dubbio
influenzato dal suo soggiorno a
Villa Medici come vincitore del
prestigioso Prix de Rome e dalla
lettura dell’autobiografia dell’artista
rinascimentale. Un’autobiografia
metabolizzata in modo molto
personale: Berlioz si riconosceva
in Cellini in quanto genio e sregolatezza
in un mondo in cui soltanto
pochi lo comprendevano, ma iniettava
una buona dose di autoironia
nei confronti sia di Cellini sia del
contorno: dalla burocrazia vaticana
ai sicofanti e questuanti che la
circondavano, al papa in persona.
Venne progettata inizialmente
come grand opéra in cinque atti,
poi come opéra comique in due
atti con parti recitate e numeri
musicali, ma debuttò infine il 10
settembre del 1838 come opéra
pura e semplice e tonfò miseramente
(pare anche a ragione
dell’inadeguatezza degli interpreti).
Venne riesumata da Listz per il
Teatro di Weimar. Poche le riprese
nell’Ottocento: in boemo a Praga,
in tedesco a Berlino, Strasburgo,
Vienna, Zurigo. Riappare in francese
nel 1913 per l’inaugurazione
del Théâtre de Champs-Elysées,
ma occorre aspettare sino agli
anni Sessanta perché ricominci
a circolare, spesso in versione
da concerto. In Italia si contano
soltanto tre edizioni sceniche: alla
Scala nel 1976 (importata da Covent
Garden), a Firenze nel 1987
e a Roma nel 1995.
Quali le barriere? In primo luogo,
la scelta dell’edizione da mettere
in scena: solo di recente, a cura
dell’editore Bärenreiter si dispone
di un’edizione critica della versione
che venne rappresentata a Parigi
nel 1838 (la più vicina alle intenzioni
di Berlioz). In secondo luogo,
le difficoltà musicali: un organico
orchestrale vastissimo, numerosi
solisti, un coro con ruolo primario,
danze e mimi. In terzo luogo,
la complessità di una messa in
scena in una Roma rinascimentale
nei giorni tra il carnevale e il
mercoledì delle ceneri, declinata
in luoghi noti come i palazzi
apostolici, piazza Colonna e il
Colosseo. Le difficoltà sceniche e
vocali imposero nel gennaio 1995
a Roma (regia di Gigi Proietti,
scene e costumi di Quirino Conti)
di dividere il lavoro in quattro atti,
con tre intervalli. Rendendo la
serata di proporzioni wagneriane:
l’opera iniziava alle 19 e terminava
dopo la mezzanotte. Nel 2007,
una produzione vista a Salisburgo
(ma successivamente in altri
teatri), la regia e le scene erano
state affidate a Philipp Stölzl,
noto soprattutto per i videoclip di
Madonna e di Mick Jagger.
Quindi, non c’era alcuna Roma
rinascimentale di cartapesta,
come nel memorabile allestimento
romano di Proietti-Conti, ma un
mondo tra il Metropolis di Fritz
Lang e le fantasie disneyane di
Biancaneve e i sette nani. Non
manca un pizzico di Mago di Oz.
Cellini viaggia in elicottero e papa
Clemente VII in coupé d’epoca
violetta, accompagnato da prelati
e guardie svizzere che si muovono
come caricature dei gay. Il tesoriere
dello Stato pontificio è un
ragioniere generale da operetta.
E via discorrendo.
Nel quadro del forte rinnovamento
che sta promuovendo l’attuale
management, il Teatro dell’Opera
di Roma ha riproposto il lavoro in
un allestimento di Terry Gilliam,
unico membro americano dei
Monty Python e principale autoreanimatore
di cartoni animati
surreali. Ne fa un capolavoro di
teatro in musica moderno, anzi
modernissimo, pieno di brio e
satira, anche grazie alle scene di
Rae Smith (ispirate alle stampe di
Piranesi) e ai costumi sgargianti
di Katrina Lindsay. Di livello la
direzione musicale di Roberto Abbado.
Ottimi orchestra e coro nella
spericolata partitura di Berlioz.
Nel bravo cast, brillano John
Osborn e Mariangela Sicilia.
Spettacolo esemplare per portare
pubblico nuovo all’opera.

L'Europa non ha bisogno di agiografie in Formiche mensile 31 marzo

OEconomicus
di Giuseppe Pennisi
Economista e presidente
del board scientifico
del Centro studi ImpresaLavoro
“Beato il Paese che non ha
bisogno di eroi!”. È una celebre
battuta di Vita di Galileo di Bertolt
Brecht. Si potrebbe parafrasare in
queste settimane in cui l’Unione
europea sembra avere perso
un’identità: è alle prese con un
referendum in Gran Bretagna che
potrebbe significare l’uscita del
Regno Unito dall’Ue; al tempo
stesso, è tutt’altro che certo che
la Repubblica ellenica riesca a
mantenere gli impegni assunti con
i partner Ue per essere tenuta a
galla e, se possibile, avviata verso
un percorso di risanamento e crescita,
tanto da impedirle di essere
messa alla porta; la pressione delle
migrazioni mette a repentaglio
la libera circolazione dei lavoratori,
e i movimenti populisti antieuropeisti,
e in particolare contrari al
mantenimento dell’unione monetaria,
acquistano vigore.
Pare una parafrasi di Brecht il titolo
di un saggio di Yannis Karagiannis
– The origins of the common
market: political economy versus
hagiography – dell’Istituto di
Barcellona di Studi internazionali,
apparso sull’ultimo numero
del Journal of common market
studies, una delle più antiche e
qualificate riviste sull’integrazione
europea. In effetti, la storiografia
dell’Ue pone enfasi sul disegno
di un gruppo di leader degli anni
Cinquanta. L’analisi documentaria
di Karagiannis dimostra che avevano
obiettivi più ristretti di quelli del
federalista Manifesto di Ventotene:
pensavano a un’unione funzionalista
degli Stati che si bagnavano
sulle due rive del Reno e di pochissimi
altri; utilizzando insieme
risorse comuni per l’industria pesante
e liberalizzando i commerci
(con l’eccezione dell’agricoltura)
si sarebbero impedite nuove
guerre tra Francia e Germania che
avevano insanguinato l’Europa per
decenni.
Le idee di Monnet, che era stato
a lungo commissario al Piano
in Francia, erano tecnocratiche.
Schuman, Adenauer e De Gasperi
diedero loro un manto politico.
Tuttavia, l’unica politica comune
allora immaginata – su richiesta di
Parigi – era quella agricola, per il
peso che il settore aveva in Francia
e per la forma particolare di
protezionismo francese del comparto.
Nessuno di loro pensava a
un’Ue a 28 Stati o a una moneta
unica. Unitamente, De Gaulle
parlava di “un’Europa dall’Atlantico
agli Urali”, un accordo molto flessibile
e in funzione di quello che il
presidente francese pensava fosse
un modo di equilibrare quello che
considerava lo strapotere degli
Usa. Il resto, sostiene Karagiannis,
è “euromitologia”.
In questa ottica, gli acciacchi e
i guai dell’Ue sono una piccola
cosa. Anzi, potrebbero servire
ad andare verso un modello più
flessibile e più vicino a quello concepito
dai padri fondatori. Sembra
dirlo anche il lavoro di un’europeista
convinta, Raffaella Del Sarto,
dell’Istituto universitario europeo
di Fiesole. In un lavoro dedicato
essenzialmente alle relazioni
dell’Ue con la sponda inferiore del
Mediterraneo, critica severamente
le concezioni normative dell’Ue e
del suo ruolo internazionale che
dominano la letteratura corrente in
materia di studi europei. “La concettualizzazione
dell’Ue – un’entità
vasta, in continua espansione
e senza chiare frontiere – come
una sorta di impero, sembra fare
da pontiere tra varie teorie del
diritto e delle relazioni internazionali
e offre una spiegazione per
il comportamento dell’Ue verso i
suoi vicini. Tuttavia, attraverso il
trasferimento di regole e prassi
oltre i suoi confini, l’Ue indulge in
politiche normative che servono
principalmente l’Ue medesima
e i suoi Stati membri” e “che le
danno un’identità normativa”.
Un’Europa senza agiografia sarebbe
più semplice e più efficace. E,
quindi, più forte.

Terry Gilliam va all’opera. Ma senza troppa fantasia in Artribune 30 marzo



Terry Gilliam va all’opera. Ma senza troppa fantasia
Se ad allestire un’opera c’è un nome come quello di Terry Gilliam, è normale che ci si aspetti una gran fantasia. E invece a Roma è andata in scena una delusione. Vi raccontiamo perché.
Scritto da Giuseppe Pennisi | mercoledì, 30 marzo 2016 · 0 
http://www.artribune.com/wp-content/plugins/cleanprint-lt/images/CleanPrintBtn_gray_small.pnghttp://www.artribune.com/wp-content/plugins/cleanprint-lt/images/PdfBtn_gray_small.pnghttp://www.artribune.com/wp-content/plugins/cleanprint-lt/images/EmailBtn_gray_small.png

Benvenuto Cellini - regia di Terry Gilliam - photo ®Yasuko Kageyama - Opera di Roma
Benvenuto Cellini – regia di Terry Gilliam – photo ®Yasuko Kageyama – Opera di Roma
BERLIOZ A VILLA MEDICI
Il 22 marzo è sbarcato a Roma Benvenuto Cellini di Hector Berlioz. Opera “romana” per eccellenza (tutti conoscono il “carnevale romano” del secondo atto, poiché spesso eseguito in programmi concertistici), è solamente la seconda volta che appare sul palcoscenico della Capitale. Molte attese per l’allestimento di Terry Gilliam, unico membro americano dei Monty Python e principale autore-animatore di cartoni animati surreali. Le scene di Rae Smith sono ispirate alle stampe di Piranesi e i costumi di Katrina Lindsay sono atemporali e sgargianti. Dirige Roberto Abbado.
Al pari di altri lavori di Berlioz per il teatro in musica, Benvenuto Cellini è un’opera “maledetta”. Berlioz venne senza dubbio influenzato dal suo soggiorno a Villa Medici come vincitore del prestigioso Prix de Rome e dalla lettura dell’autobiografia dell’artista rinascimentale. Un’autobiografia metabolizzata in modo molto personale: Berlioz si riconosceva in Cellini in quanto artista unico in un mondo in cui soltanto pochi lo comprendevano, ma iniettava una buona dose di autoironia nei confronti sia di Cellini sia del contorno – dalla burocrazia vaticana ai sicofanti e questuanti che la circondavano, al Papa in persona.
(S)FORTUNA CRITICA DELL’OPERA
Venne progettata inizialmente come grand opéra in cinque atti, poi come opéra comique in due atti con parti recitate e numeri musicali, ma debuttò infine il 10 settembre del 1838 come opéra lyrique pura e semplice e tonfò miseramente (pare anche a ragione dell’inadeguatezza degli interpreti). Venne riesumata da Listz per il Teatro di Weimar.
Poche le riprese nell’Ottocento: in boemo a Praga, in tedesco a Berlino, Strasburgo, Vienna, Zurigo. Riappare in francese nel 1913 per l’inaugurazione del Théâtre de Champs-Elysées, ma occorre aspettare sino agli Anni Sessanta perché ricominci a circolare, spesso in versione da concerto. In Italia si contano soltanto tre edizioni sceniche: alla Scala nel 1976 (importata da Covent Garden), a Firenze nel 1987 e a Roma nel 1995.
Inoltre, solo di recente si dispone di un’edizione critica, a cura dell’editore Bärenreiter, della versione che venne rappresentata a Parigi nel 1838 (la più vicina alle intenzioni di Berlioz). Ci sono, poi, enormi difficoltà di allestimento: un organico orchestrale vastissimo, numerosi solisti, un coro con ruolo primario, danze e mimi.
Benvenuto Cellini - regia di Terry Gilliam - photo ®Yasuko Kageyama - Opera di Roma
Benvenuto Cellini – regia di Terry Gilliam – photo ®Yasuko Kageyama – Opera di Roma
QUANDO ALLA REGIA C’ERA GIGI PROIETTI
Benvenuto Cellini richiede un organico orchestrale enorme, dieci solisti, due cori, ballerini, mimi. Le difficoltà sceniche e vocali imposero nel gennaio 1995 a Roma (regia di Gigi Proietti, scene e costumi di Quirino Conti) di dividere il lavoro in quattro atti, con tre intervalli. Rendendo la serata di proporzioni wagneriane: l’opera iniziava alle 19 e terminava dopo la mezzanotte. Era un’edizione di grande eleganza decisamente ambientata nella Roma rinascimentale di Clemente VII, con riproduzioni puntuali dei Sacri Palazzi Apostolici, piazza Colonna, i borghi dove c’è l’atelier dello scultore all’interno del Colosseo.
Molto differente l’allestimento che ha debuttato a Salisburgo nel 2007 e che si è visto anche a San Pietroburgo e a Parigi. L’allestimento è stato progettato per il tenore americano Neil Shicoff, idolo dell’Opera di Vienna, tanto che, suscitando non poche polemiche, il Cancelliere austriaco avrebbe voluto chiamarlo alla Sovrintendenza. Il tenore, però, si è ammalato ed è stato sostituito dal giovane, e valente, Fritz Burkhard.
GAY E TRAVET
Regia e scene sono state affidate Philipp Stőlzl, noto soprattutto per i videoclip di Madonna e Mick Jagger. Quindi non c’è alcuna Roma rinascimentale di cartapesta come nel memorabile allestimento romano di Proietti-Conti, ma siamo in un mondo tra la Metropolis di Fritz Lang e le fantasie disneyane dei tempi di Biancavene e i sette nani. Non manca un pizzico di Mago di Oz. Cellini viaggia in elicottero e Papa Clemente VII in coupé d’epoca violetta, accompagnato da prelati e guardie svizzere che si muovono come caricature gay. Il tesoriere dello Stato Pontificio è un ragioniere generale da operetta. Fieramosca un travet in mezze maniche. Ascanio, il braccio destro di Cellini, un robot che canta la grande aria Mais qu’ai-je donc con la testa staccata dal resto del corpo. E via discorrendo.
L’appartamento del tesoriere ha un’enorme terrazza da cui si ammirano grattacieli, dischi volanti, aeromobili di vario tipo e fuochi d’artificio come se si fosse alla festa di Piedigrotta. Piazza Colonna (dove avviene la scena centrale del carnevale) sembra tratta da un film dell’espressionismo tedesco Anni Venti; è attraversata da treni metropolitani a più livelli, mentre si svolge il teatro nel teatro, la sommossa, il duello e quant’altro. Il Colosseo è un’enorme fucina postmoderna dove non mancano fuoco e scintille.
Secondo alcuni critici, questo allestimento avrebbe estasiato Berlioz. Indubbiamente, viene accentuato il “comique” Ma c’è già tanta ironia in Berlioz e nei suoi librettisti (nei confronti del potere, della burocrazia e della stessa idea iper-romantica dell’eroismo) che le trovate di Stőlzl e dei suoi collaboratori non solo sono eccessive ma distolgono da un ironico che tanto più morde quanto più è delicato
Benvenuto Cellini - regia di Terry Gilliam - photo ®Yasuko Kageyama - Opera di Roma
Benvenuto Cellini – regia di Terry Gilliam – photo ®Yasuko Kageyama – Opera di Roma
TUTTO BENE, FORSE TROPPO
Nelle mani di Gilliam, l’opera non è più datata nella Roma rinascimentale ma diventa una parabola del “genio e sregolatezza” dell’artista. Un’introspezione autobiografica, anche se surreale, non necessita un apparato monumentale. In effetti, la scena è un contenitore unico, ispirato alle stampe di Piranesi, integrato da diapositive e attrezzeria. L’azione (secondo le indicazioni dei costumi) è spostato alla fine della prima metà dell’Ottocento, ossia all’epoca della prima assoluta.
Nella scena del Carnevale l’intero teatro è coinvolto con sfilate di maschere in platea e coriandoli lanciati dai palchi. Grande attenzione alla recitazione, che è perfetta, e ai movimenti delle masse corali, anch’essi ineccepibili. Per sveltire gli aspetti teatrali, interrotti da un unico intervallo, alla partitura viene operato qualche piccolo taglio, di cui si possono essere accorti unicamente gli specialisti e che, in ogni caso, giovano anche agli aspetti musicali (liberandoli di ridondanze).
In breve, Gilliam e la sua squadra fanno sì che ambiente, colori, tinte non siano unicamente o principalmente sfondo, ma diventino uno dei protagonisti dell’opera. Ci si aspettava però maggiore fantasia e uno spirito più dissacrante.
Giuseppe Pennisi
Benvenuto Cellini - regia di Terry Gilliam - photo ®Yasuko Kageyama - Opera di Roma
Benvenuto Cellini - regia di Terry Gilliam - photo ®Yasuko Kageyama - Opera di Roma
Benvenuto Cellini - regia di Terry Gilliam - photo ®Yasuko Kageyama - Opera di Roma
Benvenuto Cellini - regia di Terry Gilliam - photo ®Yasuko Kageyama - Opera di Roma
Benvenuto Cellini - regia di Terry Gilliam - photo ®Yasuko Kageyama - Opera di Roma

Dai salotti a Dante in Tempi 30 marzo



Dai salotti a Dante
Invia per EmailStampa
marzo 30, 2016 Giuseppe Pennisi
Il festival annuale del Centre de Musique Romantique Française si svolgerà dall’8 marzo al 15 maggio a Venezia e sarà imperniato su Benjamin Godard
Benjamin_GodardQuest’anno il festival annuale del Centre de Musique Romantique Française, emanazione di una fondazione di ricerca interamente privata, si svolgerà dall’8 marzo al 15 maggio a Palazzetto Bru Zane di Venezia e sarà imperniato sulla figura di Benjamin Godard. Si è avuto un anticipo a Parigi ed a Monaco, dove è stata eseguita in forma di concerto la sua opera Dante ripresa dai canali culturali delle maggiori televisioni.
Chi è stato Godard? E quale la sua importanza nella storia della musica?Nato nel 1849, enfant prodige del violino, allievo di Richard Hammer e di Henri Vieuxtemps, Benjamin Godard entra al Conservatorio parigino, ove studia composizione sotto la guida di Henri Reber. Viene respinto due volte al concorso del prix de Rome, ma ciò nonostante svolge un ruolo attivo nella vita musicale francese dell’inizio della Terza Repubblica: strumentista di vaglia, Godard suona in un quartetto, e i suoi pezzi per pianoforte e le sue mélodies riscuotono un sicuro successo nei salotti. È anche direttore d’orchestra; in questa veste, rivitalizza l’attività dei concerti Pasdeloup e fonda la Société des concerts modernes. Nel 1887 è chiamato a insegnare al Conservatorio di Parigi, ove diviene titolare del corso di musica d’insieme. Il suo catalogo, comprendente circa 200 numeri d’opus, tocca tutti i generi, tranne la musica sacra: sei opere, tra cui Jocelyn (1888) e La Vivandière (1895), rimasta incompiuta, che conobbe un grande successo postumo; numerosi pezzi per orchestra, tra cui varie sinfonie a programma (in particolare, la Symphonie légendaire con cori, e Le Tasse, sinfonia drammatica con solisti e cori che gli valse il Prix de la Ville de Paris nel 1878); parecchi concerti e brani di musica da camera, nonché un’abbondante produzione di mélodies e di musica per pianoforte.
Lo stile di Godard, alla maniera del classicismo romantico di Mendelssohn, rimane tradizionale, pur traendo spunto da ispirazioni fortemente complementari (esotismo, regionalismo, musica anticarivisitata); peraltro, il compositore manifestò apertamente il proprio disinteresse per lo stile wagneriano. La sua carriera si interruppe prematuramente: di salute cagionevole, Godard è costretto a lasciare Parigi per trasferirsi a Cannes, dove muore nel 1895 a soli 46 anni.
Rari sono i compositori che hanno saputo padroneggiare con altrettanto virtuosismo il violino e il pianoforte, ossia i due strumenti principe del secolo romantico. Di conseguenza il concerto, cavallo di battaglia dei virtuosi, è ampiamente rappresentato nel corpus dei lavori di Godard. Non fu soltanto grazie all’allettante sottotitolo di «romantique» che il suo Concerto op. 35 ottenne una certa fama: nella tradizione del concerto «brillante» degli anni Trenta dell’Ottocento, il solista sottomette l’orchestra al giogo di un archetto fremente quanto vendicativo. Nel Concerto per pianoforte n. 1, viceversa, il solista dialoga sottilmente con l’orchestra; tale ambizione sinfonica si nota anche nella suddivisione in quattro movimenti – invece di tre – di questo lavoro, che meriterebbe di ritrovare posto nelle sale da concerto. Violino e pianoforte sono quindi al centro della produzione da camera di Godard, che si tratti di sonate di ampio respiro (come la Sonate fantastique per pianoforte) o di vivaci miniature per strumenti solisti, oppure associati ad altri, in trii o quartetti. fantastique pour piano, en particulier), de piquantes miniatures en solistes ou associés à d’autres instruments, en trio ou quatuor.
Lontano dal contrappunto scolastico e dagli obblighi politici, Godard sembra lasciarsi cogliere da ispirazioni furtive, frutto di una cultura borghese pienamente assimilata; ne derivano quindi numerosi pezzi tematici e mélodies capaci di far vibrare l’intimo sentimentalismo del suo pubblico (Rêve vécu e Solitude per pianoforte, o Les Larmes e Veux-tu? per voce e tastiera). Godard coltiva anche il colore pittoresco, sia regionale (En plein air per violino e pianoforte) sia esotico (la Symphonie orientale tocca, una dopo l’altra, l’Arabia, la Cina, la Grecia, la Persia e la Turchia). Si dedica ai generi tradizionali,ma aggiungendovi un tocco di poesia.
Cesellatore di miniature nelle sue numerose mélodies, Godard ama anche la grandiosità che un’opera lirica di ampie proporzioni permette di dispiegare.Le opere costituiscono perciò un aspetto importante della personalità del compositore, che qui depone il pennello dell’acquerellista per dipingere grandi affreschi di soggetto epico.. Con Le Tasse, Godard, appena ventinovenne,raggiunge il proprio apice; Les Guelfes, tuttavia, non saranno da meno (ma non furono rappresentati in vita del compositore), e neanche Pedro de Zalamea.
Sembra però che i libretti non fossero all’altezza della musica. Jocelyn resta il suo maggior successo, grazie a una ninnananna aggiunta in un secondo momento e divenuta il canto del cigno di Godard. Il soggetto rivoluzionario, allora in voga,assecondava il sentimentalismo dell’opéra-comique di carattere storico. Dante ricorda sia Le Tasse, per gli echi italianizzanti, sia Les Guelfes per il tema politico.La prima rappresentazione all’Opéra-Comique fu guastata da una scenografia misera che non rendeva giustizia all’opera, che nondimeno era di ampio respiro; vi abbondano le arie, molte delle quali avrebbero grande successo anche oggi.
Infine, La Vivandière – una rievocazione della Rivoluzione (in questo caso, l’insurrezione della Vandea), completata da Paul Vidal – divenne un gioiello del repertorio dell’Opéra-Comique prima della Prima guerra mondiale, anche se purtroppo Godard non ne conobbe il successo.