OPERA/ Il ciclone
"Benvenuto Cellini" di Berlioz travolge il pubblico romano
Pubblicazione:
giovedì 24 marzo 2016
Marco Spotti interpreta il Papa. Foto di Yasuko Kageyama
NEWS Musica
Grande
successo a Roma il 22 marzo alla prima di Benvenuto Cellini di Hector
Berlioz. Dopo tre e ore mezzo divise da un unico intervallo, ci sono stati
quindici minuti di ovazioni; nel corso dello spettacolo, c’erano stati applausi
a scena aperta dopo i principali numeri musicali. Pubblico non solo di
abbonati, ma anche di giovani, attratti dalla nuova politica del Teatro
dell’Opera di facilitazioni per attrarre un nuovo pubblico. Eppure, Benvenuto
Cellini è un lavoro quasi sconosciuto opera di ambientazione romana
per eccellenza (nei giorni tra il Carnevale e il Venerdì delle Ceneri , in luoghi
come i Palazzi Vaticani e Piazza Colonna) è solo la seconda volta che viene
messa in scena nella capitale.
Al pari di
altri lavori di Berlioz per il teatro in musica, Benvenuto Cellini è
un’opera “maledetta”. Berlioz venne senza dubbio influenzato dal suo soggiorno
a Villa Medici come vincitore del prestigioso “Prix de Rome” e dalla lettura
dell’autobiografia dell’artista rinascimentale. L’opera è
soprattutto un’autobiografia metabolizzata in modo molto personale:
Berlioz si riconosceva in Cellini in quanto ‘genio e sregolatezza’ , artista
unico in un mondo in cui soltanto pochi lo comprendevano, ma iniettava una
buona dose di autoironia nei confronti sia di Cellini sia del contorno – dalla
burocrazia vaticana, ai sicofanti e questuanti che la circondavano, al Papa in
persona.
Venne
progettata inizialmente comegrand opéra in cinque atti, poi come opéra
comique in due atti con parti recitate e numeri musicali, ma debuttò infine
il 10 settembre del 1838 come opéra lyrique e tonfò miseramente
(pare anche a ragione dell’inadeguatezza degli interpreti). Venne riesumata da
Listz per il Teatro di Weimar Poche le riprese nell’Ottocento: in boemo a
Praga, in tedesco a Berlino, Strasburgo, Vienna, Zurigo).
Riappare in
francese nel 1913 per l’inaugurazione del Théâtre de Champs-Elysées ma occorre
aspettare sino agli Anni Sessanta perché ricominci a circolare, spesso in
versione da concerto. In Italia si contano soltanto tre edizioni sceniche: alla
Scala nel 1976 (importata da Covent Garden), a Firenze nel 1987 ed a Roma nel
1995. Si noti che nella ‘Histoire de la Musique’ del musicologo francese Lucien
Rebatet e nella ‘Storia della Musica’ del musicologo tedesco Friedrich Blume
non viene neanche menzionata e nell’enciclopedia dell’opera lirica di Gustav
Kobbé (un classico del settore) le vengono dedicate poche righe che,
essenzialmente, riassumono la trama.
Solo di
recente si dispone di una edizione critica, a cura dell’editore Bärenreiter,
della versione che venne rappresentata a Parigi nel 1838 (la più vicina alle intenzioni
di Berlioz). Indubbiamente, come rileva il musicologo inglese D. Keen Holoman,
è un’opera imperfetta caratterizzata da un secondo atto ‘clumsy’ (goffo, anche
musicalmente) dopo una prima parte piena di idee, energia, esuberanza, colori.
Aveva
essenzialmente ragione Fedele D’Amico: ‘il Benvenuto Cellini nasce
da un duplice filone romantico: Hoffmann dal cui Salvator Rosa Berlioz prese
più di una situazione e l’ambiente italiano rinascimentale che sentiva come pittoresco,
come esotismo- E’ questa fu la novità dell’opera: la presenza di un ambiente
che non è più solo sfondo ’.
A questi
aspetti strettamente musicali, si aggiungono, poi, enormi difficoltà di
allestimento:: un organico orchestrale vastissimo, numerosi solisti, un coro
con ruolo primario, danze e mimi. In questa nota, mi soffermo sulla parte
musicale, poiché tratto altrove la drammaturgia di Terry Gilliam, che tratto in
una testata dedicata a teatro.
All’applausometro
i vincitori della serata sono stati il giovane soprano Mariangela Sicilia ed il
tenore John Osborn . A mio avviso, il merito del successo deve essere in gran
misura attribuito all’orchestra concertata da Roberto Abbado ed al coro
diretto da Roberto Gabbiani. Orchestra e coro hanno fatto sì che l’ambiente in
cui si svolge l’opera non sia lo sfondo ma diventi protagonista, con i suoi
colori , le sue tinte, i suoi caratteri ‘esotici’ , la sua esuberanza
‘romanesca’ quale poteva essere il rinascimento italiano agli occhi di un
francese che aveva passato un anno sulle pendici del Pincio.
Hanno un
ruolo importantissimo non solo nelle parti sinfoniche (quale l’ouverture) ed in
quello sinfonico-corali (come il celeberrimo carnevale romano) e danno coesione
ad un’opera in cui si fondono , non perfettamente, sin troppi elementi (dal
drammatico al comico, dal sentimentale all’ironico, dal passionale al
descrittivo).
Mariangela
Sicilia mostra grande maestria sin dall’impervia aria di apertura in cui non
sbaglia una nota. La voce di John Osborn è leggermente imbrunita rispetto ai
tempi in cui trionfava in tutto il mondo come il Roméo di Gounod. Ciò gli si
addice perché Cellini è un uomo maturo e Osborn non ha perso agilità
specialmente in ascendere a spericolati acuti . Nicola Uliveri è un efficace
Balducci , il tesoriere del Papa, Alessandro Luongo un comicissimo Fieramosca,
Marco Spotti un Papa Clemente VII disegnato con ironia, di grande livello
Vardhui Abrahamyan nel ruolo di Ascanio, l’assistente di Cellini. Bravi tutti
gli altri. Ottima in tutti la dizione in francese che è piena di trabocchetti
nel teatro in musica.
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