Pisa.
La sfida (vinta) del Teatro Verdi con il
“Mefistofele”
Tra i lavori in musica tratti dal
Faust di Goethe, Mefistofele di Arrigo Boito (esponente della “scapigliatura” milanese e,
quindi, noto anticlericale) si differenzia dagli altri non solo perché tenta di
coprire le due parti dell’immenso lavoro del poeta tedesco. È anche l’unica
opera teatrale in cui lo scienziato che ha fatto un patto con il diavolo o non
finisce all’inferno o non viene salvato per il contributo che, con la sua
operosità, ha dato all’umanità (come in Goethe). Nel lavoro di Boito, Faust
(Antonello Palombi), pentito, contrappone a Mefistofele (Giacomo Prestia), che
vuole portarlo all’inferno, il Vangelo; e una schiera di Angeli porta la sua
anima in Paradiso. È un dettaglio importante: anche lo “scapigliato”, che era,
al pari del maestro di Busseto, un “agnostico dubbioso”, anzi tormentato dal
dubbio. Un dubbio che è centrale a questo grand-opérapadano (con influenze più wagneriane che francesi). Di frequente nei
repertori sino alla fine degli Anni Sessanta è sparito dai cartelloni
principalmente a ragione dell’enorme organico che richiede (orchestra quasi
mahleriana, duecento coristi, otto solisti, numerosi cambiamenti di scena). È
un’interessante novità vedere come il Teatro Verdi di Pisa (in collaborazione
con i teatri di Lucca e Rovigo) si è cimentato con queste sfide.
L’allestimento, che fino a stasera a Pisa e poi circuiterà per alcune
settimane, è affidato a Enrico Stinchelli, che fa un grande uso di proiezioni
computerizzate (le scene sono di Biagio Fersini, i video di Mav), e divide in
lavoro in tre parti (con due intervalli). L’Orchestra della Toscana, concertata
da Francesco Pasqualetti, occupa non solo la buca ma i palchi di proscenio di
primo e secondo ordine . I coristi sono 200 utilizzando , oltre al Coro Lirico
Toscano, formazioni locali.
Giuseppe Pennisi
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