martedì 31 luglio 2012

L'Orchestra Giovanile del Teatro dell'Opera evita la fuga dei talenti in Il Sussidiario 31 luglio


IL CASO/ L'Orchestra Giovanile del Teatro dell'Opera evita la fuga dei talenti
martedì 31 luglio 2012
IL CASO/ L'Orchestra Giovanile del Teatro dell'Opera evita la fuga dei talentiL’Orchestra Giovanile del Teatro dell’Opera di Roma
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Nelle ultime settimane, su queste pagine, abbiamo dedicato attenzione all’educazione musicale e alle prospettive per i giovani musicisti italiani. Abbiamo pubblicato un’inchiesta, un appello al Presidente del Consiglio ed al Ministro dell’Istruzione e servizi a più voci su quello che è uno dei problemi chiavi della cultura italiana. Di recente, in corrispondenze dal Festival del Tirolo a Erl, abbiamo sottolineato come circa la metà dei giovani strumentisti dell’orchestra (un organico di 140 per le grandi opere wagneriane) fosse italiano. Molti di coloro hanno seguito i corsi del Teatro Lirico Sperimentale A. Belli di Spoleto, hanno trovato sistemazione definitiva in Germania, Europa Centrale e Usa quando nessuna porta si apriva loro in Italia. Senza un ‘sottostante’ di cultura musicale – hanno argomentato numerosi studi – è difficile concepire che, soprattutto in una fase di recessione, si trovi in seno al Governo ed al Parlamento la maggioranza necessaria per dare priorità alle attività musicali.

In questo contesto, è importante sottolineare l’iniziativa del Teatro dell’Opera di Roma di dare vita ad un’Orchestra Giovanile, attualmente guidata dal Maestro del Nicola Paszkowski, che si è presentata al pubblico il 27 ed il 29 luglio con due applauditi concerti rispettivamente alla Palestra Orientale delle Terme di Caracalla e al Teatro Romano di Ostia Antica. Non si tratta di una formazione che vuole essere permanente come altre orchestre che nate con l’attributo “giovanile”  sono ora composte da quarantenni e anche cinquantenni. Ogni anno viene effettuata una selezione tra giovani diplomati (hanno sui 18 anni , alcuni anche meno) che seguono un corso di alta formazione e si esibiscono in pubblico. Non hanno una promessa, pur vaga di impiego presso la Fondazione lirica romana, ma vengono avviati al lavoro. Come ama ripetere il Senatore a vita Carlo Azeglio Ciampi (grande appassionato di musica), è un metodo simile a quello del concorso annuale della Banca d’Italia: ogni stagione ha il proprio raccolto. Raccolto che, senza dubbio, resterà affiliato (almeno sentimentalmente) al Teatro dell’Opera ed ai colleghi di corso ma, come molti giovani entrati inizialmente in Banca d’Italia, troverà la propria strada dopo che ha avuto l’opportunità di esibirsi in pubblico.
 Il concerto ha avuto un programma eclettico. La prima parte , nell’atrio della Palestra Orientale delle Terme, è stata dedicata quasi interamente a brani per percussioni ed ottoni (di Whaley, Stadler, Khachaturian) o adattati per percussioni e timpani (sinfonia del rossiniano “Guglielmo Tell”). La seconda è stata aperta da una marcia di Heisinger ed a seguire, l’ouverture del mozartiano “Maestro di Cappella”, il bellissimo (e difficilissimo) Notturno n. 1 di Martucci e l’”incompiuta” di Schubert. Quindi dalla musica ‘colta’ contemporanea ai grandi classici del romanticismi e del novecento. Tale da mostrare la maestria dell’orchestra in differenti stili. Infine, la nascita di una nuova orchestra porta concorrenza in un settore che ne ha terribilmente bisogno.
Complimenti e auguri a tutti.


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lunedì 30 luglio 2012

Così le Olimpiadi aiutano Italia (ed euro) in Il Sussidiario 31 luglio


FINANZA/ 1. Così le Olimpiadi aiutano Italia (ed euro)
martedì 31 luglio 2012
FINANZA/ 1. Così le Olimpiadi aiutano Italia (ed euro)Infophoto
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È iniziata bene quella che la grande stampa d’informazione chiama “la settimana decisiva” per il futuro dell’unione monetaria europea. Borse in rialzo. Spread contenuti. Scambi (a distanza), dannunzianamente parlando, “d’amorosi sensi” tra Mario Monti e Angela Merkel nel ribadire che faranno  di tutto e di più  per salvare l’unione monetaria. Colloqui definiti “positivi” (nei comunicati stampa) tra il Segretario al Tesoro Usa Tim Geithner e il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schaeuble. Come potrebbe chiudere meglio di così un luglio tormentato che tante Cassandre (ma - ricordiamocelo - la Principessa Troiana tutti i torti non li aveva) avevano dipinto come il preludio a un agosto ancora peggiore?
Gli specialisti (e i sedicenti tali) di “neuroeconomia” (la disciplina che coniuga la psicologia con la “triste scienza economica”) attribuiscono la calma a “l’effetto Draghi”, ossia alle parole pronunciate la settimana scorsa dal Presidente della Banca centrale europea (Bce). Può anche essere che abbiamo ragione. Tuttavia,  da un lato “la settimana decisiva” non è ancora conclusa: mercoledì primo agosto c’è grande attesa per gli esiti di una maxi asta di buoni del Tesoro spagnolo, mentre giovedì ci saranno le decisioni del Consiglio Bce (in cui non tutti paiono sposare la “linea Draghi”).
Inoltre, occorre tenere conto di un’altra dimensione che possiamo chiamare la “Pax Olimpica”. Nella Grecia antica, nelle due settimane quando, ogni quattro anni, si tenevano i giochi, le guerre tra le città stato dell’Ellade si arrestavano. Nel Settecento, nel bel mezzo del conflitto per la successione austriaca (non poca cosa a quell’epoca), Pietro Metastasio ne trasse ispirazione per un testo messo in musica da una quarantina di musicisti, tra cui Galuppi, Pergolesi e Vivaldi. Quando nel luglio 1912 stava per scoppiare quella che due anni dopo sarebbe stata la Prima Guerra Mondiale, l’inizio dei giochi calmò tutti (pure i Balcani reduci da tre guerre in pochi anni e pronti alla quarta).
Si potrebbe dire che la “Pax Olimpica” afferisce specialmente al mondo della finanza, anche perché quelli che Richard Nixon chiamava “gli gnomi di Zurigo” (ossia coloro che muovono i flussi monetari e finanziari) hanno da decenni traslocato dalla paciosa  Svizzera all’agguerrita Londra, il cui Governo proprio per questo motivo non ha firmato il Fiscal Compact. In questi giorni, sono più intenti  a scommettere su medaglie che su tassi d’interesse e su monete.
Quali che siano le determinanti - effetto neuro-economico di Draghi e del suo ufficio stampa o “Pax Olimpica” - potrebbe trattarsi, leopardianamente parlando, della quiete prima della tempesta. In Parlamento - almeno in quello italiano, giacché non sappiamo cosa sta avvenendo in quelli di altri Paesi nei guai - si sta allentando la tensione. Dato che l’esecutivo ha deciso di essere più politico che tecnico (e di non puntare i piedi e di non  minacciare di sbattere la porta, ma di tirare a campare il più possibile), le misure per contenere la spesa vengono annacquate nel modo peggiore: si salvano quelle con poca sostanza, ma grande aspetto mediatico (auto blu), vengono ammorbidite le altre (sgravi alle imprese, regole su appalti).
Il Governo dovrebbe prendere spunto dalla quiete momentanea per mordere meglio sulla spesa pubblica meno produttiva e delineare un programma di rilancio. In ultima istanza, se l’economia reale non migliora, il rapporto debito/Pil non potrà che peggiorare e la fiducia a investire in Italia che diminuire.


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PER USCIRE DALLA CRISI, OCCORRE CONOSCERLA In Il Velino 30 luglio


PER USCIRE DALLA CRISI, OCCORRE CONOSCERLA
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Roma - Forse a ragione della “Pax Olimpica” (ossia dell’armistizio sui mercati anche perché i “mercatisti” sono più occupati dai giochi in corso a Londra), pare essersi allentata la discussione su come uscire dalla crisi pur se le previsioni del Fondo monetario internazionale e dei 20 maggiori istituti di ricerca – quelli del “consensus” – non annuncino nulla di buono.

In questa pausa arriva nelle librerie un breve libro di Massimo Calvi (Capire La Crisi, Rubettino 2012, euro 10) che vale la pena leggere tutto d’un fiato (è di 121 paginette) e portarsi in vacanza per il Ferragosto al fine di meditarlo. Non è una ricetta su quale sarà il mondo dopo la crisi o come tirarsi fuori dalle difficoltà – al pari di un saggio di un pari numero di pagine prodotto da Jacques Attali per dare lezioni all’universo “ed all’altre stelle”. Non è un lavoro tecnico: ne esistono a dozzine e da due anni ogni sera la rivista telematica “Journal of Economic Crisis” fornisce, a chi è interessato, tanto gli abstracts quanto i testi integrali degli studi di peso usciti nelle ultime 24 ore. È una riflessione scritta da un giornalista (Calvi è redattore capo del quotidiano Avvenire) con una formazione di studi letterari. Dato che per vedere come uscire dalla crisi, occorre, innanzitutto, capire di che si tratta, è un libro utile sia a chi fa politica sia alle massaie che si chiedono come il mondo si sia cacciato in tale “pasticciaccio brutto”. Il saggio è, in primo luogo, un racconto: prende l’avvio dalla bolla dei mutui americani (e delle determinanti alla sua base) per arrivare ai nodi del debito sovrano europeo. È un racconto semplice che ha il pregio, soprattutto, di illustrare in modo facilmente comprensibile avvenimenti contorti. Calvi mette correttamente l’accento (in pillole) su due filoni relativamente nuovi del pensiero economico: la teoria economica dell’informazione (ossia come l’informazione incide sui comportamenti economici) e la neuro-economia (ossia il nesso tra psicologia e comportamenti economici).

È anche un libro a tesi: alla base della crisi ci sarebbe “l’avidità”, il volersi arricchire unicamente per il piacere di arricchirsi. “Non è la ricchezza a dovere essere temuta, ma il modo in cui viene realizzata e le sue finalità”. In altri termini, per uscire dalla crisi occorre tornare al mondo dei Buddenbrook che hanno fortuna quando si arricchiscono non per il loro tornaconto ma per il bene di Lubecca (la comunità in cui vivono) ma decadono quando vengono motivati solo dai loro interessi. La discesa dei Buddenbrook – vale la pena rammentarlo – inizia con una speculazione ostentativo-immobiliare: l’acquisto di una grande casa da sogno.

È una tesi per alcuni aspetti discutibile. Oltre vent’anni fa, chiesi all’economista Uri Dadush (ora con il Carnegie Endowment for Peace ma allora autore di un documento fondamentale della Banca Mondiale sulla povertà) quale fosse a suo avviso la molla per uscire dall’indigenza. Si parlava in privato, a cena a casa mia a Roma. Disse brutalmente: “Greed”, un termine più forte di “avidità” e cugino quasi di “rapacità”. I due vocaboli hanno anche connotazioni differenti: l’“avido” opera a spese del prossimo, il “greedy” ha una voglia inarrestabile di successo e ricchezza e non si cura del prossimo anche se non cerca necessariamente di approfittarsene. Senza dubbio, “l’avidità” o “the greed” vanno temperati da senso sociale, da controllo sociale e da regole condivise.

Tuttavia, non è questo il nodo centrale: il brillante saggio di Calvi (e il 95 per cento della letteratura sulla crisi iniziata alla metà del primo decennio di questo secolo) non tratta della profonda trasformazione economica mondiale in corso dalla metà degli anni Novanta. Dal 1830 (quando il 43 per cento del Pil mondiale era prodotto da India e Cina e oltre il 90 per cento della popolazione mondiale era in mera sussistenza) alla fine del secolo scorso, il progresso tecnologico è stato monopolio dei Paesi atlantici e di pochi altri. Nella secondo metà degli anni novanta, tale monopolio è stato perso e mentre gli ex-monopolisti entravano in crisi circa un miliardo di uomini e donne uscivano dalla povertà assoluta. È in corso un riassetto dell’economia mondiale in tutti i suoi aspetti (produzione, consumi) di cui è difficile vedere dimensioni e profondità. Quando tra il 1830 e il 1880, si affermò il progresso tecnologico (e il relativo monopolio) – ricordiamolo – ci fu uno sconvolgimento profondo: nacquero – è vero – le democrazie liberali ma per due secoli circa ci furono guerre dopo guerre sia nel gruppo dei monopolisti sia per conquistare spazi nel resto del mondo. Per grave che sia, la crisi di oggi è poca cosa rispetto a quella sofferta per un secolo e mezzo circa.

Per uscirne occorre riflettere anche su queste dimensioni.   (ilVelino/AGV)
(Giuseppe Pennisi) 30 Luglio 2012 19:47
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LIRICA, LA GRANDE MUSICA È DI SCENA A MONACO DI BAVIERA in Il Velino 30 luglio


LIRICA, LA GRANDE MUSICA È DI SCENA A MONACO DI BAVIERA
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Monaco di Baviera - La Bayerische Staatsoper (opera di Stato della Baviera) è uno dei teatri più “ricchi” del mondo grazie all’importanza che ha sempre alla musica il Governo della Baviera ed ai contributi di imprese e cittadini alla fondazione che gestisce la lirica. Ha un festival di cinque settimane che ricorda quello “delle notti bianche” di San Pietroburgo; non presenta novità – spesso la caratteristica di manifestazioni di questa natura - ma ripropone gli spettacoli che hanno avuto maggior successo di pubblico e di critica. E’ molto differente, quindi, da quello del Tirolo: cast di fama internazionale, grandi allestimenti, prezzi alle stelle (con sconti per alcune categorie). La Bayerische Staatsoper ha tre sale: l’ottocentesco il National Theater (dove ebbero la prima mondiale Tristano e Isotta e i Maestri Cantori di Wagner) con 2100 posti, il rococò Cuvillés Theater (dove ebbe la prima Idomeneo di Mozart) con 500 posti ed il Prinzregent Theater (costruito nel 1900 ad immagine e somiglianza del teatro wagneriano di Bayreuth) con 1950 posti. In Italia un’iniziativa analoga potrebbe essere presa unicamente dal Teatro alla Scala che dispone delle risorse tecniche necessarie. La Scala, però, presenta 15-18 titoli l’anno al massimo rispetto ai 60 della Bayerische Staatsoper.

Dal 23 al 25 luglio, il vostro “chroniquer” ha visitato i tre teatri, assistendo a due opere ed ad concerto da camera. Soffermiamoci sulle prime due. Les Contes de Hoffmann (vista ed ascoltata al National Theater ) è il capolavoro di Jacques Offenbach. E’ un apologo: la vicenda di Hoffmann (pittore, poeta scrittore e musicista della Prussia della prima metà dell’Ottocento), delle sue quattro donne, della musa/ispiratrice di lui innamorata e del mefistofelico deuteragonista (che lo sconfigge ad ogni occasione) viene frequentemente letta come quello dell’incapacità di relazioni vere e di una vita trascorsa in rapporti interinali inconcludenti. Nell’edizione in scena a Monaco (una coproduzione con l’English National Opera di Londra), Richard Jones porta l’azione in un’epoca imprecisata della prima metà del Novecento. Hoffmann corteggia Stella , soprano di successo, ma mentre lei è impegnata nel “Don Giovanni”, si ubriaca di birra nella taverna accanto al teatro e si ricorda delle sue donne precedente: Olimpia- la amò alla follia per accorgersi che era un automa; Antonia, ammalatissima tanto che l’amore la fa perire; Giulietta, affascinante ma essenzialmente una prostituta che vive in un mondo di malaffare. Ciascuna delle tre (pure la bambola) lo tradisce. E al termine del “Don Giovanni”, Stella da un’occhiataccia all’ubriaco e se ne va con un signore elegante. Belle le scene di Giles Cadle ed i costumi di Buki Shiff. Rolando Villazón è il vero mattatore della serata: canta, danza e salta da una parte all’altra del palcoscenico. Un po’ stanco all’inizio della terza parte si è ripreso nel duello con Giulietta. Di grande livello, Angela Brower , il suo allievo e, al tempo stesso, sua musa. Brenda Rae (Olimpia) affascina con i suoi vocalizzi, Olga Mykytenko (Antonia) è un soprano drammatico di livello, Anna Virovlansky è una Giulietta tenerissima (nonostante la professione). John Relyea interpreta i quattro rivali che hanno sempre la meglio sul povero Hoffmann. Grande successo, resterà a lungo in cartellone a Monaco e a Londra.

La vera sorpresa è Mitridate Rè di Ponto composta da Wolfgang Amadeus Mozart, allora appena quattordicenne, su commissione del Teatro Ducale di Milano. Presentata il 26 dicembre 1770, ad inaugurazione della stagione. Mitridate viene eseguito raramente: ne ricordo un’esecuzione in forma di concerto a Roma diversi anni fa da parte dell’orchestra della Rai; ci sono state altre esecuzioni in forma di concerto in occasioni delle celebrazioni mozartiane del 2006 (una a Sondrio) quando per due sere è stato ripreso un magniloquente allestimento di Jean – Pierre Ponnelle del 1987 (peraltro molto tagliato) al Teatro Olimpico di Vicenza. I 1900 posti del Prinzregent Theater erano esauriti e , per circa un terzo, riempiti da giovani. Il lavoro viene dato integralmente (senza intermezzi e balletti): quasi quattro ore con solamente un breve intervallo. In altra sede ne abbiamo commentato gli aspetti musicali, ma la chiave del successo è nella drammaturgia di David Bösch e Rainer Karlitscheck , nelle scene di Patrick Bannwart, nei costumi di Falko Herold.

Senza cambiare una parola del libretto, la vicenda diventa il dramma di una famiglia plurima dei nostri giorni: il padre (già due volte vedovo) vuole sposare una donna giovane (che ha però da tempo una relazione affettiva con il figlio di secondo letto). Il figlio di primo letto, invaghitosi della bella fidanzata di papà, vuole sedurla. Tutti vestono abiti d’oggi; le navi (il Ponto si affaccia sul Mar Nero) sono gommoni; i ragazzi fumano spinelli, non mancano momenti abbastanza espliciti (ad esempio, quando Farnace vuole forzare Aspasia a fare sesso con lui). E via discorrendo. Il complesso intreccio è anche visto con una punta di ironia; cartoni animati mostrano, sul fondo scena , il giovane Mozart che ha difficoltà con la trama ma va avanti lo stesso imperterrito, componendo il lavoro in poche settimane. Curata la parte musicale: in buca, Mark Wiggleesworth dirige un ensemble con strumenti i più prossimi possibili a quelli d’epoca. Un cast internazionale assicura sette grandi voci in un lavoro in cui il canto è (quasi) tutto. Eccezionale il controtenore Lawrence Zazzo. Di ottimo livello, Barry Banks, Anja-Nina Barmann, Tara Erraught, Lisette Oropesa, Taylor Stayton e Eri Nakamura.   (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 30 Luglio 2012 10:11
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