giovedì 5 luglio 2012

Il rischio è una trappola della liquidità in Avvenire 6 luglio


l’analisi Il rischio è una trappola della liquidità


DI GIUSEPPE PENNISI

L a politica monetaria è diven­tata leggermente più espan­siva, più «accomodante», in termini tecnici, ossia maggior­mente diretta a sostenere obietti­vi di crescita. La Banca centrale europea riuscirà nell’intento? In effetti, l’Eurotower non ha mai fatto mancare liquidità al sistema. Da febbraio i principa­li indicatori di offerta di moneta mostrano una leggera accelera­zione (crescono ad un tasso attor­no al 2,5-3% l’anno, mentre l’eco­nomia reale dell’eurozona ristagna e in numerosi Stati membri è in re­cessione).

Ieri mattina la Bce ha diramato un’analisi da cui si deduceva che in maggio (ultimo mese per il quale si dispone di consuntivi) la situa­zione dei tassi effettivi praticati dalle banche a famiglie e imprese non è sostanzialmente mutata: i tassi restano bassi.

Negli Anni Settanta, quando in I­talia, si guardava alla Banca d’Itlaia per uscire dalla recessione, l’allo­ra governatore Guido Carli dava conto delle misure di stimolo pre­se aggiungendo: «Il cavallo non be­ve ». D’altronde lo stesso John May­nard Keynes, in alcune pagine del­la Teoria Generale, aveva esami­nato casi di cosiddetta «trappola della liquidità»: individui, famiglie e imprese mettono sotto il mate­rasso lla liquidità loro offerta per­ché prefigurano tempi bui in cui ne avranno esigenza. Tesorizzano invece di investire o migliorare li­vello e qualità dei consumi.

L’attuale recessione è differente ri­spetto a quelle di cui abbiamo a­vuto esperienza nel secondo Do­poguerra. Non è stata determina­ta da un rallentamento, prima, e da un crollo, poi, della produzione. Oppure da un’improvvisa contra­zione dei consumi. Nell’eurozona (e negli Stati Uniti) si è alle prese con quella che Richard C. Koo – e­conomista nippo-americano che guida da anni il servizio studi del Nomura Research Institute – chia­ma acutamente una balance sheets recession, ovvero una recessione dei conti profitti e perdite. Ciò si verifica quando alcuni asset per­dono drasticamente di valore, cau­sando crisi debitorie più o meno gravi, e gli obiettivi d’investimen­to di individui, famiglie e imprese mutano drasticamente: dalla «massimizzazione del profitto» si passa alla «minimizzazione del­l’indebitamento » (per timore di nuove crisi debitorie). Per questo motivo la crisi è tanto grave e la stagnazione, accompagnata da momenti di recessione, minaccia di essere duratura.

Di fronte a recessioni di questa na­tura – lo prova l’alto debito pub­blico giapponese e il fatto che nel­le Isole del Sol Levante ci siano sta­ti per decenni tassi d’interessi rea­li negativi – una politica moneta­ria «accomodante» incide poco. Indubbiamente, è migliore di una restrittiva che potrebbe scatenare la recessione in depressione.

L’Italia non è in una «balance sheets recession» particolarmen­te acuta a ragione della prudenza e del proprio sistema bancario e delle famiglie. Ma è contornata da Paesi che lo sono (Francia, Spagna, Grecia, Portogallo, anche parte della Germania). È un vaso di coc­cio tra vasi di ferro. Dato il forte grado d’integrazione europea, vie­ne trascinata dagli altri: la nostra recessione tradizionale dipende in gran misura dalle recessioni altrui. Inoltre, l’aumento della pressione fiscale rischia di trasformare in de­pressione la recessione.

Per tornare a crescere ci vorrebbe­ro un’iniezione di fiducia, un o­biettivo condiviso in cui credere, una liberalizzazione dei mercati protetti, un miglioramento della qualità delle risorse umane – gli in­gredienti che fanno crescere com­petitività e produttività.

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Di fronte a recessioni in cui i consumi sono stagnanti e manca la fiducia, anche una politica monetaria accomodante incide poco

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