Rubriche
Danni collaterali dell´eurozona in crisi | ||
07/07/2012 | Giuseppe Pennisi | ||
Sono
una sessantina gli Stati le cui politiche monetarie si fanno a
Francoforte e le cui politiche economiche sono fortemente influenzate da
quelle definite per l´eurozona. Anche se solo 17 hanno voce in
capitolo.
|
||
L´eurozona
ha seri problemi che difficilmente possono essere risolti nell´arco di
poche settimane. Pochi riflettono sui danni collaterali dei travagli
dell´euro. Circa un anno e mezzo fa, Formiche ha ricordato come l´area
dell´euro sia molto più vasta dell´eurozona a 17; essa include
micro-Stati che hanno adottato la moneta unica europea per mera
convenienza pratica ed unioni monetarie (come quelle di numerosi Stati
africani) che hanno tassi di cambio fissi con l´euro, nonché Stati
associati all´Unione europea che per comodità hanno optato per un regime
di cambi fissi. Sono una sessantina gli Stati le cui politiche
monetarie si fanno a Francoforte e le cui politiche economiche sono
fortemente influenzate da quelle definite per l´eurozona. Anche se solo
17 hanno voce in capitolo. In breve, nell´eurozona ampliata a 60, oltre
50 Stati subiscono danni collaterali diretti da quanto sta avvenendo
all´unione monetaria.
Pochi però hanno pensato
alle implicazioni, e ai danni collaterali indiretti, per le unioni
monetarie in fieri e in vari stadi di concezione e preparazione che,
visto quanto sta avvenendo nel Vecchio Continente, stanno facendo passi
indietro. Il caso più significativo è quello dell´area del Pacifico. Il
mondo sarebbe più semplice se tre-quattro grandi aree commerciali e
monetarie lavorassero con l´obiettivo comune della crescita e della
lotta alla povertà.
In uno degli ultimi lavori
del servizio studi della Banca asiatica di sviluppo Yung Chu Park della
Università nazionale della Coera e Chi Young Song della Università
Kookmin sottolineano come sia stato accantonato ormai per sempre (vista
l´esperienza in Europa) il progetto di dare vita tra una dozzina d´anni a
un´unione monetaria del bacino del Pacifico che avrebbe portato a cambi
più stabili e a maggiori flussi commerciali e finanziari. Sullo stesso
tema insiste il volume collettaneo East Asia financial integration: a
road ahead, curato dall´economista giapponese Junji Nagawaka e appena
pubblicato da Routledge a Londra. Edwin Truman del Peterson institute
for international economics vede anche a rischio il futuro del
coordinamento monetario in Estremo Oriente. Con danni per l´intera
comunità internazionale. Ramkishen Rajan della George Mason University
considera in pericolo la gestione dei regimi dei cambi.
Un
gran peccato! L´economista sino-americano Yi-Wen in un working paper
della Federal Reserve Bank di St. Louis ricorda che un percorso verso
un´unione monetaria asiatica, avrebbe messo a buon uso le enormi riserve
che giacciono presso l´autorità monetaria cinese. Lo stesso Bin Zhang
dell´autorità monetarie di Beijing sostiene in un documento di lavoro
che sarebbe utile che le banche centrali asiatiche spostino gradualmente
verso lo yuan le loro riserve in dollari Usa. E uno dei principali
gestori di fondi asiatici Surjit Bhalla, in un saggio apparso in
"Comparative economic studies", affermava che lo yuan sarebbe stato
l´euro dell´Asia. Ormai, tutti sogni nel cassetto.
© Riproduzione riservata |
Nessun commento:
Posta un commento