MOODY’S E LA CONCERTAZIONE
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Roma - C’è un nesso tra il declassamento dei titoli di Stato
italiani operato dall’agenzia di rating Moody’s e le polemiche sulla
concertazione in atto in questi giorni? Anche se l’asta dei Btp a tre anni non
pare essersi preoccupata troppo delle valutazioni dell’agenzia – e le autorità
di Bruxelles hanno giudicato la tempistica (di Moody’s) poco appropriata – il
legame c’è ed è forte. Nell’esprimere un giudizio sulla qualità dei titoli, le
agenzie non guardano tanto al breve periodo quanto al medio e lungo. Le reazioni
delle parti sociali al decreto legge risultante dalla prima fase della spending
review inducono a prevedere una lunga estate calda seguita ad un autunno ancora
più caldo e da una primavera bollente caratterizzata da elezioni da cui nessuno
uscirà effettivo vincitore in grado di governare l’Italia con efficienza ed
efficacia. In questo quadro, si pone la concertazione. Ci sono chiaramente due
modi (almeno di intenderla). Alla metà degli anni '90 a un rapporto
dell’Organizzazione internazionale del lavoro (un’istituzione non certo di
parte e comunque distinta e distante dalle nostre beghe) differenziava
nettamente tra “concertazione difensiva” e “concertazione aggressiva o
positiva”
Pare evidente che le parti
sociali, soprattutto il sindacato, contestino il modo in cui è stato redatto il
decreto legge. Senza un “patto sociale” analogo a quello del 23 luglio 1993,
negoziato a lungo tra un ampio numero di soggetti. In effetti, la bozza di
decreto legge è stata presentata poche ore prima del Consiglio dei ministri,
quasi a fini informativi piuttosto che per modificarlo alla luce delle loro
osservazioni. Tutti riconoscono che il “patto” del 1993 ha avuto un ruolo
chiave nella riduzione degli aumenti dei prezzi grazie, principalmente,
all’introduzione del concetto di “inflazione programmata” come guida per la
politica economica e per le relazioni industriali, mentre si è rivelato caduco
in molti altri aspetti (la contrattazione collettiva a più livelli, la
consultazione nella definizione dei documenti di politica economica).
Tuttavia, il contesto è cambiato drasticamente: negli Anni Novanta (o almeno nel primo lustro del periodo), l’Europa e gli Usa avevano quel monopolio del progresso tecnologico, che hanno perso almeno da dieci anni. Siamo un anello debole di un’unione monetaria delle cui implicazioni pochi si sono accorti quando è stata varata. Ora le relazioni industriali devono affrontare le sfide poste dalla trasformazione economica, l’innovazione e l’integrazione economica, pena il pericolo di diventare irrilevanti. Il primo e più significativo patto di “concertazione aggressiva o offensiva” in Europa è stato l'"accordo di Wasenaar" (dal nome della località dove è stata stipulata) conclusa in Olanda nel lontano 1984. I Paesi Bassi erano afflitti da quello che gli economisti chiamavano “il mal olandese” – bassa crescita dovuta al flusso di valuta, e sovrapprezzamento del cambio, derivante dal gas naturale del Mare del Nord. L’accordo comportò un nuovo disegno del mercato del lavoro e dello Stato sociale (in senso liberale) di fronte alla constatazione che, ad esempio, operando unicamente sull’età legale per la pensione (senza toccare contributi e livello degli assegni rispetto alle ultime remunerazioni) la si sarebbe dovuta portare a 80 anni.
Siamo pronti a farlo? Soprattutto, il sindacato è disposto a farlo? Tramite la “concertazione aggressiva” che si può, da un lato, superare quel clima di sfiducia che frena l’economia con alti tassi di transazione ed elevata avversione al rischio e, dall’altro, ricostruire le regole da quelle interne (come la definizione dello “statuto dei lavori”) a quelle internazionali (quali le global rules per regolazione e vigilanza finanziaria). Ciò comporta per le parti sociali (principalmente per parte dei sindacati) passaggi difficili: acquisire la consapevolezza che la difesa dell’esistente non solamente perde sempre ma è spesso a svantaggio dei più deboli.
Il giudizio di Moody’s è chiaro. Non solo i sindacati ma lobby ed altri interessi costituiti renderanno il percorso verso il risanamento molto difficile. E’ il primo teorema del ‘public choice’ formulato dal Nobel James Buchanan: chi teme di perdere molto si coalizza contro coloro che, pure se numerosissimi, singolarmente avranno benefici tanto piccoli da non resistere all’offensiva dei pochi ma rumorosi. Per Moody’s siamo in mezzo ad un guado, e non riusciamo a traghettare verso una sponda più moderna e più giusta. Il Cnel potrebbe essere lo strumento per questa traghettata, a ragione della sua composizioni e delle sue analisi su riforme, mercato del lavoro, produttività, infrastrutture. Sta a governo e parti sociali trarne massimo beneficio.
(ilVelino/AGV)
(Giuseppe Pennisi) 14 Luglio 2012 10:06
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