giovedì 31 luglio 2014

Salisburgo: donne in prima linea in Avvenire 31 luglio


SALISBURGO

Donne in prima linea

Kermesse

L’ultima edizione del Festival firmato da Alexander Pereira lancia due opere che esaltano il genio femminile durante i conflitti mondiali


GIUSEPPE PENNISI

SALISBURGO
Il Festival di Salisburgo (l’ultimo per il direttore artistico Alexander Pe­reira) ha commissionato due lavo­ri che ricordano le guerre mondia­li del Novecento da un punto di vi­sta molto speciale: quello delle donne. Il primo è un’opera lirica andata in scena il 28 luglio (ed in pro­grammazione sino al 14 agosto) : Char­lotte Salomon di Marc-André Dalbavie, su libretto di Barbara Honigmann, con regia di Luc Bondy, scene di Johannes Schütz, costumi di Moidele Bickel. Il secondo -

The Forbidden Zonedi Dancan McMillan - è un dramma che va in scena dal 30 lu­glio al 10 agosto ma di cui si prevede una versione cinematografica.

Soffermiamoci suCharlotte Salomon.Il lavoro ha queste caratteristiche: a) si ba­sa su uno storia vera da cui alcuni anni fa è stato tratto un film di successo e un do­cumentario per la televisione; b) è una vi­cenda di grande attualità in quanto il suo punto centrale è l’intolleranza; b) il libret­to è in due lingue, - i personaggi francesi utilizzano il francese e i tedeschi il tede­sco; d) Dalbavie, che concerta voci ed or­chestra, viene dallo sperimentalismo ma si è gradualmente avvicinato a melodia, ar­monia e ritmo. Appartiene alla 'scuola spettrale' francese che fonde astutamen­te tonalità e quel-che-resta-della dode­cafonia per entrare nell’intimo. È musica che fa presa sul pubblico.

Charlotte Salomon è cresciuta nelle Ber­lino elegante di Charlottenburg (dove è nata nel 1917). Suo padre, un medico, era considerato un eroe della Prima Guerra Mondiale; sua madre Franziska era stata crocerossina. Nel 1926 , Franziska si toglie la vita durante una depressione; l’evento viene nascosto a Charlotte, affermandoleche era morta d’influenza. La seconda mo­glie del padre, Paulinka, è un’importante cantante lirica che si affeziona alla bam­bina. Con l’arrivo del nazismo, iniziano le discriminazioni (viene vietato a Charlot­te di ritirare il premio di pittura pur vin­to) e le persecuzioni. Si rifugia dai nonni in Francia, mentre padre e madrigna si nascondono in Olanda. Quando appren­de che gli ebrei tedeschi stanno per esse­re consegnati dalla Francia di Vichy ai te­deschi, è la nonna a togliersi la vita. Allo­ra, Charlotte apprende del suicidio e del­la madre e di altre donne della famiglia. Per sfuggire ad un destino analogo, si dedica, con l’aiuto di un medico francese, alla pit­tura e si sposa. Arrestata, con il marito, Charlotte muore a Auschwitz nel 1943, in­cinta di quattro mesi e sposata da otto; il marito un anno dopo ai lavori forzati. In breve, Franziska, Charlotte e la madre del­la prima e nonna della seconda vengono annientate dalle due Guerre Mondiali.

Finita la guerra, padre e matrigna ebbero dal medico di Villefranche-sur-Mer il la­voro che Charlotte gli aveva lasciato in cu­stodia: 1325 tavole dipinte di cui circa 900 organizzate sistematicamente come le im­magini di unSinspiel(opera in parte par­lata ed in parte cantata) intitolatoVita? O Teatro?.Il padre, morto nel 1976, e la ma­trigna , deceduta nel 2000 all’età di 102 an­ni, hanno dato il lavoro al museo ebraico di Amsterdam.

L’opera, in due atti (due ore e mezza sen­za intervallo) si svolge tra Berlino e Ville­franche Auschwitz è sempre nel fonda­le. La scena è costituita da proiezioni dei di­pinti di Charlotte e da abili giochi di luce che danno il senso dei differenti ambien­ti (l’andamento della vicenda è cinema­tografico). Il vasto boccascena dell’antica cavallerizza è diviso in dieci pannelli che consentono azione scenica contempora­nea in vari luoghi di Berlino e a Villefran­che- un’idea suggestiva ma difficilmente replicabile altrove.

La protagonista è interpretata da un’attri­ce ( JohannaWokalek) con funzione di nar­ratrice e da un mezzo soprano (Marianne Crebassa) . Tra gli altri undici solisti (alcu­ni in più ruoli) spiccano Anaik Morel e Frédéric Antoun. Dalbavie utilizza un pic­colo organico del Mozarteum con un nu­mero limitato di archi, una forte presen­za di ottoni e fiati, un’arpa, un organo ed un piano. Ne trae colori orchestrali molto intensi specialmente nella seconda parte. Nel complesso, un lavoro commovente e innovativo.

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LIRICA.

«Charlotte Salomon» di Marc-André Dalbavie con regia di Luc Bondy in prima mondiale al Festival di Salisburgo

mercoledì 30 luglio 2014

Renzi vuole davvero la riforma del Senato o andare solo al voto anticipato? in Formiche 30 luglio


Renzi vuole davvero la riforma del Senato o andare solo al voto anticipato?
30 - 07 - 2014Giuseppe Pennisi Renzi vuole davvero la riforma del Senato o andare solo al voto anticipato?
Considerazioni da Salisburgo conversando con giuristi, banchieri ed economisti sul premier Matteo Renzi e sull'Italia...
Nella Piazza del Mercato di Salisburgo, di fronte alla ‘Collegiata’ (la Chiesa dell’Università) c’è una birreria che risale al 1300. Ogni anno si danno convegno alcuni anziani signori e signore che hanno tre cose in comune: a) avere studiato alla Università Johns Hopkins a Bologna ed a Washington nel 1966-68; b) avere in comune la passione per la musica; c) avere avuto carriere non malvagie. Tra loro, una signora è stata Presidente della Corte dei Conti tedesca, prima, e dell’Unione Europea, poi; un altro è stato direttore generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’Austria; un altro ancora ai piani alti della City Corp e della Deutsche Bank; un altro infine è stato Avvocato dello Stato della Repubblica Francese. Non manca qualche economista e un paio di italiani.
Tra i “germanici” almeno due si sono laureati in giurisprudenza sia in Patria sia all’ateneo felsineo. Un paio hanno seconde case in Italia e vi passano alcuni mesi l’anno.
Con circa cinquant’anni di amicizia sulle spalle non si parla solo di musica, ma anche di politica. Naturale scambiare opinioni sulla situazione italiane tanto più che sia la Banca centrale europea sia il Fondo monetario considerano il Belpaese quello da cui può scatenarsi il peggior contagio rispetto al resto dell’eurozona sia per l’alto debito pubblico sia per i rischi di deflazione che del debito farebbe aumentare il peso.
Il nodo è se il Presidente del Consiglio Matteo Renzi voglia davvero portare in porto un programma di riforme istituzionali o “stia facendo ammuina”, ossia il tentativo di riforma della Costituzione non nasconda il progetto di andare alle urne con una legge elettorale quanto più prossima all’attuale.
Secondo tedeschi e austriaci, c’è un indizio molto forte (che lo sta rendendo poco credibile in Europa): la riforma costituzionale all’attenzione del Senato non prevede nulla per sospendere, allentare od abrogare quella “legge costituzionale rafforzata” sul pareggio di bilancio, varata frettolosamente per dare l’impressione di essere i primo della classe.
Sarebbe, infatti, bastato ratificare (come è stato fatto) il Fiscal Compact ed applicare con rigore (come non viene fatto) il vecchio art.8 1 della Costituzione. Con la deflazione in arrivo, la “legge costituzionale rafforzata” lega mani e piedi in materia di politica di bilancio e può scatenare forte contrasti sociali.
Una svista? Il frutto di mancanza di esperienza e del lavoro di consiglieri non all’altezza del compito? Oppure una maliziosa furbizia fiorentina per fare saltare il tavolo, accusando i “gufi” di ogni male. E correre alle urne, mettendo sul piatto anche la sospensione ove non la soppressione della “legge rafforzata” sul pareggio  di bilancio che sta facendo i primi passi?
Il gruppaccio della birreria di Salisburgo ha letto Machiavelli e Guicciardini e propende per questa ultima ipotesi.
Che ne pensano i lettori?

Se "Don Giovanni" diventa DSK (Dominique Strauss Kahn) in Il Sussidiario


OPERA/ Se "Don Giovanni" diventa DSK (Dominique Strauss Kahn)

Pubblicazione: mercoledì 30 luglio 2014
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A cavallo tra l’ultimo lustro del XX secolo e il primo del XXI, “Don Giovanni” di Lorenzo Da Ponte e Wolfgang A. Mozart ha soppiantato “Carmen” di Georges Bizet in quanto opera più rappresentata al mondo. All’ultima conto di Operabase (il maggior sito del settore), sono state ambedue superate da “La Traviata’ di Giuseppe Verdi. 
Occorre però dire che, per quanto attiene al ‘melodramma  giocoso’ di Da Ponte –Mozart, le classifiche non includono le due rappresentazioni quotidiane offerte a Praga (dove la “prima” si è tenuta il 29 ottobre 1787) in un teatro di marionette con la musica registrata. Con “Don Giovanni” è appena iniziato (dopo una ouverture spirituale di cui riferirò a parte, la sezione opera lirica) il Festival estivo di Salisburgo.
Una caratteristica dello spettacolo - il secondo, in ordine di tempo, di nuovo allestimento della trilogia Da Ponte Mozart iniziato l’estate scorsa con ‘Così Fan Tutte’ - è di essere coprodotto con la Unitel ed una serie di stazioni televisive. In Italia si potrà vedere e ascoltare il 3 agosto alle 20.15 sul canale Classica di Sky; seguiranno repliche televisive, in Italia, più volte all’inizio di agosto e successivamente ci saranno riprese. A Salisburgo questa prima tornata, iniziata il 27 luglio, durerà sino al 18 agosto; dal vivo lo spettacolo verrà ripreso in numerosi teatri europei.

Commentando un anno fa, il nuovo allestimento di ‘Così fan tutte’, si è sottolineato come dopo la trasgressiva trilogia di Claus Guth (2007-2011 a Salisburgo; ora alla Scala), l’équipe drammaturgica (Sven Erich Bechtolf regia, Rolf Glittenberg, scene, Marianne Glittemberg, costumi) avesse voluto tornare sul tradizionale (ambientazione settecentesca, grande eleganza nella recitazione) e fosse in ciò assecondata da Cristopher Eschembach (maestro concertatore) e dai Wiener Philarmoniker.

Il team è rimasto lo stesso, ma l'approccio è totalmente differente. L'ambientazione è oggi in un grande albergo (scena unica) dove il sesso sembra essere la preoccupazione principale di tutti. I riferimenti alle avventure "alberghiere" del politico francese DSK (Dominique Strauss Kahn) sono evidenti. Ci sono riferimenti pure nel programma di sala. Tuttavia, dato che viene utilizzata la versione di Praga con il coro finale di esultanza per la punizione del dissoluto, l'inno alla libertà con cui termina la prima parte, assume un colore molto speciale: a cosa serve la libertà se non si hanno obbiettivi chiari e se l'unico in cui si crede è il sesso sfrenato, ma privo di soddisfazioni?

Nonostante abbia circa 230 anni sulle spalle, “Don Giovanni” rispecchia meglio di altri lavori la tensione tra “zeloti” (ancorati al passato e alle sue regole sia scritte sia implicite) ed “erodiani” (rivolti, invece, verso la modernizzazione). Altro punto è l’ineluttabilità che, in una fase di transizione (quasi da “die verwandlung” della tradizione tedesca), ci sia un agente economico disponibile a fare il “falco” sino alle estreme conseguenze, ossia farsi uccidere, per facilitare l’affermarsi delle nuove regole. Il Don e il Commendatore, i “falchi”, devono giungere alla doppia morte (e alla caduta negli inferi) per fare avanzare la modernizzazione frenata dalle “colombe” (di cui Don Ottavio sarebbe lo stereotipo). Tuttavia, mentre i “falchi” e le “colombe” differiscono in materia di tempi e modi per affrontare il cambiamento, nell’ipotesi proposta in questo articolo gli “zeloti” il cambiamento non lo vogliono affatto e gli “erodiani” sono pronti a recepire “habits and rules” altrui pur di favorire il cambiamento. “Don Giovanni” ha specificità musicali che lo rendono molto più pregnante del libretto (immaginarsi cosa ne avrebbero fatto un Piccini, un Paisiello o un Salieri!). In primo luogo, sin dalla ouverture si avverte che siamo di fronte a qualcosa che è ben diverso da un’“opera buffa” o da un “dramma giocoso”. Dalle prime misure si avverte il fuoco dell’inferno in fa (che, tre ore più tardi, concluderà l’opera); il quadro è cosmico. In secondo luogo, il trattamento musicale del protagonista non ne fa né una caricatura del libertino quale tracciata da Tirso de Molina e José Zorrilla, né un proto-illuminista molieriano. La note di Mozart, avvolgono Don Giovanni in quel clima luciferino che si ritroverà, ad esempio, alcuni lustri più tardi nell’“opera nazionale” tedesca per sottolineare il carattere demoniaco di Kaspar de “ Der Freischütz” oppure, un secolo più tardi, della Nutrice di “Die Frau ohne schatten”. E’ luciferino lo stesso brindisi alla libertà del “finale primo”, giustapposto, simmetricamente, alla scena, pure essa luciferina, con il Commendatore nel “finale secondo”. Luciferianamente, né il Don né il Commendatore hanno una “cavatina” (aria di ingresso nelle convenzioni operistiche dell’epoca) o “cabalette” e “legati”.

Alcune sezioni del pubblico non hanno gradito questa lettura, al tempo stesso, attuale e politica. A mio avviso, essa merita invece elogi per la originalità e anche per la fedeltà al significato più riposto del messaggio.

Non sarebbe stata possibile senza interpreti di altissimo livello. Le qualità di Ildebrando D’Arcangelo (il Don) e Luca Pisaroni (Leporello) sono notissime. Così pure quelle del trio femminile (Lenneke Ruiten), Annet Fritsch, Valentina Nafornita) e di Tomasz Konieczny (il Commendatore). La vera sorpresa è Andrew Staples, un Don Ottavio che non si ascoltava da lustri. Altra scoperta il Masetto di Alessio Arduini che merita di essere maggiormente impegnato in Italia.

Ovazioni all’esecuzione musicale anche da parte di coloro che non hanno gradito la drammaturgia.

martedì 29 luglio 2014

Teatro dell’Opera, giriamo pagina in Formiche 26 luglio

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Teatro dell’Opera, giriamo pagina
26 - 07 - 2014Giuseppe Pennisi Teatro dell'Opera, giriamo pagina
Non si tratta di aprire le finestre o di mettere nuovi infissi per cambiare aria, ma di girare definitivamente pagina. Da anni il Teatro dell’Opera di Roma Capitale è controllato da una minoranza che impedisce agli altri di lavorare ed al pubblico di avere spettacoli di qualità. Siamo diventati lo zimbello della professione. Scrivo da Salisburgo dove è in corso il festival estivo ed i colleghi stranieri mi guardano con compatimento ed imbarazzo.
Bastano alcune cifre:
- Il Teatro fruisce della sovvenzione pubblica per spettatore pagante più alta al mondo, circa mille euro (anche senza tenere conto dei 50 milioni impegnati dal Governo per risanarlo)
- Il complesso orchestrale (oltre 90 che si vorrebbero portare a 110) è il doppio di teatri come la Deustche Oper, Berlin che ogni anno fa oltre 220 recite di opere e balletto (rispetto alle 70 del Teatro dell’Opera)
- Il personale fruisce di indennità inaudite in senso etimologico in quanto mai udite nel resto del mondo quale la trasferta per spettacoli alle Terme di Caracalla ed il privilegio di non suonare in due repliche successive, anche se a diversi giorni di distanza.
- Alcuni tra le maggiori voci e le principali bacchette si rifiutano di lavorare a Piazza Beniamino Gigli e dintorni dato che non si hanno certezze sui calendari degli spettacoli.
L’elenco potrebbe essere molto più lungo ma, a Salisburgo, cito a memoria. Comunque oltre due terzi delle maestranze si sono pronunciate contro lo sciopero ed il teatro è rimasto paralizzato a ragione della tirannia di una minoranza. Non c’è altra strada che la liquidazione, a cui sarebbe illegittimo accompagnare “cassa integrazione in deroga” od altre provvidenze. Chi perderà il lavoro si rivolta al piccolo gruppo che ha causato questa situazione. Se è vero che uno di costoro ha lavorato solo 62 giorni nell’anno scorso, la Procura della Corte dei Conti ha l’obbligo di aprire una procedura per il rimborso coatto dello stipendio, con pignoramento immediato dei beni.
Cosa fare? Riprendo la proposta che lancia circa quindici anni fa su Il Foglio e su Il Messaggero quando si era alle prese con una situazione analoga- proposta che allora ebbe il supporto di Franco Mannino e Giuseppe Sinopoli. Dato che frequento regolarmente il Teatro dal 1954 ed amo svisceratamente l’opera, ritengo che:
- Il Sindaco faccia qualcosa di equo ed efficiente e metta in liquidazione l’attuale fondazione  con licenziamento di tutti i dipendenti.
- A Roma non si faccia mancare l’opera ma si nomini un commissario ed un direttore  artistico (la  coppia Fuortes-Vlad va benissimo) per fare funzionare il teatro nelle more di concorsi internazionali per assumere chi ha davvero voglia di lavorare per la musica.
- Il commissario ed il direttore artistico dovrebbe operare come “impresari”, ingaggiando compagnie che vogliono e possono operare a Roma: Si potrebbe diversificare l’offerta (e quindi i prezzi). Ingaggiando compagnie a basso costo (ma di buona qualità) per spettacoli a biglietti accessibili a tutti, specialmente ai giovani (ci sono ottime compagnie stabili in Europa Centrali) ed invitando complessi come quelli di Monaco per tournée davvero speciali. Combinando innovazione con tradizione.
Si potrebbe iniziare con una vera operazione di rottura. Portare al Costanzi le quattro opere de “L’Anello del Nibelungo” di Richard Wagner – credo che il ciclo completo non si rappresenti, in forma scenica, a Roma dagli Anni Sessanta – dal Festival del Tirolo: per la quattro opere (tre cicli completi) con 130 orchestrali e 40 solisti (scene, costumi, effetti speciali) il contributo pubblico è pari a quello di cui fruisce in media una sola produzione al Costanzi ed i prezzi di posti con ottima visibilità ed acustica non superano 70 euro.