martedì 1 luglio 2014

Perché il debito torna a fare paura in Avvenire 2 luglio



Perché il debito torna a fare paura

La bassa inflazione costa cara. Rischi dalla sentenza sui Tango bond


GIUSEPPE PENNISI
C
ome era in qualche modo prevedibile, dopo le elezioni per il Parlamento europeo il tema del debito pubblico – in particolare di quel­lo italiano – è tornato sulle prime pagine dei gior­nali. Per economisti di rango – da Paolo Manasse a Guido Tabellini e Mario Baldassari – si sarebbe ol­trepassato il limite della sostenibilità e si dovrebbe­ro adottare misure drastiche. Che il governo le stia approntando è stato smentito il 30 giugno dal sot­tosegretario alla Presidenza, Graziano Del Rio, se­condo il quale il fardello potrebbe essere alleggeri­to seguendo «una strada nuova, ma per nulla im­provvisata »: gli eurounionbond (per mutualizzarne una parte con il resto dell’eurozona) proposti alcu­ni anni fa da Romano Prodi ed Alberto Quadro-Cur­zio con un fondo garantito da immobili dello Stato. Le autorità europee si sono già espresse più volte. In termini poco incoraggianti. Di «ristrutturazione» del debito scrive, senza mezzi termini, anche Lu­crezia Reichlin, a lungo alla guida del servizio studi della Banca centrale europea.

Come mai dopo un periodo in cui il tema pareva u­scito dall’agenda torna ora con tanto vigore? Ci so­no determinanti interne e internazionali. Quelle in­terne vengono in primo luogo dai dati sconfortan­ti sull’andamento delle reddito nazionale negli ul­timi sei mesi e dalle scoraggianti proiezioni per il resto dell’anno: se l’economia non cresce, il rap­porto tra stock di debito e Pil (prossimo al 135%) non può che aumentare. Per di più un livello di in­flazione così basso (0.3%) costa caro in termini di rapporto debito/Pil perché riduce il denominatore che viene espresso in termini nominali (includen­do, cioè, l’inflazione). Un documento del Fondo mo­netario diffuso due settimane fa considera Italia e Spagna i due Paesi «più contagiosi dell’eurozona», quelli nei cui confronti, in caso di crisi finanziaria, si accanirebbero i mercati internazionali trasmet­tendo caos al resto del sistema. Ove la situazione non fosse già abbastanza compli­cata, è scoppiata pure l’insolvenza tecnica dell’Ar­gentina. Una sentenza della Corte Suprema ameri­cana vieta di effettuare riduzioni al valore nomina­le e alla scadenze dei titoli emessi da Buenos Aires sul mercato Usa. Ciò crea due classi di creditori ed innesca miriadi di vertenze giudiziarie, causando tensioni sui mercati internazionali.

Il Fondo monetario sta correndo ai ripari con un documento d’indirizzo che dovrebbe essere varato questa settimana. Le proposte del Fondo sono chia­re: maggiore equità nelle ristrutturazioni (dal 1970 ne sono avvenute ben settanta) e l’impiego, per quanto possibile, di reprofiling (allungamento del­le scadenze mantenendo invariato valore nomina­le dei titoli e interessi) a uno stadio iniziale, prima che il debito diventi insostenibile e si debba ricor­rere a ristrutturazione frettolose (e caotiche). Nel maggio 2012, a conclusioni simili era giunto anche il Cnel al termine di una rassegna delle varie pro­poste allora in campo. Poco dopo l’associazione A­strid ha formulato una sintesi di misure puntuali al Governo Monti. Non è chiaro se le proposte passa­te in rassegna dall’allora esecutivo siano tuttora va­lide. Dovranno essere aggiornate alla luce dell’au­mento del peso del debito sul Pil e delle tensioni che vengono dall’Argentina e si stanno estendendo ad altri Paesi ed aree. Il reprofiling, se tempestivo, può essere la cornice per attuare un programma di di­smissioni e privatizzazioni. Ricorda però concor­dati , più o meno forzosi, sul debito pubblico, at­tuati in altri tempi e con altri regimi politici. Po­trebbe essere pertanto una soluzione non facile da vendere ai risparmiatori che hanno dato fiducia ai titoli di Stato.

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Un carovita allo 0,3% rende più oneroso pagare i titoli pubblici e influisce negativamente sul rapporto debito-Pil. Possibili ricadute della sentenza Usa contro Buenos Aires sulle proposte per aggredire il problema

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