Teatro dell’Opera, giriamo pagina
Non si tratta di aprire le
finestre o di mettere nuovi infissi per cambiare aria, ma di girare
definitivamente pagina. Da anni il Teatro dell’Opera di Roma Capitale è
controllato da una minoranza che impedisce agli altri di lavorare ed al
pubblico di avere spettacoli di qualità. Siamo diventati lo zimbello della
professione. Scrivo da Salisburgo dove è in corso il festival estivo ed i
colleghi stranieri mi guardano con compatimento ed imbarazzo.
Bastano alcune cifre:
- Il Teatro fruisce della
sovvenzione pubblica per spettatore pagante più alta al mondo, circa mille euro
(anche senza tenere conto dei 50 milioni impegnati dal Governo per risanarlo)
- Il complesso orchestrale (oltre
90 che si vorrebbero portare a 110) è il doppio di teatri come la Deustche
Oper, Berlin che ogni anno fa oltre 220 recite di opere e balletto (rispetto
alle 70 del Teatro dell’Opera)
- Il personale fruisce di
indennità inaudite in senso etimologico in quanto mai udite nel resto del mondo
quale la trasferta per spettacoli alle Terme di Caracalla ed il privilegio di
non suonare in due repliche successive, anche se a diversi giorni di distanza.
- Alcuni tra le maggiori voci e
le principali bacchette si rifiutano di lavorare a Piazza Beniamino Gigli e
dintorni dato che non si hanno certezze sui calendari degli spettacoli.
L’elenco potrebbe essere molto più
lungo ma, a Salisburgo, cito a memoria. Comunque oltre due terzi delle
maestranze si sono pronunciate contro lo sciopero ed il teatro è rimasto
paralizzato a ragione della tirannia di una minoranza. Non c’è altra strada che
la liquidazione, a cui sarebbe illegittimo accompagnare “cassa integrazione in
deroga” od altre provvidenze. Chi perderà il lavoro si rivolta al piccolo
gruppo che ha causato questa situazione. Se è vero che uno di costoro ha
lavorato solo 62 giorni nell’anno scorso, la Procura della Corte dei Conti ha
l’obbligo di aprire una procedura per il rimborso coatto dello stipendio, con
pignoramento immediato dei beni.
Cosa fare? Riprendo la proposta
che lancia circa quindici anni fa su Il Foglio e su Il Messaggero
quando si era alle prese con una situazione analoga- proposta che allora ebbe
il supporto di Franco Mannino e Giuseppe Sinopoli. Dato che
frequento regolarmente il Teatro dal 1954 ed amo svisceratamente l’opera,
ritengo che:
- Il Sindaco faccia qualcosa di
equo ed efficiente e metta in liquidazione l’attuale fondazione con
licenziamento di tutti i dipendenti.
- A Roma non si faccia mancare
l’opera ma si nomini un commissario ed un direttore artistico (la
coppia Fuortes-Vlad va benissimo) per fare funzionare il teatro nelle
more di concorsi internazionali per assumere chi ha davvero voglia di lavorare
per la musica.
- Il commissario ed il direttore
artistico dovrebbe operare come “impresari”, ingaggiando compagnie che vogliono
e possono operare a Roma: Si potrebbe diversificare l’offerta (e quindi i
prezzi). Ingaggiando compagnie a basso costo (ma di buona qualità) per
spettacoli a biglietti accessibili a tutti, specialmente ai giovani (ci sono
ottime compagnie stabili in Europa Centrali) ed invitando complessi come quelli
di Monaco per tournée davvero speciali. Combinando innovazione con tradizione.
Si potrebbe iniziare con una vera
operazione di rottura. Portare al Costanzi le quattro opere de “L’Anello del
Nibelungo” di Richard Wagner – credo che il ciclo completo non si
rappresenti, in forma scenica, a Roma dagli Anni Sessanta – dal Festival del
Tirolo: per la quattro opere (tre cicli completi) con 130 orchestrali e 40
solisti (scene, costumi, effetti speciali) il contributo pubblico è pari a
quello di cui fruisce in media una sola produzione al Costanzi ed i prezzi di
posti con ottima visibilità ed acustica non superano 70 euro.
Nessun commento:
Posta un commento