OPERA/ Se "Don Giovanni" diventa DSK (Dominique Strauss Kahn)
Pubblicazione:
mercoledì 30 luglio 2014
Il Don
Giovanni
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A cavallo tra l’ultimo lustro del XX secolo e il primo del XXI,
“Don Giovanni” di Lorenzo Da Ponte e Wolfgang A. Mozart ha soppiantato “Carmen”
di Georges Bizet in quanto opera più rappresentata al mondo. All’ultima conto
di Operabase (il maggior sito del settore), sono state ambedue
superate da “La Traviata’ di Giuseppe Verdi.
Occorre però dire che, per quanto attiene al ‘melodramma
giocoso’ di Da Ponte –Mozart, le classifiche non includono le due
rappresentazioni quotidiane offerte a Praga (dove la “prima” si è tenuta il 29
ottobre 1787) in un teatro di marionette con la musica registrata. Con “Don
Giovanni” è appena iniziato (dopo una ouverture spirituale di cui riferirò a
parte, la sezione opera lirica) il Festival estivo di Salisburgo.
Una caratteristica dello spettacolo - il secondo, in ordine di
tempo, di nuovo allestimento della trilogia Da Ponte Mozart iniziato l’estate
scorsa con ‘Così Fan Tutte’ - è di essere coprodotto con la Unitel ed una serie
di stazioni televisive. In Italia si potrà vedere e ascoltare il 3 agosto alle
20.15 sul canale Classica di Sky; seguiranno repliche televisive, in Italia,
più volte all’inizio di agosto e successivamente ci saranno riprese. A
Salisburgo questa prima tornata, iniziata il 27 luglio, durerà sino al 18
agosto; dal vivo lo spettacolo verrà ripreso in numerosi teatri europei.
Commentando un anno fa, il nuovo allestimento di ‘Così fan tutte’,
si è sottolineato come dopo la trasgressiva trilogia di Claus Guth (2007-2011 a
Salisburgo; ora alla Scala), l’équipe drammaturgica (Sven Erich Bechtolf regia,
Rolf Glittenberg, scene, Marianne Glittemberg, costumi) avesse voluto tornare
sul tradizionale (ambientazione settecentesca, grande eleganza nella
recitazione) e fosse in ciò assecondata da Cristopher Eschembach (maestro
concertatore) e dai Wiener Philarmoniker.
Il team è rimasto lo stesso, ma l'approccio è totalmente
differente. L'ambientazione è oggi in un grande albergo (scena unica) dove il
sesso sembra essere la preoccupazione principale di tutti. I riferimenti alle
avventure "alberghiere" del politico francese DSK (Dominique Strauss
Kahn) sono evidenti. Ci sono riferimenti pure nel programma di sala. Tuttavia, dato
che viene utilizzata la versione di Praga con il coro finale di esultanza per
la punizione del dissoluto, l'inno alla libertà con cui termina la prima parte,
assume un colore molto speciale: a cosa serve la libertà se non si hanno
obbiettivi chiari e se l'unico in cui si crede è il sesso sfrenato, ma privo di
soddisfazioni?
Nonostante
abbia circa 230 anni sulle spalle, “Don Giovanni” rispecchia meglio di altri
lavori la tensione tra “zeloti” (ancorati al passato e alle sue regole sia
scritte sia implicite) ed “erodiani” (rivolti, invece, verso la
modernizzazione). Altro punto è l’ineluttabilità che, in una fase di
transizione (quasi da “die verwandlung” della tradizione tedesca), ci sia un
agente economico disponibile a fare il “falco” sino alle estreme conseguenze,
ossia farsi uccidere, per facilitare l’affermarsi delle nuove regole. Il Don e
il Commendatore, i “falchi”, devono giungere alla doppia morte (e alla caduta
negli inferi) per fare avanzare la modernizzazione frenata dalle “colombe” (di
cui Don Ottavio sarebbe lo stereotipo). Tuttavia, mentre i “falchi” e le
“colombe” differiscono in materia di tempi e modi per affrontare il
cambiamento, nell’ipotesi proposta in questo articolo gli “zeloti” il
cambiamento non lo vogliono affatto e gli “erodiani” sono pronti a recepire
“habits and rules” altrui pur di favorire il cambiamento. “Don Giovanni” ha
specificità musicali che lo rendono molto più pregnante del libretto
(immaginarsi cosa ne avrebbero fatto un Piccini, un Paisiello o un Salieri!).
In primo luogo, sin dalla ouverture si avverte che siamo di fronte a qualcosa
che è ben diverso da un’“opera buffa” o da un “dramma giocoso”. Dalle prime
misure si avverte il fuoco dell’inferno in fa (che, tre ore più tardi,
concluderà l’opera); il quadro è cosmico. In secondo luogo, il trattamento
musicale del protagonista non ne fa né una caricatura del libertino quale
tracciata da Tirso de Molina e José Zorrilla, né un proto-illuminista
molieriano. La note di Mozart, avvolgono Don Giovanni in quel clima luciferino
che si ritroverà, ad esempio, alcuni lustri più tardi nell’“opera nazionale”
tedesca per sottolineare il carattere demoniaco di Kaspar de “ Der Freischütz”
oppure, un secolo più tardi, della Nutrice di “Die Frau ohne schatten”. E’
luciferino lo stesso brindisi alla libertà del “finale primo”, giustapposto,
simmetricamente, alla scena, pure essa luciferina, con il Commendatore nel
“finale secondo”. Luciferianamente, né il Don né il Commendatore hanno una
“cavatina” (aria di ingresso nelle convenzioni operistiche dell’epoca) o
“cabalette” e “legati”.
Alcune sezioni del pubblico non hanno
gradito questa lettura, al tempo stesso, attuale e politica. A mio avviso, essa
merita invece elogi per la originalità e anche per la fedeltà al significato
più riposto del messaggio.
Non sarebbe stata possibile senza
interpreti di altissimo livello. Le qualità di Ildebrando D’Arcangelo (il Don)
e Luca Pisaroni (Leporello) sono notissime. Così pure quelle del trio femminile
(Lenneke Ruiten), Annet Fritsch, Valentina Nafornita) e di Tomasz Konieczny (il
Commendatore). La vera sorpresa è Andrew Staples, un Don Ottavio che non si
ascoltava da lustri. Altra scoperta il Masetto di Alessio Arduini che merita di
essere maggiormente impegnato in Italia.
Ovazioni all’esecuzione musicale anche da
parte di coloro che non hanno gradito la drammaturgia.
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