martedì 31 gennaio 2017

Lirica, “La bella addormentata nel bosco” (con sorpresa) arriva a Cagliari in formiche del 31 gennaio



Lirica, “La bella addormentata nel bosco” (con sorpresa) arriva a Cagliari
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Lirica, “La bella addormentata nel bosco” (con sorpresa) arriva a Cagliari
Con i conti in ordine (e utilizzando se è il caso materiali di scena nei magazzini, ma ancora in buono stato), il Teatro Lirico di Cagliari riprende la tradizione di inaugurare la stagione con opere nuove o uscite dai normali programmi. La stagione scorsa venne inaugurata da una delle opere di Respighi che non si vede in Italia da decenni: “La campana sommersa”. Il successo ha varcato l’oceano: questa stagione, la produzione cagliaritana è nel programma della New York City Opera, dove verrà rappresentata in marzo.
Quest’anno, il 3 febbraio, una nuova riscoperta di un lavoro di Ottorino Respighi, “La bella addormentata nel bosco” (chiamata anche “La bella dormente nel bosco”), che non si ascolta dal 1967, quando venne rappresentata, in forma di concerto, a Torino. Respighi amava moltissimo quest’opera: vi lavorò dal 1920 alla sua morte nel 1933 (accantonando altre composizioni). L’opera viene rappresentata in un nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari che presenta la regia del pugliese Leo Muscato, già noto al pubblico cagliaritano per aver curato, nel 2012 (poi ripresa nel 2015), l’apprezzata messinscena di “Nabucco”, che vinse il Premio “Franco Abbiati” dell’anno, le scene di Giada Abiendi, i costumi di Vera Pierantoni Giua, le luci di Alessandro Verazzi e le coreografie di Luigia Frattaroli.
La direzione musicale di “La bella addormentata nel bosco” è affidata alla bacchetta di Donato Renzetti, che ritorna a Cagliari, a dirigere l’orchestra e il coro del Teatro Lirico, dopo il successo dell’opera inaugurale dello scorso anno “La campana sommersa”, maestro del coro è invece Gaetano Mastroiaco.
Ne esistono tre versioni. La prima venne concepita per i Piccoli di Podrecca, una compagnia di marionette allora molto famosa in Italia e all’estero. Venne rappresentata nella sede dei “Piccoli”, il teatro Odescalchi a Roma, nel 1922. Numerosi i personaggi (come si addice a un teatro di marionette). I cantanti, ciascuno dei quali interpretava più ruoli scelti tra le grandi voci dell’epoca. Organico ristretto, ma come “Ariadne auf Naxos” di Richard Strauss (più o meno dello stesso periodo) tale da avvolgere la sala di suoni sia mozartiani sia wagneriani. Il successo fu enorme e con i “Piccoli”, “La bella addormentata nel bosco”, fece il giro del mondo.
Dieci anni dopo, Respighi approntò una nuova versione che venne messa in scena dopo la morte dell’autore a Torino. In questa versione, il libretto resta sostanzialmente identico, ma l’organico orchestrale è più ampio, i cantanti restano in buca mentre mimi e ballerini sono sul palco. Anche in questo caso, l’opera era essenzialmente per i bambini. Ma Respighi stava lavorando a una terza versione per i più grandi; tale versione venne completata dalla moglie Elsa ed eseguita in versione di concerto alla Rai nel 1967.
La musica de “La bella addormentata nel bosco” è una delicata parodia degli stilemi operistici allora in voga, dal melodramma al verismo con omaggi a Wagner, Massenet, Debussy. C’è, però, un finale a sorpresa: non siamo più nel Settecento, ma nel Novecento. La bella dorme ancora. Un gruppo di ricchi americani giunge nel bosco per un pic-nic; il bel giovanotto, oggetto delle attenzioni di una miliardaria, risveglia la fanciulla con un tenero bacio mentre la partitura scivola in un fox-trot.

(Foto-bozzetto di scena di Giada Abiendi dal sito web del Teatro Lirico di Cagliari)
31/01/2017

lunedì 30 gennaio 2017

Perché divergono i giudizi delle agenzie di rating in Imprea Lavoro 31 gennaio



Perché divergono i giudizi delle agenzie di rating

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Le agenzie di rating e i voti che attribuiscono sono croce e delizia di Governi e investitori. Domani scadono i termini della risposta dell’Italia alla lettera dell’Unione Europea con cui si chiede al nostro Paese di modificare il deficit di bilancio previsto per l’anno in corso: la correzione richiesta è di 3,4 miliardi di euro. Se le autorità europee non vengono soddisfatte scatterebbe una procedura d’infrazione. «Una procedura d’infrazione sarebbe un grosso problema in termini di reputazione che l’Italia ha costruito, sarebbe un’inversione a U rispetto a quello che è stato costruito fino ad adesso»: così ha risposto alla stampa il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, a Bruxelles per l’Ecofin. Per l’Italia sarebbe un «grande problema» se la Commissione europea dovesse bocciare il bilancio 2017. In effetti a Via XX Settembre e dintorni, si temono in particolare le reazioni delle agenzie di rating. Un eventuale ulteriore ribasso del nostro rating potrebbe fare scattare una vera fuga dai titoli di Stato italiani, con effetti gravissimi sul nostro debito pubblici e sul suo rifinanziamento alle scadenze. Già oggi non siamo messi particolarmente bene tra i Paesi industrializzati a economia di mercato, come indica la tabella:
Nazione
S&Poor’s
Moody’s
Fitch
Dagong

Italia
BBB-
Baa2
BBB+
BBB-

Germania
AAA
Aaa
AAA
AA+

Francia
AA
Aa2
AA
A+

Spagna
BBB+
Baa2
BBB+
BBB+

Portogallo
BB
Ba1
BB+
BB

Stati Uniti d’America
AA+
Aaa
AAA
A-

Regno Unito
AA
Aa1
AA
A+

Giappone
A+
A1
A
A+

Svizzera
AAA
Aaa
AAA
AAA

Federazione Russa
BB+
Ba1
BBB-
A

Canada
AAA
Aaa
AAA
AA+

Australia
AAA
Aaa
AAA
AA+
Sono piuttosto noti i criteri micro-economici e finanziari che le agenzie di rating utilizzano quando valutano un’azienda: tasso di rendimento, flusso di cassa, margine operativo lordo, tasso di indebitamento e via discorrendo. In breve, gli attrezzi del mestiere del’analisi finanziaria e della matematico attuariale. Meno conosciuti i criteri impiegati per valutare lo stato attuale e le prospettive future di un Paese nonché la loro evoluzione negli ultimi anni. Risponde questa domanda un utile paper di Antonio Afonso e di André Massena Alburqueque, ambedue dell’Università di Lisbona: “I cattivi abbinamenti nella valutazione dei crediti sovrani” (“Sovereign Credit Rating Mismatches“, ISEG Economics Department Working Paper No. WP 02/2017/DE/UECE).
Il lavoro esamina le differenze di valutazione da parte delle quattro maggiori agenzie di rating nel periodo 1980-2015. Viene impiegato un sistema statistico abbastanza sofisticato. Il primo risultato è che, contrariamente alle aspettative, negli ultimi dieci anni gli squilibri strutturali e la insolvenze hanno contato relativamente poco nel giudizio complessivo. Al contrario negli ultimi cinque anni le variabili che più hanno pesato sul ‘rating’ di un Paese sono stati il livello del debito netto, il Pil procapite e un’insolvenza. Ciascuna agenzia attribuisce un peso differente a questi principali indicatori; da qui ‘i cattivi abbinamenti’ e le discordanze. Un’insolvenza nei tre- cinque anni precedenti diminuisce la differenze di ‘rating’ tra S&P e Fitch. Una differenza nel debito estero, invece, riduce le divergenze tra S&P e Moody’s.

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Cosa succederà al debito pubblico italiano con Donald Trump alla Casa Bianca in Formiche del 30 gennaio



Cosa succederà al debito pubblico italiano con Donald Trump alla Casa Bianca

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Cosa succederà al debito pubblico italiano con Donald Trump alla Casa Bianca
L'analisi dell'economista Giuseppe Pennisi
L’attenzione dei commentatori è in gran misura incentrata sul negoziato tra Italia e l’Unione Europea, sulle misure da prendere per non smorzare i tremuli segni di ripresa economica e, al tempo stesso, evitare una procedura d’infrazione comminata da parte delle autorità europee. C’è anche preoccupazione per lo spread, ma non se ne parla. Vediamo perché.
Come mostra la tabella (di fonte MTS), all’ultima rilevazione, lo spread rispetto ai titoli di riferimento (i decennali emessi dalla Bundesbank), sta aumentando, anche se è ancora inferiore a Paesi come il Portogallo e l’Ungheria (che non fa parte dell’unione monetaria), che sono in condizioni ben più difficili delle nostre.
tabella





Nell’ipotesi che lo spread rifletta “i sentimenti” dei mercati nei confronti dell’Italia e della sua politica economica, i “precetti” più che raccomandazioni dell’Ue, dovrebbe stimolare una strategia volta al consolidamento della finanza pubblica (soprattutto del rapporto debito/ Pil) che pesa come un macigno sulla crescita dell’economia reale.
Al tempo stesso, uno stimolo (ad andare in questa direzione) ed una minaccia dovrebbero essere le indicazioni che vengono dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. La politica monetaria americana è stata molto “accomodante” rispetto all’esigenza di uscita dalla crisi finanziaria, iniziata nel 2007-2008; e di sostenere poi una crescita economica, che nel 2016 ha subito un forte rallentamento. La Federal Reserve ha anche facilitato il Quantative Easing (Q.E) europeo, dando ai riluttanti prova che le misure non convenzionali di politica monetaria potevano avere, in certe condizioni, effetti positivi. La Federal Reserve ha già aumentato i tassi d’interesse due volte negli ultimi mesi e, secondo le voci che provengono da Washington, potrebbe farlo altre tre volte tre volte nel corso del 2017. Se saranno graduali o sostenuti, dipende dalla politica di bilancio che Casa Bianca e Congresso adotteranno. C’è da immaginare che, in seguito dati dell’andamento dei conti economici nazionali in dicembre, Casa Bianca e Congresso seguiranno una politica espansionista, specialmente in materia d’investimenti pubblici. A tale politica di bilancio, per evitare tensioni inflazionistiche, la Federal Reserve risponderà con aumenti dei tassi maggiori di quelli preconizzati a fine 2016. La stessa Bank of England ha fatto prevedere un aumento dei tassi (in linea con quelli degli Stati Uniti). Ed il Q.E è in fase di esaurimento.
A queste considerazioni se ne deve aggiungere un’altra che può sembrare tecnica, o peggio ancora “accademica”. Negli ultimi anni, c’è stata una forte correlazione nell’andamento delle principali categorie di asset (azioni ed obbligazioni). Nelle ultime settimane, annusando il cambiamento di politiche monetarie, hanno preso strade chiaramente divergenti. Una delle ragioni è che, se attuati, i tagli tributari annunciati da Trump miglioreranno la crescita (elemento positivo per la valorizzazione delle azioni) ma aumenteranno il deficit (elemento negativo per le obbligazioni). Nessuno riesce a prevedere quanto ampia la divergenza e quanto lungo il periodo in cui caratterizzare i mercati.
Veniamo all’Europa ed all’Italia. A ragione di quanto riassunto, lo spread tra i decennali Usa e quelli tedeschi supera quota 220. Quindi, se nel calcolo dello spread italiano, se si prende come riferimento i titoli decennali del Tesoro americano, siamo a prossimi a quota 400. Se il movimento asimmetrico tra azioni ed obbligazioni a livello mondiale continua ed inasprirsi, c’è da tremare per le prossime scadenze del debito pubblico.
Bruxelles lo sa. Evitiamo di mettere la testa sotto la sabbia.

Il voto anticipato penalizza l'Italia, ecco perché Il Sussidiario 30 gennaio



FINANZA E POLITICA/ Il voto anticipato penalizza l'Italia, ecco perché
Pubblicazione: lunedì 30 gennaio 2017
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Le delibere della Corte Costituzionale riassunte in un comunicato del 25 gennaio (ma di cui non si conosce ancora il dispositivo nel suo testo integrale) hanno riacceso il dibattito sui tempi e sui modi delle nuove elezioni: se attendere la scadenza dell’attuale legislatura (primavera-estate 2018) o anticiparle di un anno. I commentatori di politica si sono scatenati nell’analizzare gli obiettivi, le motivazioni, le prospettive delle singole forze politiche. I sondaggisti e gli statistici hanno, invece, elaborato scenari quantitativi di chi e di quale coalizione, a legislazione quale deducibile dal deliberato della Corte (con pochi aggiustamenti alla legge elettorale del Senato), potrebbe uscire vincitore o perdente da una tornata elettorale anticipata. Per ora, gli esiti delle simulazioni deludono tutti: il sistema politico è così frammentato che tutti uscirebbero sconfitti da elezioni politiche in inizio o tarda estate 2017.
Gli economisti hanno, sinora, tenuta la bocca chiusa. La professione non è particolarmente abile a tracciare scenari: basti pensare che gran parte della teoria sull’analisi di investimenti in condizioni di incertezza si basa, in parte, su riflessioni e applicazioni effettuate, in precedenza, nelle “segrete stanze” degli uffici studi del Pentagono (dove le “condizioni d’incertezza” sono in gran misura la norma). Gli economisti, però, hanno una teoria solida da cui si possono dedurre alcune conclusioni pertinenti alla domanda che ci siamo posti.
Consideriamo, in primo luogo, il contesto internazionale: ci sono segni di ripresa, ma anche di un riassetto geopolitico (un rapporto più stretto tra Stati Uniti e Gran Bretagna - dopo la decisione relativa alla Brexit- e tra Stati Uniti e Federazione Russa) e una ripresa del protezionismo. Questi due elementi potrebbero rallentare la ripresa di un’Unione europea che al suo interno appare sempre più divisa, anche su temi fondanti (come l’unione monetaria) e “ospita” nel seno dei suoi maggiori Paesi forti movimenti antieuropeisti. Le previsioni per il 2017 mostrano l’Italia come il fanalino di coda dell’unione monetaria, con un tasso di crescita inferiore a quello della Grecia. E, per di più, è a rischio di procedura d’infrazione da parte dell’Ue.

Il consenso di numerosi economisti (tanto italiani quanto stranieri) è che, unitamente all’elevato debito pubblico - sia in valore assoluto sia in rapporto al Pil - e alla produttività ferma ai livelli di quindici anni fa, l’Italia è rallentata dalla “distrazione di massa” dalle riforme economiche strutturali (concorrenza, 8.000 aziende a partecipazione pubblica, mercato del lavoro, una politica di innovazione che dedica risorse più ai perdenti che ai potenziali vincitori, un sistema bancario simile a un colabrodo) per dedicare invece attenzione a riforme istituzionali mal concepite e sonoramente bocciate al referendum dai cittadini.
Le forze politiche che più premono per elezioni anticipate dovrebbero ammettere che si tratterebbe di un’altra “distrazione di massa” che distoglierebbe la politica e i cittadini dalle effettive riforme economiche realmente urgenti per porre l’attenzione su una nuova, combattutissima, campagna elettorale. È normale che in questa situazione economica e occupazionale i movimenti di opposizione anelino a elezioni nella convinzione che l’elettorato dia loro consensi. È difficile comprendere la posizione del leader del Pd alla ricerca di una rivincita. Dopo la battaglia di Austerlitz, quando tutte le teste coronate d’Europa si inchinarono a Napoleone, Talleyrand sussurrò all’orecchio dell’Imperatore: “Maestà, la prima battaglia che perdi tutti saranno contro di te”. Perché cerca Waterloo, e Sant’Elena, tanto presto?


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