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Soeurs (che aveva debuttato
a Lione pochi mesi prima di Le Balcon ed era subito di- ventata un grande successo internazionale) e Angels in America (nell’allestimento di Francoforte). Se il lavoro di Barto´ k e` molto noto in Italia, meno lo e` Seven, un requiem per
i sette astronauti morti quando lo Space Shuttle Columbia si disintegro` nei cieli del Texas: un requiem laico, un memorial pro- fano
senza ricorso ad elementi di cerimonia funebre. I due lavori, mirabilmente diretti da Eo¨ tvo¨ s, fanno toccare con mano in modi diversi la specificita` della musica unghere- se, cosı` distante sia dalle esperienze slave sia da quelle prevalenti
nel mondo tedesco. In Seven siamo in un mondo che
ha echi dell’IRCAM (il centro di musica contempo- ranea francese creato e animato da Pierre Boulez, che ha passato il testimone
a Eo¨ t- vo¨ s nel ruolo di direttore
dell’Ensemble In- terContemporain - EIC) a ragione dell’effet- to stereofonico dei sei violini d’orchestra collocati attorno al pubblico,
come dei sa- telliti sonori, che dialogano sia con l’orche- stra che con il violino solista (Patricia
Ko- patchinskaja, una vera virtuosa). La prima parte si articola
in quattro « cadenze », la seconda in una serie di variazioni caleido- scopiche sino al finale in cui il violino soli- sta si confronta da solo con l’orchestra. L’e- secuzione fu molto raffinata e gli applausi
davvero sinceri da parte di un pubblico che, solo una quindicina di anni, prima ave- va disertato
in massa la seconda parte di La Vera Storia di Luciano Berio e
che due anni dopo (ossia nel 2013) avrebbe conside- rato « troppo moderno » Peter Grimes di Benjamin Britten per una inaugurazione di stagione.
Me lo
sono chiesto la seconda volta, sem- pre all’Accademia Nazionale di Santa Ceci- lia, quando Eo¨ tvo¨ s ha diretto un altro con- certo di musica ungherese,
stavolta intera- mente contemporanea, senza richiami
a
«
classici » come Barto´ k o Koda´ ly. La prima parte del concerto fu dedicata alle Melo- dien di Gyo¨ rgy Ligeti – scomparso nel 2006
– nonche´ a
Speaking Drums, composto nel 2012 da Eo¨ tvo¨ s. Melodien (di appena 15 mi- nuti) e` il lavoro della svolta di Gyo¨ rgy Lige- ti: abbandonato lo stile che lo ha reso cele-
bre (imperniato su strutture meccaniche o micro polifonie, alla Stockhausen), ritrova non solo la tonalita` ma anche l’eleganza se- colare magiara, nonche´ linee melodiche compiute. Speaking Drums segue la stessa linea, ma e` molto piu` complesso: un dialo- go tra circa 25 percussioni ed un’orchestra prevalentemente d’archi. Il vero coup de the´aˆtre
e` stata la presenza del giovane per- cussionista
salisburghese Martin Grubinger, che domina quindici strumenti
alla volta, danza e salta sulle percussioni, declamando un testo – chiamiamolo melologo!
– caratte- rizzato da urla piene, pare, di doppi sensi (colti solo da chi conosceva lo slang tede- sco) e battute. Grubinger, affiancato dai percussionisti dell’orchestra sinfonica del- l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ha quasi « schiacciato » gli altri strumentisti. Il divertimento fu grande, e gli applausi pre- sto tramutatisi in ovazioni.
Infine, all’inizio di dicembre del 2016, anco- ra all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Peter Eo¨ tvo¨ s ha portato una delle sue ulti- me opere per la scena. I suoi lavori teatrali hanno relativamente
poca circolazione
in Italia ed e` quindi un buon segno che, nella stagione sinfonica
in abbonamento, Santa Cecilia abbia inserito, ancorche´ in versione da concerto, Senza Sangue, un’opera in un atto per orchestra e due solisti su libretto di Mari Mezei, tratta da un racconto di Alessandro Baricco. L’opera, che ha debut- tato a Colonia nel 2015, e` stata vista, tra l’altro, ad Avignone, New York, Budapest ed Amburgo, quasi sempre in forma sceni- ca. La vicenda e` semplice: cinquant’anni prima dell’alzata del sipario, durante una guerra civile,
una bambina, nascosta
in una botola, e` stata risparmiata da uno dei tre componenti di un commando, un giovane che ha avuto pieta` di lei. Nel lungo lasso di tempo, la donna ha avuto una vita complessa ma realizzata. Gli altri due componenti del commando sono morti in circostante oscure. La donna, alla ricerca del terzo componente, lo ritrova, a 72 anni, piccolo
commerciante in un paesino.
Gli narra brani della sua vita. L’uomo pensa che la donna cerchi
vendetta per il fratello e il padre
uccisi. Lei lo perdona, anche se non riescono
a comunicare appie-
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no.
Cinquanta minuti, concepiti
come un po- tenziale dittico con Il Castello del Principe Barbablu`. Sette brevi scene (con Sonia Ga- nassi e Russel Braun come protagonisti e lo stesso Eo¨ tvo¨ s alla guida dell’orchestra ceci- liana) dalla tavolozza timbrica
estremamente generosa,
con cui il compositore
rivela gra- dualmente al pubblico la vicenda ed il suo si- gnificato. Grande
successo.
La
risposta alla domanda che mi sono posto all’inizio di questa nota risiede,
in gran misu- ra, nel fatto che Eo¨ tvo¨ s fonde la cultura mu- sicale ungherese (sopratutto Barto´ k) con quelle tedesca e francese. Rifugiatosi
dal- l’Ungheria
in Germania, ha suonato regolar- mente con l’Ensemble Stockhausen tra il 1968 ed il 1976, prima di approdare al parigi- no IRCAM ed essere – come si e` detto – dal 1979
al 1991 direttore
musicale dell’EIC. Tanto la sua musica strumentale quanto il suo teatro in musica, molto rappresentato all’estero, rinunciano
a tentazioni de-costru- zioniste per recuperare i principali modelli della tradizione novecentesca, con particola-
re attenzione a Berg, Zimmermann
e Ligeti. Da questa « fusione » nasce uno stile perso- nalissimo, sempre impregnato di una forte teatralita` ,
che si avverte anche nella musica
« dello spirito » come evidenziato, ad esem- pio, dal suo grandioso
Halleluja – Orato- rium balbulum,
presentato in
prima mon- diale l’estate scorsa al Festival di
Salisbur- go, nonche´ dal concerto di proprie composi- zioni sacre nella Chiesa dell’Universita` , sem- pre a Salisburgo (due eventi recensiti, all’e- poca, in questa rivista).
Questo Halleluja, sottotitolato oratorium balbulum (ossia oratorio balbuziente) e presentato
con i Wiener Philharmoniker diretti da Daniel Harding, il coro della radio ungherese, una voce recitante (Peter Simonischek), un te- nore dal registro acuto molto facile (Topi Lehtipuu) ed un mezzosoprano (Iris Vermil- lion) e` composto su libretto di Pe´ ter Ester- ha´ zy e si basa sulla vicenda
di un musicista
monaco di San Gallo nel 900 dopo Cristo, Notker Balbulus, successivamente canoniz- zato, che a causa della balbuzie aveva diffi-
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colta` a comunicare. Nell’oratorio, un narra- tore racconta come un angelo (mezzosopra- no) ponesse domande al profeta (tenore),
ma che questi non riuscisse a rispondere tempestivamente. Nel contempo,
il coro in- tona un Halleluja con citazioni da Monte- verdi, Ha¨ ndel, Mozart, Mussorgski e Bruck- ner: insomma, una parabola
della difficolta` di comunicazione del nostro tempo balbu- ziente e della necessita` di affidarsi all’Alto per capire (il grandioso
Halleluja finale). L’orchestra, di grandi dimensioni, era dispo- sta su tre piani sulla sinistra del palcosceni- co, mentre il coro era alla destra, per dare risalto ad una scrittura fortemente
connota- ta timbricamente, con molto spazio alle per- cussioni, all’organo ed ai violoncelli.
Interamente dedicato alle sue musiche era anche il terzo concerto diretto a Salisburgo nel luglio scorso con il Klangforum
Wien, un complesso specializzato in musica contem- poranea, elettronica ed elettroacustica,
che curiosamente si sposava benissimo
con l’e- legante barocco bavarese
della Collegiata
dell’Universita` . I tre brani presentati
per l’occasione
precedono, in una certa misura, l’attivita` operistica di Eo¨ tvo¨ s eppure sono fortemente teatrali.
Il primo, per flauto, cla- rinetto e orchestra, risale al 1995-96 e si inti- tola Shadows: interagendo con l’orchestra, i due strumentisti danno vita ad un vero e pro- prio teatro di ombre. Il secondo,
Sonata per 6, del 2005, commemora il 125 anniversario della nascita di Barto´ k, che viene commemo- rato da un concerto in cui un pianoforte digi- tale dialoga con un pianoforte
tradizionale, mentre un impianto elettronico
raddoppia i suoni ed interagisce con il resto dell’orche- stra. Infine,
Chinese Opera, di circa mezz’ora, che risale al 1985-86, quando Eo¨ tvo¨ s si stava avvicinando al teatro musicale
e ricorda quat- tro registi (Peter Brook, Luc Bondy, Klaus Michael Gru¨ ber e Patrice Che´ reau) che lo incoraggiavano in tale direzione.
E l’8 maggio la Filarmonica
della Scala, di- retta dallo stesso Eo¨ tvo¨ s, presentera` l’ultima creazione commissionata al compositore un- gherese: Alle vittime
senza nome 2016.
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