FINANZA E POLITICA/ Il voto
anticipato penalizza l'Italia, ecco perché
Pubblicazione:
lunedì 30 gennaio 2017
Lapresse
Le delibere
della Corte Costituzionale riassunte in un comunicato del 25 gennaio (ma di cui
non si conosce ancora il dispositivo nel suo testo integrale) hanno riacceso il
dibattito sui tempi e sui modi delle nuove elezioni: se attendere la scadenza
dell’attuale legislatura (primavera-estate 2018) o anticiparle di un anno. I
commentatori di politica si sono scatenati nell’analizzare gli obiettivi, le
motivazioni, le prospettive delle singole forze politiche. I sondaggisti e gli
statistici hanno, invece, elaborato scenari quantitativi di chi e di quale
coalizione, a legislazione quale deducibile dal deliberato della Corte (con
pochi aggiustamenti alla legge elettorale del Senato), potrebbe uscire
vincitore o perdente da una tornata elettorale anticipata. Per ora, gli esiti
delle simulazioni deludono tutti: il sistema politico è così frammentato che
tutti uscirebbero sconfitti da elezioni politiche in inizio o tarda estate
2017.
Gli
economisti hanno, sinora, tenuta la bocca chiusa. La professione non è
particolarmente abile a tracciare scenari: basti pensare che gran parte della
teoria sull’analisi di investimenti in condizioni di incertezza si basa, in
parte, su riflessioni e applicazioni effettuate, in precedenza, nelle “segrete
stanze” degli uffici studi del Pentagono (dove le “condizioni d’incertezza”
sono in gran misura la norma). Gli economisti, però, hanno una teoria solida da
cui si possono dedurre alcune conclusioni pertinenti alla domanda che ci siamo
posti.
Consideriamo,
in primo luogo, il contesto internazionale: ci sono segni di ripresa, ma anche
di un riassetto geopolitico (un rapporto più stretto tra Stati Uniti e Gran
Bretagna - dopo la decisione relativa alla Brexit- e tra Stati Uniti e
Federazione Russa) e una ripresa del protezionismo. Questi due elementi
potrebbero rallentare la ripresa di un’Unione europea che al suo interno appare
sempre più divisa, anche su temi fondanti (come l’unione monetaria) e “ospita”
nel seno dei suoi maggiori Paesi forti movimenti antieuropeisti. Le previsioni
per il 2017 mostrano l’Italia come il fanalino di coda dell’unione monetaria,
con un tasso di crescita inferiore a quello della Grecia. E, per di più, è a
rischio di procedura d’infrazione da parte dell’Ue.
Il consenso
di numerosi economisti (tanto italiani quanto stranieri) è che, unitamente
all’elevato debito pubblico - sia in valore assoluto sia in rapporto al Pil - e
alla produttività ferma ai livelli di quindici anni fa, l’Italia è rallentata
dalla “distrazione di massa” dalle riforme economiche strutturali (concorrenza,
8.000 aziende a partecipazione pubblica, mercato del lavoro, una politica di
innovazione che dedica risorse più ai perdenti che ai potenziali vincitori, un
sistema bancario simile a un colabrodo) per dedicare invece attenzione a
riforme istituzionali mal concepite e sonoramente bocciate al referendum dai
cittadini.
Le forze
politiche che più premono per elezioni anticipate dovrebbero ammettere che si
tratterebbe di un’altra “distrazione di massa” che distoglierebbe la politica e
i cittadini dalle effettive riforme economiche realmente urgenti per porre
l’attenzione su una nuova, combattutissima, campagna elettorale. È normale che
in questa situazione economica e occupazionale i movimenti di opposizione
anelino a elezioni nella convinzione che l’elettorato dia loro consensi. È
difficile comprendere la posizione del leader del Pd alla ricerca di una
rivincita. Dopo la battaglia di Austerlitz, quando tutte le teste coronate
d’Europa si inchinarono a Napoleone, Talleyrand sussurrò all’orecchio
dell’Imperatore: “Maestà, la prima battaglia che perdi tutti saranno contro di
te”. Perché cerca Waterloo, e Sant’Elena, tanto presto?
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