MOZART/ Un "Così"
che non piace a tutti al Teatro dell'Opera di Roma
Pubblicazione:
sabato 21 gennaio 2017
Foto di Yasuko Kageyamaa
A Roma Così
fan tutte, o La scola degli amanti di Mozart mancava da diversi
anni: dal 2007 quando è stato presentato nella sala ‘minore’ del Teatro
dell’Opera e dal 1995 quando si è visto nella sala ‘maggiore’ attualizzato alla
fine del secolo scorso con i personaggi in abiti di Giorgo Armani.
Il’ ’dramma
giucoso’ in due atti, su libretto di Lorenzo Da Ponte, è stata concepita
per il piccolo Burgtheater di Vienna, prevede brevi interventi di un coro di
pochi artisti e una fortissima teatralità ben messa in risalto dalle regie di
Patrice Chéreau a Aux-en-Provence (portata in tutta Europa e negli Usa) e di
Alvis Hermanis alla Komische Oper di Berlino.
Nella
vicenda, fatta di simmetrie e di scambi, si confrontano fermezza morale e
libertà individuale. In scena, sei personaggi (due coppie di innamorati, un
filosofo amico dei quattro e una servetta) ai quali la musica di Mozart infonde
specifiche caratteristiche psicologiche delineandone i caratteri, i sentimenti,
le idee e scandagliandone l’anima per coglierne ogni minima vibrazione,
mantenendo sempre un grande equilibrio tra sensualità, cinismo e amaro
“morality play” (commedia con un chiaro intento morale).
“Così” è il lavoro più difficile da
eseguite tra quelli ideati dal duo Da Ponte-Mozart, probabilmente, con “La
clemenza di Tito”, l’opera più ardua a mettere in scena di tutto il repertorio
mozartiano. Per questa ragione non perché considerata “indecente” sino quasi
all’inizio della seconda guerra mondiale, le sue esecuzioni sono state
abbastanza rare sino all’esplosione in questi ultimi anni motivata in gran
misura dal fatto che richiede unicamente sei cantanti, due brevi interventi del
coro, un piccolo organico orchestrale; inoltre si presta ad allestimenti
scenici sia leziosi (quasi goldoniani) sia attualizzati anche in modo
abbastanza esplicito (l’intreccio riguarda letti, lenzuola e tradimenti). E’
diventata comunque molto nota e si è vista ed ascoltata in allestimenti
in tutte le salse-
E’ un’opera
lunga, oltre tre ore di musica, con l’intervallo tra le due parti si sfiorano
le quattro. Il pubblico del Teatro dell’Opera romano è di norma tranquillo: al
calar del sipario, applausi (più o meno convinti) e poi si fugge per prendere
l’ultima corsa della metro, specialmente in una serata gelida come quella del
18 gennaio. Invece alla prima (il 18 gennaio) è successo l’imprevedibile: dopo
ovazioni quasi alla direttrice d’orchestra (Speranza Scappucci) ai sei
interpreti (Francesca Dotto, Chiara Amarù, Monica Bacelli, Juan Francisco
Gatell, Vito Priante , Pietro Spagnoli), all’orchestra ed al coro (il quale,
diretto da Roberto Gabbiani, ha cantato in buca) all’apparizione del
pluridecorato regista Graham Vick e dei suoi collaboratori è scoppiato il
putiferio fischi e proteste a più non posso.
L’opera che
– come accennato – è stata ambientata nei contesti più diversi , questa volta è
stata situata in una scuola elementare o di medie inferiori. Dato che il titolo
originario era La Scuola degli Amanti , porre l’azione ai
tempi nostri in una classe scolastica sarebbe potuto andare bene ma si sarebbe
dovuto trattare di una università (magari per una laurea triennale) oppure
dell’anno della maturità.
Dal libretto
si evince che le ragazze hanno sui 15 anni ed i giovanotti un po’ di più; ma si
era nel 1790, ci si fidanzava, sposava (e moriva) prima. Per di più i costumi
erano francamente deludenti: con i due giovanotti travistiti da guerriglieri
dell’Isis. Vick ha puntato molto( ed efficacemente) sulla
recitazione, ma non pare aver colto la principale difficoltà di
realizzazione (sia scenica sia musicale) del lavoro: mentre la prima parte è
brillante ed ironica, la seconda è un’amara riflessione sul genere umano in cui
ciascuno è, simultaneamente, infedele e geloso
Lo hanno
compreso bene i musicisti. Speranza Cappucci, dal podio ed al forte piano
durante i ‘recitativi secchi’, ha colto perfettamente la differenza tra le due
parti del ‘dramma giocoso( e l’orchestra la ha assecondata perfettamente..
Pietro Spagnoli – lo ricordo nella produzione ‘cinese’ di Aix - ha curato
perfettamente la propria voce in questo quarto di secolo ed è un ottimo
Don Alfonso . A Juan Francisco Gatell (in bermuda bianchi) è anche
un grande attore e gli ha a pennello la vocalità chiara e ben articolata
richiesta da Mozart per Ferrando. Vito Priante è un solido Guglielmo.
Molto bravo il terzetto femminile (Francesca Dotto nel ruolo di Fiordiligi,
Chiara Amarù in quello di Dorabella, e Monica Bacelli in quello di Despina) ma
con costumi che non giovano a nessuna delle tre.
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© Riproduzione Riservata.
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