Tannhäuser a Venezia
gennaio 30,
2017 Giuseppe Pennisi
Dopo gli
ultimi flop c’erano molte aspettative per questo nuovo allestimento di
Tannhäuser co-prodotto da La Fenice con i teatri d’opera di Anversa, Berna e
Genova
Tannhäuser che Richard Wagner sottotitolò
grande “opera romantica” è l’ultimo lavoro del compositore basato sul lessico
del grand opéra: numeri chiusi, duetti, concertati. Dall’opera
successiva, Lohengrin, Wagner iniziò la “rivoluzione” verso il musikdrama.
Tannhäuser è stata molto presente nei cartelloni italiani sino agli Anni
Settanta , sovente in versione ritmica italiana. Ma da circa trenta anni è
apparsa raramente sulle scene e spesso in versioni discutibili.
Poche le
buone edizioni recenti di Tannhäuser. Francamente mediocri le due
apparse a Roma, una negli Anni Ottanta ed una nel 2009, nonché quella
presentata circa quindici anni fa a Napoli ed a Palermo. Da qualche anno Tannhäuser
non porta bene alla Scala. Nel 2005, l’allestimento Tate-Curran lasciò il
pubblico alquanto freddo. Nel 2010 l’edizione Mehta-La Fura lo ha lasciato
perplesso, nonostante lo spettacolo salutasse il ritorno di Zubin Mehta nella
fossa del Piermarini per dirigere un’opera dopo oltre trent’anni.
Del lavoro
esistono due versioni principali: quella di Dresda del 1843 (molto tersa e
compatta) e quella di Parigi del 1861 (cromatica) rivista, dopo alcuni mesi,
per Vienna. I due Tannhäuser sono opere profondamente differenti nella
concezione drammatica e nella partitura. Tranne poche modifiche (il balletto
richiesto dell’Opéra e proposto come “baccanale” all’inizio del lavoro, invece
che al secondo atto, come da prassi), il testo di arie, recitativi, sestetti
non è cambiato (Tannhäuser, precede Lohengrin, ed è una “opera
romantica” in senso stretto). Nel Tannhäuser parigino la partitura,
inoltre, è intrisa di cromatismi, quelli con cui in Tristan und Isolde
aveva gettato il germe della musica contemporanea. Buon senso consiglia di
scegliere. Nel 2009 a Roma si è vista e ascoltata la versione di Parigi quale
riadattata, in tedesco, per Vienna. Alla Scala è stata proposta una versione
ibrida, detta “di Monaco 1994”, in cui, essenzialmente, si sostituisce la parte
iniziale della “versione di Dresda” per introdurre il baccanale della “versione
di Parigi”. La vicenda è spostata dalla Turingia medioevale a un Rajasthan,
visto con gli occhi dei film di Bollywood.
Dopo questi
flop c’erano molte aspettative per questo nuovo allestimento co-prodotto
da La Fenice con i teatri d’opera di Anversa, Berna e Genova. Un ritorno quindi
molto atteso anche perché si presentava come uno spettacolo pieno di promesse:
Omer Meir Wellbern sul podio, regia di Callixto Bieito (noto per le suo
versioni trasgressive anche di opere per educande), un grande cast
internazionale. Si proponeva una versione “ibrida”. In cui il primo atto è
quello parigino del 1861 mentre il secondo e il terzo sono quelli presentati a
Dresda nel 1843.
Invece, è
proprio la regia di Bieito. Si apre in una densa foresta dove lussuriose ninfe
e satiri (se ci sono) sono nascosti da folti fusti di alberi pieni di foglie.
Il dramma è incentrato sul menestrello che vuole tornare dai suoi compagni e
colleghi e dalla figlia del Langravio di Turingia, Elisabetta, da un lato e
Venere che lo vuole di trattenere con sé. Non mancano trasgressioni, ma in
tono minore. Diventano più serie quando dopo la gara di canto quattro dei
colleghi del protagonista tentano uno stupro di gruppo Elisabetta.
Nel terzo
atto quando, ancora in un ambiente lugubre e scuro, il rapporto tra Elisabetta
e Wolfram (il miglior amico di Tannhäuser) resta quanto meno ambiguo, il coro
di pellegrini che rientrano da Roma è avvolto tra le nebbie o in buca, l’ultimo
tentativo di Venere di riappropriasi di Tannhäuser è vagamente lascivo e la
morte ed il funerale di Elisabetta sembrano algidi. Di livello invece la parte
musicale. La sera in cui ho assistito all’opera (il 24 gennaio), ha
interpretato il ruolo del titolo, l’irlandese Paul McNamara ottima
l’impostazione della voce, timbro squillante, acuti raffinati. Austrine
Stundryte è una Venere più passionale che sensuale. È invece sensuale
oltre che religiosa Liena Kinéa nel ruolo di Elisabetta. Cristoph Pohl è un
Wolfram di ottimo livello. Molto buona la concertazione di Omer Meir
Wellbern.
Foto ©
Michele Crosera
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