lunedì 31 dicembre 2012

TE DEUM/ Un inno fatto per dire "grazie" (testo integrale e traduzione) in Il Sussidiario del 31 dicembre



TE DEUM/ Un inno fatto per dire "grazie" (testo integrale e traduzione)

lunedì 31 dicembre 2012
TE DEUM/ Un inno fatto per dire grazie (testo integrale e traduzione)L'Exultet di Avezzano, ritenuto la più antica partitura sacra pervenuta (Immagine d'archivio)
http://ced.sascdn.com/diff/718/2133935/banner-news2.jpg
Oggi ultimo giorno dell’anno, in tutte le Chiese, dopo il Vespro o dopo la Messa serale si intona il Te Deum, inno di ringraziamento all’Alto per l’aiuto che ci ha dato nei dodici mesi appena terminati. È un canto in prosa, non in versi, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Viene solitamente attribuito a San Cipriano di Cartagine, ma anche a Sant’Ambrogio e a Sant’Agostino (nel giorno del battesimo di quest’ultimo). Oggi, gli specialisti sostengono che la redazione finale si deve al Vescovo di Remesiana (attualmente Bele Palanka nella Serbia centrale) alla fine del IV Secolo. Naturalmente, la partitura originale non ci è stata tramandata. Verosimilmente aveva molti punti in comune con l’Exsultet di Avezzano, forse la prima partitura rimastaci (risale al X secolo ed è dipinta su tela), ascoltata nel 2007 a Roma a Santa Maria Maggiore in una rara occasione in cui la tela su cui è vergata (con le annotazioni musicali) è stata mostrata al pubblico.
L’inno, di solito cantato a cori alterni (presbitero, o celebrante, e la congregazione, il popolo), si può dividere in tre parti. La prima, fino a Paraclitum Spiritum, è una lode trinitaria indirizzata al Padre. Letterariamente è molto simile ad un’anafora eucaristica e contiene il triplice Sanctus. La seconda, da Tu Rex Gloriæ a Sanguine Redemisti, è una lode a Cristo Redentore. L’ultima, da Salvum Fac, è un seguito di suppliche e di versetti tratti dal libro dei Salmi.
In quanto inno di ringraziamento, viene cantato in numerose occasioni solenni, al termine di un Conclave o di un Concilio od anche per occasioni puntuali di celebrazione. Nell’opera Tosca di Giacomo Puccini viene intonato alla fine del primo atto in Sant’Andrea della Valle a Roma all’arrivo della notizia, successivamente rivelasi falsa, secondo cui la “coalizione” avrebbe sconfitto l’armata di Napoleone nella battaglia di Marengo. Puccini era un laicista e giustappone il Te Deum, intonato sia dai sacerdoti sia dalla congregazione, ai desideri libidinosi del Barone Scarpia, il temuto capo della polizia nella Roma dell’epoca, che vuole sedurre la protagonista del lavoro. 
Tuttavia, gran parte dei musicisti che hanno composto “loro” versioni del Te Deum (ad esempio, Purcell, Händel, Charpantier,  Bruckner, Berlioz, Lulli, Mendelssohn, Mozart, Haydn, Verdi, Galassi, Reger) hanno mantenuto la struttura originale, apportando principalmente variazioni in linea con il loro stile e con la loro epoca. 
Pochi sanno che il preludio del Te Deum di Charpantier è la sigla dell’inizio e della fine delle trasmissioni in Eurovisione e viene anche suonato al termine dei concerti del gruppo pop-rock italiano I Nomadi.

In altre occasioni, anche di recente, abbiamo ricordato su questa testata, l’importanza che Papa Benedetto XVI attribuisce alla musica. In occasione del suo ottantesimo compleanno ha detto: “Sono convinto che la musica sia il linguaggio universale della bellezza, capace di unire tra loro gli uomini di buona volontà su tutta le terra e di portarli ad alzare lo sguardo verso l’Alto ed ad aprirsi al Bene ed al Bello assoluti, che hanno la loro ultima sorgente in Dio stesso”. Dovremo riflettere su queste parole quando questa sera alle 17, nella basilica di San Pietro, il Papa presiederà i vespri e reciterà il Te Deum.




domenica 30 dicembre 2012

La danza dello spread porta dritti al Quirinale in Il Sussidiaeio 31 dicembre



SPILLO/ La danza dello spread porta dritti al Quirinale
lunedì 31 dicembre 2012
SPILLO/ La danza dello spread porta dritti al QuirinaleInfophoto
http://ced.sascdn.com/diff/718/2077974/MoMec_Sussidiarioul2.gif
Come si comporterà Mr. Spread nell’“anno del serpente”? Come già ricordato su ilsussidiario.net questo è l’attributo che il calendario cinese dà al 2013; ciò non vuol dire - lo ribadiamo - dodici mesi di inganni e di veleni, ma, sempre secondo la cultura e la tradizione cinese, una fase di calma relativa che potrà essere interrotta da sussulti anche forti. Da diversi anni, nutro un certo scetticismo nei confronti delle previsioni macroeconomiche, poiché la modellistica sottintende che si sia in un mondo economico non di “socialismo reale” ma di “comunismo integrale” in cui tutti gli agenti economici di un Paese hanno le stesse preferenze, le stesse aspettative, le stesse propensioni al consumo, al risparmio e all’investimento. Comunque, “la triste scienza”, che da oltre quarant’anni professo e insegno, non sembra avere escogitato sinora di meglio per confutare il detto di Oscar Wilde secondo cui “le previsioni sono difficili unicamente allorché riguardano il futuro”. 
Prendiamo come tavola di bordo l’ultima tornata di quelle dei 20 istituti econometrici che costituiscono il gruppo del “consensus” (tutti privati, nessuno italiano). Quindi , il più possibile non partisan. Il quadro per il 2013-2014 non è roseo. Gli Stati Uniti sono entrati in una fase di rallentamento che potrebbe sfociare in recessione. L’area dell’euro non darà complessivamente segni concreti di ripresa sino alla primavera 2014; nel suo interno, Germania, Austria, Benelux e Finlandia continueranno a tirare, ma con poca forza, la Grecia perderà altri cinque-sette punti percentuali del Pil, la Spagna due-tre e l’Italia tra uno e uno e mezzo.
Ciò nonostante, la crescita dell’economia internazionale proseguirà a tassi tra il due e il tre per cento l’anno, a ragione dello sviluppo delle economie emergenti. Come già indicato, è in corso una profonda ristrutturazione mondiale di produzione, consumi, redditi, risparmi e investimenti. Destinata a durare alcuni anni.
Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, il vero grande rischio è che i ritardi nell’effettuare riforme mirate ad aumentare l’efficienza adattiva (ossia la capacità di adattare il proprio sistema economico e sociale al nuovo contesto) faranno esplodere la bolla del debito pubblico dei paesi “vecchi”: secondo lo scenario tendenziale, nel 2040 quello di Francia, Italia, Spagna e Grecia supererebbe il 400% del prodotto nazionale, quello della Germania (il Paese relativamente più virtuoso) il 300% e quello del Giappone il 600%. Se ciò si verificasse, i titoli pubblici di gran parte dei paesi “maturi” varrebbero quanto carta straccia.
Quindi, per l’Italia il 2013 sarà un nuovo anno nella corsia dell’aggiustamento. Se prendiamo Mr. Spread come indicatore sintetico dell’efficienza adattiva rispetto alle “buone prassi” dei paesi europei più “virtuosi” nel metabolizzare il nuovo contesto, quali indicazioni si possono formulare?
Lo spread è uno strano augello (per parafare la Habanera della Carmen di Bizet). Dipende in gran misura da come i mercati percepiscono l’informazione, anche e soprattutto le news prodotte dai media. Lo dimostrano vicende italiane recenti. Il Paese ristagna da quindici anni ed è in recessione da circa cinque, ma la divergenza tra i tassi italiani e tedeschi sui titoli a lungo termine è scoppiata la scorsa estate dopo che nella prima metà di luglio i media hanno enfatizzato, a torto o a ragione: a) un presunto malaffare tra i collaboratori più stretti del Ministro dell’economia e delle finanze; b) le proteste crescenti dei Ministri dei dicasteri di spesa nei confronti del titolare dell’economia e delle finanze a motivo dei “tagli” ai bilanci delle amministrazioni da loro guidate; c) una vera o falsa perdita di fiducia tra il Presidente del Consiglio e il dicastero dell’economia; d) un effettivo o immaginario scompiglio del Governo tale da rendere il Paese senza bussola.
Per i prossimi mesi, in materia di spread ci sarà verosimilmente la calma che accompagna, consuetamente, l’“anno del serpente”. E un’attesa dei risultati elettorali. Successivamente, dalla primavera, lo spread dipenderà dall’esito delle elezioni. Tracciamo due ipotesi estreme quale che sia la scelta personale di ciascuno di noi rispetto a quanto offerto nello smorgasbord sul tavolo della politica. Nella prima, presumiamo la formazione di un Governo solido, rivolto ai comuni obiettivi del resto dell’eurozona, riformatore e sostenuto da un Parlamento compatto. Mr. Spreadpotrebbe assottigliarsi. Nella seconda, la prossima legislatura apparirà, sin dalla proclamazione dei risultati, breve e tormentata in quanto il Parlamento assomiglierebbe al colorito Tiergarten di Berlino. Dopo alcuni mesi di confusione in cui Mr. Spread ballerebbe come al Carnevale di Rio, i gruppi politici dovrebbero trovare un assestamento attorno a pochi poli e pochi partiti, si dovrebbe varare una nuova legge elettorale e andare di nuovo alle urne.
Più importante dell’esito delle elezioni per il Parlamento, sarebbe, in questo quadro, chi diventerebbe Presidente della Repubblica, con il difficile compito di gestire con esperienza, acume e onesto cinismo questa delicata fase al fine di fare sì che la transizione non sia troppo lunga e troppo dolorosa. Sarebbe la scelta dell’inquilino del Quirinale a dettare il tempo alla samba di Mr. Spread.
Almeno più importanti delle elezioni italiane, ci sono quelle tedesche in settembre. Floyd Norris sulNew York Times acutamente rileva che, nonostante il rallentamento dell’economia tedesca, le tensioni elettorali potrebbe comportare un aumento dei tassi d’interesse oltre Reno (oggi all’1,43% per i titoli decennali). In tal caso, lo spread potrebbe ridursi non a ragione di un ribasso dei titoli italiani ma di un rialzo di quelli tedeschi.
Buon anno a tutti.


© Riproduzione Riservata.


Riusciranno “i nostri eroi” a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013? in Formiche del 30 dicembre



Riusciranno “i nostri eroi” a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013?
30 - 12 - 2012Giuseppe Pennisi Riusciranno "i nostri eroi" a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013?
Con tutti i suoi limiti, l’econometria ci dice che il pareggio di bilancio, stella polare del programma del prossimo Governo, è un obiettivo scarsamente realizzabile, anche nell’eventualità di un Governo saldo ed orientato verso l’Europa.
Riusciranno “i nostri eroi” a giungere nel 2013 al pareggio di bilancio come previsto dal Fiscal Compact, dalla legge costituzionale approvata in aprile e soprattutto – ma chi se ne è accorto? – dall’ultimo provvedimento varato dal Parlamento prima di essere sciolto – la legge “Disposizioni per l’attuazione del principio di bilancio ai sensi dell’art.81 sesto comma della Costituzione”?
Non sappiamo chi saranno “i nostri eroi”. Lo sapremo dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento. E non necessariamente il giorno dopo o la settimana seguente. E’ verosimile che data la segmentazione del sistema politico saranno necessarie alcune settimane di negoziati (mentre verranno eletti Presidenti di Camera e Senato e formate le Commissioni dei due rami del legislativo) per definire la struttura del Governo ed il suo programma. Il “pareggio di bilancio” è, comunque, un punto programmatico fermo. Anzi, dovrebbe essere la stella polare dell’azione di Governo dato che l’Italia ha firmato con entusiasmo il Fiscal Compact, lo ha ratificato con un entusiasmo ancora maggiore, non ha perso tempo a varare una norma “rinforzata” in aprile ed assicurato il varo di specifiche disposizioni attuative prima dello scioglimento delle Camere.
I nostri eroi (quale che sia il loro colore) sono, direbbe il Vice Ministro Michel Martone, sfigati e incastrati: il primo Governo ed il primo Parlamento della Repubblica vincolati non solo da trattati internazionali e leggi “rinforzate” di rango costituzionale ma anche da norme attuative approvate in articulo mortis dai loro predecessori, nonostante autorevoli componenti della “strana maggioranza” (specialmente nell’ambito del PD) si scambiassero appunti feroci e velenosi su alcuni dei 21 articoli del provvedimento, accusandosi a vicenda di scarsa competenza tecnico-economica.
Dato che il 2012 sta per terminare, rimandiamo al 2013 (“anno del serpente”, secondo il calendario cinese – dunque non immune da veleni) osservazioni su alcuni controversi aspetti tecnici della norma. Soffermiamoci, invece, sulle probabilità di arrivare al pareggio di bilancio nel consuntivo 2013.
Secondo le stime della Commissione Europea (CE) e dei 20 istituti econometrici che costituiscono il gruppo del “consensus” (tutti privati, nessuno italiano), i conti pubblici italiani del 2012 si chiudono con un disavanzo pari all’1,4% del Pil – la cifra esatta si saprà tra circa tre mesi quando i dettagli saranno stati riveduti e corretti in quelle che sono ancora stime basate sulla contabilità dei Ministeri a fine novembre. Tuttavia, non credo che ci saranno sorprese significative. Vale la pena sottolineare che è raro che i dati previsionali CE e consensus coincidano.
Differente la situazione delle previsioni per il 2013: la CE prevede un disavanzo “strutturale” del 0,4% ed il consensus ne stima uno dello 0,9%. Il Governo uscente ha sottolineato che il disavanzo “strutturale” verrà curato da misure quali quelle della spending review. La stima del consensus è la media aritmetica di una gamma piuttosto ampia di previsioni: alcuni dei 20 istituti stimano un disavanzo pari allo 0,5% (o anche inferiore), altri all’1% (o anche di più). Se si esaminano stime econometriche a 24 mesi, prodotte da quasi tutti gli istituti del consensus, il disavanzo si aggirerebbe attorno all’1,5% sino al terzo trimestre 2014. Resterebbe, quindi, immutato rispetto al livello di fine 2012.
Tanto il Fiscal Compact quanto le norme italiane di ratifica, di legge rinforzata e di disposizioni attuative contemplano deroghe per eventi eccezionali che comportino scostamenti dall’obiettivo programmatico strutturale. Le deroghe sono essenzialmente del Protocollo interpretativo del Trattato di Maastricht concluso nel 2005, che servì a giustificare non solo gli scostamenti dei PIIGS (Portogallo , Irlanda, Italia, Grecia, Spagna – ancora non li si chiamava così) ma anche quelli, ben più importanti, di Francia e Germania. Riguardano azioni al di fuori dal controllo di Governo e Parlamento: catastrofi naturali, recessioni internazionali e via discorrendo. Le disposizioni attuative prevedono un sistema di monitoraggio, l’istituzione di un Ufficio parlamentare di bilancio, una relazione del Governo al Parlamento su scostamenti e meccanismi di correzione. Di tutto ciò, parleremo all’inizio del 2013.
Soffermiamoci ora sul punto centrale: con tutti i suoi limiti (ma non esistono strumenti migliori se non il ricorso ad augùri ed ad esorcisti), l’econometria ci dice che il pareggio di bilancio, stella polare del programma del prossimo Governo, è un obiettivo scarsamente realizzabile, anche nell’eventualità di un Governo saldo ed orientato verso l’Europa (nonché deciso a portare “più Europa” in Italia). Cosa succederebbe, invece, se, dopo le elezioni, il Parlamento assomigliasse al colorito Tiergarten di Berlino e si fosse costretti a definire una legislatura breve per ricompattare il sistema politico, darsi una nuova legge elettorale e tornare alle urne il più presto? Non solo lo spread arriverebbe alle stelle ma il pareggio di bilancio, anche nei limiti quantizzati in questa nota, diventerebbe una chimera.

sabato 29 dicembre 2012

Quell’irresistibile ascesa del debito sovrano in Avvenire del 30 dicembre



gli scenari Quell’irresistibile ascesa del debito sovrano


DI GIUSEPPE PENNISI

P er afferrare il significato dei ne­goziati paralleli in corso in que­ste ore a Washington e Tokyo sul debito pubblico nazionale, occor­re porli in un contesto più vasto: quel­lo dell’irresistibile ascesa del debito sovrano. I due negoziati differiscono a ragione delle diversità di sistema po­litico- istituzionale: nella capitale a­mericana, l’esecutivo e il Congresso stanno cercando di giungere ad un accordo per non travalicare i limiti al debito pubblico posti da una legge fe­derale; in quella giapponese, il gover­no si è impegnato, tramite il ministro delle Finanze Taro Aso, a presentare, entro il 7 gennaio, un programma che, simultaneamente, stimoli la crescita e riduca il peso del debito. Il consi­gliere speciale di Aso, Koichi Amada, ha anticipato ad una ristretta cerchia di specialisti che si potrebbe porre la Banca nazionale del Giappone sotto la guida del ministero delle Finanze (togliendole l’indipendenza, peraltro limitata, di cui gode) al fine di assicu­rare una maggiore sinergia tra politi­ca di bilancio e politica della moneta. Le giornate di tensione a Washington e a Tokyo hanno come fondale uno studio della Bri, la Banca dei regola­menti internazionali (ne sono autori Stephen Cecchetti, Madusudan Mohanty e Fabrizio Zampolli) in cui si presentano stime del debito pub­blico in rapporto al Pil sino al 2040: senza correttivi energici, allora il de­bito pubblico di Francia, Italia, Spa­gna Grecia supererebbe il 400% del prodotto nazionale, quello della Ger­mania (il Paese relativamente più vir­tuoso) il 300% e quello del Giappone il 600%. Se tale scenario si verificasse, i titoli pubblici di gran Parte dei Pae­si 'maturi' varrebbero quanto carta straccia, dato che sarebbe alta la pro­babilità di insolvenza o esplicita (con­solidamento, allungamento pluride­cennale delle scadenze) o implicita (strategie inflazionistiche per deprez­zare il valore dei debiti). Un lavoro di David Rhodes e Daniel Stelter del Bo­ston Consulting Group ha analizzato, quasi contemporaneamente, cosa si dovrebbe fare per non superare un tetto del 180% del Pil (sempre entro il 2040). Mentre gli Usa possono in par­te contare su un aumento della pro­duttività (grazie alla dinamica demo­grafica e al forte accento su ricerca e sviluppo), le prospettive per l’Ue so­no terrificanti: l’austerità degli ultimi anni sarebbe l’antipasto di un pran­zo ancora più amaro, tale da poter ag­gravare la situazione se non si trovas­se il modo di migliorare la produtti­vità in misura significativa. Rhodes e Stelter si augurano che i Paesi emer­genti del G20 vengano in aiuto del­l’Europa e del Giappone per evitare il collasso dell’economia internaziona­le e il rifiorire del protezionismo. In questo quadro, quanto sta avvenen­do a Washington e a Tokyo ha un gran­de impatto su tutti noi. Non sola­mente, nel breve periodo, se la tratta­tiva Casa Bianca-Congresso ed il pro­gramma annunciato in Giappone fal­lissero ci sarebbero fibrillazioni sui mercati finanziari con un aumento di quella volatilità che comporta forti guadagni per pochi e maggiori diffi­coltà per molti. Ma, soprattutto, nel medio e lungo periodo, se due dei maggiori Paesi della comunità inter­nazionale non riuscissero ad evitare il baratro del debito, sarebbe molto più arduo per altri individuare un per­corso adeguato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I negoziati in corso in queste ore in Giappone e Usa sono cruciali anche (e soprattutto) per il futuro dei Paesi europei
di trovare un percorso adeguato.