sabato 8 dicembre 2012

IL ‘LOHENGRIN’ ENTUSIASMA LA SCALA in Il Velino 8 dicembre



IL ‘LOHENGRIN’ ENTUSIASMA LA SCALA
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Roma - Daniel Barenboim ha appena abbassato la bacchetta ed è in corso un vero diluvio di applausi e ovazioni. Coloro (come il vostro chroniqueur) che hanno potuto assistere alla anteprima del 4 dicembre temevano un’accoglienza più fredda, soprattutto a ragione di una drammaturgia e di un regia molto innovative in cui per di più solo nel terzo atto si svela l’accento sulla nevrosi e la psicoanalisi e lo spostamento d’epoca del lavoro. Inoltre, le due soprano scritturate (Ann Peterson, che ha cantato il 4 dicembre, e Anja Harteros) erano ambedue ammalate. Provvidenzialmente è giunta dalla Germania Annette Dasch che ha dovuto metabolizzare in poche ore la regia di Claus Guth; la sua Elsa è apparsa ancora più nevrotica di quella di Ann Peterson. Nelle versioni tradizionali, 'Lohengrin' è l’angelo custode del Santo Graal, il cavaliere del cigno caro alle leggende medievali dei Paesi Bassi. Sceso sulla terra, egli cerca una donna che sappia apprezzarlo semplicemente per la sua umanità, e la troverà in Elsa di Brabante. Assurgerà a incarnazione della speranza negata nel suo conflitto con Federico di Telramondo, conte di Brabante, cavaliere in lotta per l’onore. Una fiaba dal finale tragico, dove la felicità lascia il posto alla malinconia della rinuncia e alla vaghezza del sogno, che a tratti assume le fattezze di un dramma storico. Claus Guth ha detto e ripetuto di non essere "interessato all’immagine del cigno in sé, non è così importante: quel che conta è il fratello di Elsa, che si nasconde dietro quell’immagine, e sicuramente questo aspetto verrà sviluppato".
Inoltre l’opera non sarà ambientata nel Medioevo ma ai tempi di Wagner: "Sicuramente conta molto l’epoca in cui il compositore è vissuto, uno snodo cruciale, in cui si entrava nel mondo moderno più o meno come lo conosciamo oggi, anzi si ponevano le basi per quel sistema capitalistico-finanziario e politico nelle cui propaggini, o meglio conseguenze, ci troviamo a vivere oggi. Questo mi ha spinto a mettere in scena il 'Lohengrin' all’epoca di Wagner, posta a sua volta in parallelo con i nostri giorni". Per Guth, la chiave del 'Lohengrin' sta nei traumi infantili della protagonista femminile dell'opera, Elsa. "Ho realizzato una sorta di background completo per questa giovane donna e Elsa ha svelato una storia e una psicologia di estremo interesse. Una ragazza rimasta orfana assai presto, che sente profondamente questa perdita, subito acuita dalla nuova perdita del fratello, che la scuote ulteriormente. Si aggiunge poi il comportamento ambiguo e contraddittorio di Friedrich von Telramund, che prima si arroga il diritto alla sua mano, poi le preferisce Ortrud. Mi sembra significativo - aggiunge il regista - usare il potere dell’immaginazione per raccontare come Elsa abbia dunque vissuto una vicenda precedente, prima dell’arrivo di Lohengrin, dove ha anche sviluppato una sorta di ossessione per una ideale figura di 'salvatore’.
La regia ha certamente un buon fondamento poiché Wagner scrisse e compose l’opera nel 1845-48 quando più era influenzato dal socialismo anarchico di Bakunin. Nel primo atto, tuttavia, fa un certo effetto vedere il cortile di casa Wagner e non le rive della Schelda , Enrico l’Uccellatore vestito come Moltke e Lohengrin come James Dean in La Valle dell’Eden. Il significato psicologico e politico si svela man mano che l’azione si dipana. Il grande merito lo ha la musica. Sin dalle prime battute dell’ouverture, Barenboim dà un’interpretazione lenta, solenne, quasi mistica del lavoro che fa risaltare ancora di più l’inizio ‘agitato’ del terzo atto (quando invece stringe i tempi per preparare la tragedia finale). Sottolinea gli aspetti melodici del primo e del terzo atto rispetto a quelli atonali di alcuni momenti del secondo. Jonas Kaufmann ha un legato dolcissimo, un fraseggio da manuale e, nel ‘racconto’ finale, sale lentamente dal ‘pianissimo’ all’acuto come ho ascoltato fare solo pochi tenori. Unicamente Evelyn Herlitzius è alla sua altezza. Buona Annette Dasch catapultata in questa prima. René Pape è un efficace Re Enrico. Il ‘cattivo’ Federico Telramondo è un Tómas Tómasson ancora vigorosi. Ottimo il coro scaligero guidato da Bruno Casoni.   (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 07 Dicembre 2012 19:47

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