giovedì 6 dicembre 2012

Lohengrin, un salvatore dalla crisi in MIlano Finanza 7 agosto


MF
Numero 241  pag. 22 del 7/12/2012 | Indietro
Sotto la direzione musicale di Barenboim, la regia di Guth fa di Elsa il personaggio chiave

Lohengrin, un salvatore dalla crisi

L'opera ambientata all'epoca di Wagner, l'alba dell'era industriale
di Giuseppe Pennisi

Oggi la stagione 2012-2013 del Teatro alla Scala viene inaugurata con una nuova produzione di Lohengrin di Richard Wagner. Da settimane fioccano polemiche sulla scelta di iniziare la stagione con un'opera del compositore sassone e non con un lavoro verdiano. Polemiche divenute così forti al punto da costringere il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a motivare, in una lettera aperta al direttore musicale Daniel Barenboim, la sua assenza, con i pressanti impegni istituzionali, smentendo l'esistenza di «riserve sulla scelta dell'opera wagneriana».
In effetti, tanto Wagner quanto Verdi sono nati nel 1813, quindi si tratta della stagione del bicentenario. Scelta non facile. Quattro delle 13 fondazioni liriche hanno optato per Wagner, in quanto molto meno presente di Verdi nei palcoscenici italiani. Due di esse (il Massimo di Palermo e La Scala) nonché un teatro di «tradizione» (Reggio Emilia) presentano cicli dell'intero Anello del Nibelungo (4 opere per 14-16 ore di musica, dipende dal direttore d'orchestra: 14 ore con Boulez, 15 con Barenboim, 16 con Toscanini o i suoi emuli). bLo As.Li.Co di Como porta in tournée in tutta la Penisola, un'edizione speciale de L'Olandese Volante per avvicinare gli studenti delle secondarie alla musica di Wagner. In Italia non mancano circoli wagneriani, specialmente attivi a Milano e Venezia. In realtà non c'è nella decisione della Scala motivo per una polemica: tanto più che il resto del cartellone è quasi interamente dedicato a Verdi con una serie di nuovi allestimenti (alcuni molto succulenti) e di riprese di lavori che hanno avuto successo. Soprattutto, vale la pena ricordarsi del saggio commento del musicista e direttore d'orchestra Gianandrea Gavazzeni: ogni sera in qualsiasi città importante dei cinque continenti c'è un festival Verdi, mentre ci sono unicamente due festival wagneriani l'anno (a Bayreuth e a Seattle). Non è quindi fuori luogo, in occasione del bicentenario dalla nascita dare spazio al musicista sassone. A offrire il fianco alle polemiche, tuttavia sarà l'allestimento di Claus Guth, che già un anno fa scatenò una battaglia tra tradizionalisti e innovatori con la sua messa in scena scaligera de La Donna senz'Ombra di Richard Strauss, Sarà un Lohengrin «senza cigno», intriso di psicologia e politica come il lungo racconto pubblicato a puntate nell'estate del 1913 sul Corriere della Sera, La Leda senza cigno in cui Gabriele D'Annunzio narra la storia di una giovane donna e delle sue delusioni. La sua vita è dominata da una fatalità chiusa che le impedisce di sollevarsi dalle meschinità del vivere quotidiano, aggravato dal trasformismo dell'Italia di Depretis. Inevitabile la rinuncia a sogni e aspirazioni. Il testo, strutturato nella forma del racconto nel racconto, si chiuderà con il suicidio della protagonista
Oggi Lohengrin sarà presentato non come grande opera romantica ma come dramma quasi freudiano. Nelle versioni tradizionali, Lohengrin è l'angelo custode del Santo Graal, il cavaliere del cigno caro alle leggende medievali dei Paesi Bassi. Sceso sulla terra, cerca una donna che sappia apprezzarlo per la sua umanità, e la troverà in Elsa di Brabante. Assurgerà a incarnazione della speranza negata nel suo conflitto con Federico di Telramondo, conte di Brabante, cavaliere in lotta per l'onore. Fiaba dal finale tragico, dove la felicità lascia il posto alla malinconia della rinuncia e alla vaghezza del sogno, che a tratti assume fattezze di dramma storico. Ha, infatti, una collocazione storica precisa: la difesa dei popoli germanici, non ancora uniti in un impero, dall'invasione unno-ungarica nella transizione dal paganesimo al cristianesimo. Nel Brabante, dove si svolge l'azione, il cristianesimo convive con vecchie forme di paganesimo, quelle praticate con magie, filtri e l'insinuazione del dubbio rispetto alla Verità; secondo ricerche recenti, il normanno Re Nollo, dopo essersi convertito, faceva grandi donazioni alle chiese cristiane, ma sacrificava i cristiani prigionieri agli dei pagani; nella sala del trono di Re Redwald (padre di Ortrud) c'erano due altari, uno più grande per la messa e uno più piccolo per i sacrifici ai demoni. Claus Guth non si dice interessato all'immagine del cigno in sé, «non è così importante: conta il fratello di Elsa, che si nasconde dietro quell'immagine, e sicuramente questo aspetto sarà sviluppato». Inoltre l'opera non è ambientata nel Medioevo ma ai tempi di Wagner: «L'epoca in cui il compositore è vissuto è uno snodo cruciale, in cui si ponevano le basi del sistema capitalistico-finanziario nella cui eredità viviamo oggi. Questo», dice Guth, «mi ha spinto a mettere in scena Lohengrin all'epoca di Wagner, posta a sua volta in parallelo con i nostri giorni». Per Guth, la chiave dell'opera è nei traumi infantili della protagonista femminile, Elsa. «Ho realizzato un background completo per questa giovane donna, la cui storia e psicologia sono di estremo interesse. La ragazza, rimasta presto orfana, sente molto la perdita, subito acuita da quella del fratello. Si aggiunge poi il comportamento contraddittorio di Friedrich von Telramund, che prima si arroga il diritto alla sua mano, poi le preferisce Ortrud. Mi sembra significativo», aggiunge il regista, «usare il potere dell'immaginazione per raccontare come Elsa abbia vissuto una vicenda precedente, l'arrivo di Lohengrin, in cui ha sviluppato una sorta di ossessione per una ideale figura di salvatore». Un allestimento fuori dagli schemi, di cui si parlerà a lungo. (riproduzione riservata) Lungo racconto pubblicato a puntate nell’estate del 1913 sul «Corriere della Sera», La Leda senza cigno di Gabriele D’Annunzio narra la storia di una giovane donna e delle sue delusioni. La sua vita è dominata da una fatalità chiusa che le impedisce di sollevarsi dalle meschinità del vivere quotidiano. Inevitabile la rinuncia a sogni e aspirazioni. Il testo, strutturato nella forma del racconto nel racconto, si chiuderà con il suicidio della protagonista.
Nell’edizione in volume del 1916 D’Annunzio accompagnò al romanzo una Licenza ricca di ricordi autobiografici. Qualcosa di simile avverrà alla Scala la sera di Sant’Ambrogio (7 dicembre) poiché 'Lohengrin' di Wagner verrà presentato non come “una grande opera romantica” ma come un dramma quasi freudiano. Ciò non potrà non scatenare polemiche. Nelle versioni tradizionali, 'Lohengrin' è l’angelo custode del Santo Graal, il cavaliere del cigno caro alle leggende medievali dei Paesi Bassi. Sceso sulla terra, egli cerca una donna che sappia apprezzarlo semplicemente per la sua umanità, e la troverà in Elsa di Brabante. Assurgerà a incarnazione della speranza negata nel suo conflitto con Federico di Telramondo, conte di Brabante, cavaliere in lotta per l’onore. Una fiaba dal finale tragico, dove la felicità lascia il posto alla malinconia della rinuncia e alla vaghezza del sogno, che a tratti assume le fattezze di un dramma storico
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In un'intervista alla rivista «Classic Voice» il regista Claus Guth, spiega di non essere "interessato all’immagine del cigno in sé, non è così importante: quel che conta è il fratello di Elsa, che si nasconde dietro quell’immagine, e sicuramente questo aspetto verrà sviluppato".

Inoltre l’opera non sarà ambientata nel Medioevo ma ai tempi di Wagner: "Sicuramente conta molto l’epoca in cui il compositore è vissuto, uno snodo cruciale, in cui si entrava nel mondo moderno più o meno come lo conosciamo oggi, anzi si ponevano le basi per quel sistema capitalistico-finanziario e politico nelle cui propaggini, o meglio conseguenze, ci troviamo a vivere oggi. Questo mi ha spinto a mettere in scena il 'Lohengrin' all’epoca di Wagner, posta a sua volta in parallelo con i nostri giorni".

Per Guth, la chiave del 'Lohengrin' sta nei traumi infantili della protagonista femminile dell'opera, Elsa. "Ho realizzato una sorta di background completo per questa giovane donna e Elsa ha svelato una storia e una psicologia di estremo interesse. Una ragazza rimasta orfana assai presto, che sente profondamente questa perdita, subito acuita dalla nuova perdita del fratello, che la scuote ulteriormente. Si aggiunge poi il comportamento ambiguo e contraddittorio di Friedrich von Telramund, che prima si arroga il diritto alla sua mano, poi le preferisce Ortrud. Mi sembra significativo - aggiunge il regista - usare il potere dell’immaginazione per raccontare come Elsa abbia dunque vissuto una vicenda precedente, prima dell’arrivo di Lohengrin, dove ha anche sviluppato una sorta di ossessione per una ideale figura di 'salvatore'"





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