La guerra può finire
17 - 12 - 2012Giuseppe Pennisi
Alla fine della prima parte, quando il direttore d’orchestra
(tedesco di origine persiana) ed il pianista palestinese, si sono abbracciati,
le circa tremila persone che affollavano la Sala Santa Cecilia si sono
commosse. Un segno eloquente, anche se meno noto, dei concerti dell’Orchestra
Divan fondata da Daniel Barenboim e composta di giovani musicisti israeliani e
palestinesi.
Alla fine della prima parte, quando il direttore d’orchestra
(tedesco di origine persiana e di religione “parsi” ) ed il pianista
palestinese, quasi coetanei, si sono abbracciati, le circa tremila persone che
affollavano la Sala Santa Cecilia si sono commosse. È il segno non che “la
guerra è finita” (titolo di un indimenticabile film di Alain Resnais del
lontano 1967) ma che “la guerra può finire”. Un segno eloquente, anche se meno noto,
dei concerti dell’Orchestra Divan fondata da Daniel Barenboim e composta di
giovani musicisti israeliani e palestinesi.
Il concerto del 15 dicembre, replicato il 17 ed il 18, era un
concerto a cui si va perché si è abbonati. Tutto imperniato su musiche di
Beethoven ben note al grande pubblico e sovente eseguite dalla sinfonica
dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, comprendeva l’ouverture “Coroliano”,
il “Concerto per piano ed orchestra” e la “Quarta Sinfonia”. Per il grande
pubblico, l’elemento trainante era la presenza del pianista Radu Lupu. Per i
più raffinati, il debutto a Roma di David Afkham, il quale a solo 27 anni ha
vinto il premio per i giovani direttori d’orchestra di Salisburgo ed ha già una
brillante carriera con un carnet di impegni per diversi anni.
Afkham è nato in Germania nel 1983 da genitori giunti dall’Iran
pochi anni prima, quando l’islamismo scita cominciava a rendere la vita
difficile a comunità monoteiste come i parsi o “zoroastriani” seguaci del
Mazdeismo, ora, come gli ebrei, sparpagliati per il mondo e con cui hanno molti
tratti in comune. Navigando su Internet si apprende che David Afkham è un
“parsi” – pare – diventato cristiano come il resto della sua famiglia.
Poche ore prima del concerto, Radu Lupu ha dovuto annullare, per
ragione di salute, la sua partecipazione tanto alla serata quanto alle
repliche. Su suggerimento di Afkham, non è stato modificato il programma ma
chiamato un giovane pianista palestinese , Saleem Abdoub Ashkar, nato a
Nazareth nel 1976, già affermato in tutto il mondo ma per la prima volta a
Roma.
Due giovani, ambedue di origini medio – orientali, alle prese con
un Beethoven altamente emotivo. “Coroliano” è un solo movimento: “allegro con
brio” in do maggiore e David Afkham vi ha messo tutta la vivacità ed il vigore
che appartengono alla sua età. La “quarta sinfonia in sì bemolle maggiore” (che
ha occupato tutta la seconda parte della serata) è un omaggio di Beethoven al
conte Franz von Oppersted: un lavoro di puro intrattenimento, nei canonici
quattro movimento, elegante e raffinato da sembrare settecentesco (è del 1807).
Afkham lo ha intriso di melanconia, lo è intriso di melanconia specialmente
nell’”adagio” del secondo movimento.
La meraviglia, ed il nesso tra i due “pezzi”, è stato il concerto
in do maggiore quando il parsi ed il palestinese hanno lavorato insieme – uno
guidando l’orchestra, l’altro alla testiera – dandosi occhiate furtive piene di
complicità concluse con l’abbraccio mentre il pubblico applaudiva. Il primo
movimento (“allegro brio”) è diventando un inno alla giovinezza pieno di
fervore. Il secondo (“adagio”) il canto melanconico di cui a cui non è data la
possibilità di avere una Patria. Il terzo (“rondò”, allegro scherzando), una
promessa di un mondo senza guerra. Afkham e Ashkar hanno sviscerato the politics (l’essenza
politica) del lavoro. Come fa, Barenboim quando sale sul podio della Orchestra
Divan (dove suona il violino il fratello di Saleem Abdoub Ashkar).
Il 20, 21 e 22, Lorin Maazel guiderà i complessi della sinfonica
di Santa Cecilia ed un gruppo di solisti di qualità nell’annuale Concerto per
la Pace che, quest’anno, consiste nell’esecuzione della Nona Sinfonia di
Beethoven.
Quello di Afkham e Ashkar è già stato un eloquente concerto la
pace. Un giovani parsi ed un giovane palestinese ci hanno ricordato che per
Platone, la musica è la più alta delle filosofie e che ad introduzione de “La
notte dell’Epifania”, William Shakespeare afferma: “Se la musica è cibo
dell’amore, continua a suonare”. È quale amore è più forte di quello per la
Pace e per l’Alto e, quindi, per il proprio prossimo? Il 16 aprile 2007 al
termine del concerto per il suo 80simo compleanno, Papa Benedetto XVI ha
detto:“Sono convinto che la musica sia il linguaggio universale della bellezza,
capace di unire tra loro gli uomini di buona volontà su tutta le terra e di
portarli ad alzare lo sguardo verso l’Alto ed ad aprirsi al Bene ed al Bello
assoluti, che hanno la loro ultima sorgente in Dio stesso”.
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