Complotto a Mosca
14 - 12 - 2012Giuseppe Pennisi
Sulla
riva della Moscova, la guardia speciale del leader, complotta, d’intesa con il
proprio comandante, contro il Presidente di tutte le Russie. Questa è
Kovashchina, opera incompiuta di Modest Mussorgskrij, che parla anche dei
nostri giorni e dei nostri problemi.
Sulla
riva della Moscova, la guardia speciale del leader, complotta, d’intesa con il
proprio comandante, contro il Presidente di tutte le Russie. Le ragioni sono
profonde: Il Presidente vuole modernizzare e “occidentalizzare” l’enorme
federazione, mentre la guardia speciale, alleata con i settori più
tradizionalisti della Chiesa ortodossa è “nostalgica” del passato regime. A tal
fine, il comandante, diventato l’amante della zia del Presidente ma, pur se
politicamente vicino alla Chiesa tradizionalista, passa le proprie serate con
“veline” e prostitute. Si susseguono attentati (anche nella metropolitana).
tedeschi prossimi (anche in affari al presidente) vengono torturati in modo
efferato. Ma non mancano spie (soprattutto nei “piani alti” del potere
moscovita). Quindi, il Presidente passa al contrattacco: fa sterminare la
propria guardia speciale ed uccidere in un bosco nei pressi di Mosca i
congiurati.
Questa
è Kovashchina, opera incompiuta di Modest Mussorgskrij, messa in scena per la
prima volta al Kominov Teatr di San Pietroburgo nel 1886 in una versione
orchestrata da Rimskij-Korsakov, quale si può vedere nella produzione della
Bayerischen Staatsoper con regia di Dmitry Thcherniakov, uno degli enfant
prodige della scena internazionale, concertazione di Kent Nagano ed un cast di
livello. Chi non può recarsi a Monaco di Baviera può gustarla in un dvd di
Unitel Classical, di non facilissimo reperimento nei negozi di dischi italiani.
Ovviamente , il “dramma musicale” di Mussorgskrij non riguardava Putin e la
Russia di oggi ma l’avvento al potere di Pietro il Grande (allora giovanissimo)
attorno al 1680. Pietro “modernizzatore”, che spostò la capitale a San
Pietroburgo, concesse alla popolazione di origine tedesca un quartiere (ed una
chiesa nella nuova città) ed accolse i riti della Chiesa ortodossa di
Costantinopoli (a cominciare dal segno della Croce). Non poté non attirare
contro di sé una strana maggioranza di “vecchi credenti”, di boiardi, e degli
strelzi (gli arcieri che dovevano essere il suo corpo speciale). L’opera (che
non si vede in Italia dal 2003 quando ne venne importata a Firenze un’edizione
dell’Opéra di Parigi, è in scena a Monaco da cinque anni ed attira un pubblico
giovane. Attualizzata parla dei nostri giorni e dei nostri problemi.
Questo
non è che un episodio ma merita una riflessione. Una delle ragioni dell’inarrestabile
declino dell’opera in Italia è la presentazione di spettacoli polverosi. Le
fondazioni liriche italiane non conoscono la funzione del “dramaturg”, tipica
di teatri di altri Paesi. Non solo. Una “scuola” di regia di opera lirica ha
dominato la scena italiana per decenni: quella delle regie sontuose e accurate
ma tradizionali di Visconti, Samaritani, Zeffirelli, Pizzi, Ronconi (nomi di
grande livello apprezzati anche all’estero) e dei loro allievi. Tale scuola ha,
sotto molto aspetti, frenato tendenze differenti che avvicinavano l’opera ad
altri generi di spettacolo dal vivo aperti alla sperimentazione.
La
critica musicale, particolarmente quella della stampa generalista, ma anche
quella delle cinque riviste specializzate, non ha agevolato il rinnovamento
perché è rimasta legata, soprattutto in temi di regia e drammaturgia, a
impostazioni tradizionali. Ad esempio, spettacoli recenti importanti nella
stessa Milano, come la messa in scena di Die Frau ohne Schatten di Richard
Strauss in un nuovo allestimento di Claus Guth o di Tosca firmata da Luc Bondy
sono stati duramente criticati dai maggiori quotidiani. Analogamente, a Roma,
un allestimento innovativo di Tosca curato da Franco Ripa di Meana, un regista
emergente e innovativo, è stato tolto dalla programmazione dopo poche sere.
Di
conseguenza, alle nuove generazioni l’opera appare spesso come un reperto
museale, lontano, ove non avulso, dalla loro realtà, spesso polveroso e
dominato da intrighi di amministratori e “prime donne” d’antan . Ciò spiega la
flessione e l’invecchiamento del pubblico agli spettacoli dal vivo. In effetti,
si è verificato quello che gli economisti chiamano “un oligopolio collusivo”
tra la “vecchia guardia” delle regie liriche e i loro allievi (le cui
possibilità di lavoro dipendono in gran misura dalla capacità dei loro
“maestri” di aprire porte) e una critica musicale ancorata anch’essa a vecchie
tradizioni e sovente priva di una vera esperienza internazionale.
Vediamo
cosa succederà la sera di Sant’Ambrogio alla Scala quando Lohengrin di Wagner
apparirà senza cigno e verrà presentato non come “una grande opera romantica”
come un dramma quasi freudiano. Il regista Claus Guth, spiegando di non essere
“interessato all’immagine del cigno in sé, non è così importante: quel che
conta è il fratello di Elsa, che si nasconde dietro quell’immagine, e
sicuramente questo aspetto verrà sviluppato”. Inoltre l’opera sarà ambientata
non nel Medioevo ma ai tempi di Wagner, quando “si ponevano le basi per quel
sistema capitalistico-finanziario e politico nelle cui propaggini, o meglio
conseguenze, ci troviamo a vivere oggi”. Per Guth, la chiave del “Lohengrin”
sta nei traumi infantili della protagonista femminile dell’opera, Elsa. “Ho
realizzato una sorta di background completo per questa giovane donna e Elsa ha
svelato una storia e una psicologia di estremo interesse. Una ragazza rimasta
orfana assai presto, che sente profondamente questa perdita, subito acuita
dalla nuova perdita del fratello, che la scuote ulteriormente sino all’arrivo
di Lohengrin, dove ha anche sviluppato una sorta di ossessione per una ideale
figura di ‘salvatore’”.
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