venerdì 14 dicembre 2012

Mettete pure una Tax ma non evocate Tobin in Formiche del 14 gennaio



Mettete pure una Tax ma non evocate Tobin

14 - 12 - 2012Giuseppe Pennisi
L'economista Pennisi analizza la versione italiana della cosiddetta Tobin Tax, evidenzia potenzialità e lacune del provvedimento, e fornisce un consiglio da prof: per cortesia, lasciate stare il professor Tobin
James B. Tobin, consigliere economico di John F. Kennedy, si sta rivoltando nella tomba perché il suo nome è associato ad un‘imposta (non una tassa) sulle transazioni finanziarie che stanno introducendo facendo a lui riferimento.
Tobin amava passare lunghe vacanze alla Certosa di Pontignano vicino Siena quando la struttura era un centro di eccellenza per studenti di livello (si entrava per concorso e si doveva mantenere una media del 27/30 per restarci), definì i limiti della proposta. Nel 1992, nel pieno della crisi asiatica, precisò che l’imposta aveva unicamente l’obiettivo di frenare movimenti di capitale a breve, che avrebbero potuto causare fluttuazioni troppo forti del mercato dei cambi e che non si sarebbe trattato di un’imposta internazionale ma di una misura che avrebbero potuto prendere unilateralmente i singoli Paesi che si sentissero minacciati da flussi e deflussi di capitali a breve.
Tobin precisò anche che è difficile distinguere tra movimenti a breve, medio e lungo termine, con il rischio di penalizzare potenziali investimenti diretti verso Paesi o aree (come il nostro Sud) in sviluppo. In effetti,  la proposta formulata inizialmente  dalla Commissione Europea invece essere chiamata “tassa sul rischio”: chi intende assumersi rischi tali da mettere a repentaglio la stabilità finanziaria (e quindi il benessere della collettività), dovrà pagare una piccola imposta.
La proposta, a cui si ispira la normativa che sta emergendo in Italia, comporta un giudizio di merito sulla sostanza, una valutazione del modo di comunicarla e un’analisi delle possibili modalità per darle realmente corpo. Quanto alla sostanza, i movimenti di capitali a breve sono stati una delle determinanti della crisi finanziaria ed economica in corso. Lo furono già ai tempi della “crisi asiatica”, come documentato dalla saggistica del premio Nobel Joseph Stiglitz che, in polemica proprio su questo punto con il Fondo monetario internazionale, lasciò la vice presidenza della Banca mondiale. Nella crisi iniziata dal 2007, poi, hanno colpito alcuni Paesi europei sia dell’eurozona, come l’Irlanda, sia non appartenenti al club dell’euro come l’Ungheria. Una regolamentazione – la tassazione non è che la punta dell’iceberg di nuove regole – appare, quindi, utile, ove non necessaria.
Sarebbe stato semplice l’elaborazione di un regolamento all’Autorità europea per la sorveglianza del mercato dei valori mobiliari (l’European Securities and Markets Authority). L’Esma è stata creata proprio con queste finalità ed è bene che venga messa alla prova. Il regolamento sarebbe poi stato recepito nelle normative nazionali secondo le procedure comunitarie.
Ora, invece, si va pirandellianamente Ciascuno a suo modo per sé in un quadro europeo. L’imposta sulle transazioni finanziarie, insieme alla quale debutterebbeàanche una nuova imposta “antispeculativa” sui sistemi di trading ad alta frequenza, che si sta per varare in Italia, assomiglia molto a quella adottata in Francia –  ancora molta discussa nel merito e nei primi risultati. Dovrebbe essere in funzione dal prossimo marzo.
L’aliquota dell’imposta sulle transazioni finanziarie che si applicherà sulle transazioni di Borsa in azioni e strumenti finanziari partecipativi sarebbe pari allo 0,12% nel 2013 e allo 0,1% nel 2014. Nel caso di azioni negoziate in mercati non regolamentati (over the counter), l’aliquota da marzo a dicembre 2013 sarà dello 0,22% e dello 0,2% dal 2014. Saranno esenti market maker e le transazioni in Borsa di azioni emesse da società con capitalizzazione inferiore a 500 milioni di euro.
Nel caso dei derivati, l’imposta si applicherebbe da luglio 2013 «in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto». Per i sistemi di trading ad alta frequenza (negoziazione generata in maniera automatica da computer in frazioni di secondo)  verrebbe introdotta una tassa antispeculativa con un’aliquota dello 0,02 per cento. Non mancano, però, contraddizioni che avrebbe fatto saltare sulla sedia Tobin (che di scienza delle finanze se ne intendeva).
Ad esempio, dalla nuova imposta vengono esentate le transazioni intraday spesso più speculative  del trading ad alta frequenza. Inoltra, desta perplessità il trattamento dei derivati; così come ora congegnata pare penalizzare i piccoli operatori rispetto ai grandi. Tobin avrebbe detto: Think it, again,Vieri (Ceriani, ndr)
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