All’unione bancaria rimane un solo
(fragile) pilastro
DI GIUSEPPE PENNISI L’ aspetto più visibile della riunione del 13 dicembre dei ministri economici e finanziari dell’Unione Europea è l’operazione di riscatto ( buy back) per facilitare la riduzione del peso del debito pubblico della Grecia e l’eventuale programma di supporto delle banche cipriote 'contagiate' dei titoli tossici degli istituti ellenici. L’Italia, che ha già contribuito potenzialmente con circa 65 miliardi di euro ai 'salvataggi' della zona euro, si attende una contropartita al momento della definizione del bilancio Ue per i prossimi 7 anni. Lunedì e martedì, Piazza Affari, già nervosa per il complicato quadro politico interno, sarà ancora più in fibrillazione in attesa delle decisioni che si prenderanno a Bruxelles.
L’aspetto più significativo, e di cui meno si parla in quanto è anche il più complesso, è il futuro dell’unione bancaria, cioè l’insieme di misure per uniformare alcune chiavi del funzionamento delle banche dell’eurozona e rafforzarne le difese reciproche. Nelle intenzioni iniziali, l’unione bancaria avrebbe dovuto avere tre pilastri: un sistema comune di supervisione affidato alla Banca centrale europea; un meccanismo comune di tutela del depositi; procedure comuni per la risoluzione di crisi bancarie nella zona euro e, meglio ancora, nell’intera Ue.
Dall’inizio della trattativa è parso evidente che oggi non c’è la volontà politica di procedere verso azioni comuni per la soluzione di crisi bancarie: il fondo salva-Stati Esm (European stability mechanism) è stato concepito e dimensionato per i debiti 'sovrani'. Non è la Germania a frenare (al contrario Berlino spinge per un accordo che potrebbe aiutare alcune sue banche). Sono un po’ tutti i Paesi dell’Eurozona a temere il pullulare di nuove crisi bancarie (in Spagna, Irlanda, Grecia) non appena siano state definite procedure per interventi comuni. Anche in materia di tutela comune dei depositi, il cammino è parso tanto lungo ed accidentato che la trattativa concreta è stata rinviata a tempi migliori. I depositi bancari nella zona euro ammontano a circa 6mila miliardi di euro (il 75% è al di sotto dei 100.000 di euro, la soglia mediamente garantita). Una garanzia comune, quindi, richiederebbe un notevole impegno finanziario: gli Stati e le banche dell’Ue, guardando ai propri conti, sono parsi generalmente ben lieti di accantonare discussioni concrete. Quindi, dei tre pilastri uno solo è rimasto in ballo: la supervisione. Le proposte della Commissione Europea tracciano un percorso di graduale accentramento delle funzioni di supervisione dalle autorità nazionali (le diverse banche centrali) alla Bce. Ci sono varie alternative tecniche. All’Eurogruppo del 4 dicembre c’è stato un vero e proprio scontro tra Germania e Francia sul ruolo della Bce in materia di supervisione. Serpeggia l’eventualità di un ricorso della Repubblica federale alla Corte di Giustizia Europea sulla compatibilità delle funzioni che si vorrebbero attribuire alla Bce rispetto al trattato di Maastricht, al Fiscal Compact e via discorrendo. Quindi, pure il terzo pilastro pare molto traballante.
Questi i nodi. L’Eurogruppo deve però porsi un interrogativo decisamente politico: creata la zona euro (forse non nel migliore dei modi) sino a quando potrà sopravvivere senza regole comuni nei delicati comparti delle garanzie per i depositi e la supervisione bancaria e senza un meccanismo per fare fronte alle crisi?
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verso l’Eurogruppo
Il progetto di garanzie sui depositi e meccanismi anti-crisi è subito morto E si litiga sulla supervisione alla Bce
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