sabato 31 maggio 2014

La Bella Addormentata ritorna all'Opera di Roma in Milano Finanza 31 maggio

Il balletto è uno dei pochi ambiti dello spettacolo che, in questi anni di crisi, ha segnato un aumento del pubblico pagante. Nella sola Roma c'è un teatro privato dedicato interamente alla coreutica. Tuttavia, unicamente al Teatro dell'Opera di Roma Capitale (nuova denominazione assunta dalla fondazione lirica) si è in grado di mettere in scena spettacoli di grandi dimensioni.
http://www.milanofinanza.it/artimg/2014/106/1893459/1-img199349.jpgLa bella addormentata di Pyotr Ilyich Tchaikovsky è nel repertorio del Teatro e viene rappresentato ogni due o tre anni. La versione in scena fino al 1° giugno ha un allestimento del 2002 che è una vera gioia per gli occhi. Mostra come un impianto semplice con tele dipinte (del pittore Aldo Buti) fa sì che lo spettacolo possa agevolmente essere presentato (come avviene) anche in altri teatri e su differenti palcoscenici. Si alternano tre cast di esperienza: ottimi i due protagonisti (Adyaris Almedia e Alessandro Macario). L'aspetto significativo è la concertazione di David Garforth che scava nella partitura di Tchaikovsky con grande attenzione alla cesellatura formale e alla sensibilità timbrica. In breve, sotto le vesti di una fiaba per l'aristocrazia di San Pietroburgo, viene svelato un dramma inquietante molto personale che, in un'atmosfera macera, anticipa la morbosa sensualità delle ultime sinfonie del compositore la scoperta di non potere sfuggire a un orientamento sessuale che solamente tre anni più tardi lo avrebbe portato al suicidio. Una fiaba per aristocratici ma non per bambini. (riproduzione riservata)

mercoledì 28 maggio 2014

FINANZA E POLITICA/ Spesa e tasse, i consigli dell'Istat per Renzi e Padoan in Il Sussidiario del 29 maggio

FINANZA E POLITICA/ Spesa e tasse, i consigli dell'Istat per Renzi e Padoan
Pubblicazione: giovedì 29 maggio 2014
Pier Carlo Padoan (Infophoto) Pier Carlo Padoan (Infophoto)
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NEWS Economia e Finanza
Il Rapporto Annuale 2014 - La situazione del Paese, presentato dall’Istat a Roma ieri 28 maggio, non è solamente una radiografia quantitativa dell’Italia nell’anno in corso e nel precedente, ma include un’analisi di una crisi iniziata nel 2007-2008 e indicazioni di politica economica a medio termine. Si tratta di “indicazioni”, poco più che “suggerimenti”, in quanto l’Istat applica sempre il massimo rigore nel tenersi nei propri confini istituzionali. È, però, importante che le analisi asettiche dell’Istituto vengano presentate all’indomani della vittoria elettorale di un esecutivo, ora nella posizione di formulare quella politica economica a medio termine che, sinora, tra annunci di riforme e misure plasmate con un occhio alle elezioni, pare essere mancata.
I punti trattati nel documento sono numerosi. Soffermiamoci solo su tre particolarmente importanti e di speciale rilievo per l’esecutivo: a) politica di bilancio; b) politica sociale; c) redistribuzione dei redditi.
Il primo è cruciale anche alla luce delle discussioni iniziate dal Presidente del Consiglio in sede europea: com’è noto, l’intenzione sarebbe quella di giungere al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea in ottobre con l’approvazione (almeno in prima lettura) della riforma costituzionale al fine di potere aspirare a un allentamento dei vincoli sulla finanza pubblica. Un obiettivo difficile e al cui raggiungimento, nelle condizioni attuali, non si può dare un elevato grado di probabilità. “In un contesto di riduzione di risorse pubbliche - dice il documento- , diventano ancora più cruciali politiche finalizzate al miglioramento della qualità e dell’efficienza della spesa e quelle volte a una migliore efficacia dell’azione redistributiva nei confronti delle famiglie e delle imprese”. 
Ciò rafforza quanto più vote indicato dal Commissario alla revisione della spesa, Carlo Cottarelli: un contributo metodologico in materia renderebbe più facile rimodulazioni della spesa (anche di parte corrente) che tengano adeguatamente conto di esigenze di ridistribuzione del reddito e di obiettivi occupazionali specialmente diretti alle fasce a basso livello di reddito e consumo. A riguardo il Cnel ha prodotto un documento sui parametri di valutazione della spesa che è stato apprezzato dal mondo accademico italiano, da università straniere, da Ocse, da Banca Mondiale, da Nazioni Unite, da amministrazioni italiani (specialmente dal ministero dello Sviluppo Economico, che sta approntando guide operative). È difficilmente comprensibile che la parte sindacale (specialmente una delle Confederazioni) ne abbia bloccato la prosecuzione proprio quando si stava entrando nell’esame del valore sociale dell’occupazione per differenti aree del Paese - strumento vitale per le politiche della qualità della spesa pubblica. Il Presidente del Consiglio e il ministro del Lavoro dovrebbe chiederne spiegazioni ai leader confederali. Anche perché l’Ue chiede risposte in questa materia e ciò potrebbe ostacolare la strategia italiana per il Consiglio europeo di ottobre.
In materia di politica sociale, il Rapporto analizza il contributo crescente del settore non profit, del volontariato, dell’associazionismo, nell’ambito dell’assistenza sociale e della sanità, in controtendenza a fronte delle difficoltà del settore pubblico. “Il non profit - scrive l’Istat - potrebbe diventare un’opportunità in questi ambiti se venissero superate alcune evidenti criticità e difficoltà, nspecialmente l’eterogeneità territoriale a sfavore del Mezzogiorno”. È un’indicazione che sottoscriviamo in toto. Ricordiamo che circa un quarto di secolo fa, in un libro fondamentale (Making Democracy Work, Princeton University Press), il socio-economista americano Robert Putman giunse a conclusioni identiche. Il Presidente del Consiglio ha un’arma per ottenere molto, nel sociale, con poca spesa di qualità. La utilizzi. Molti italiani saranno al suo fianco.
Il Rapporto esamina la crescita delle diseguaglianze negli anni di crisi in Italia con dati più accurati e maggiore ponderazione dei numeri (discutibili) e l’enfasi che hanno portato fama all’economista francese Thomas Piketty e formula una proposta non nuova (l’idea viene da economisti americani come Arthur Okun negli anni Ottanta) ma pertinente: un’imposta negativa sui redditi familiari più bassi - uno strumento di contrasto alla povertà moderno che consente di concentrare la spesa sui più bisognosi tenendo conto della numerosità della famiglia e delle economie di scala. Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan dovrebbero farne tesoro.


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Fisco formato famiglia. I suggerimenti dell’Istat e l’appello della Chiesa in Forniche 28 maggio



Fisco formato famiglia. I suggerimenti dell’Istat e l’appello della Chiesa
28 - 05 - 2014Giuseppe Pennisi Fisco formato famiglia. I suggerimenti dell'Istat e l'appello della Chiesa
Quasi in contemporanea della diramazione da parte dell’Istat del Rapporto Annuale 2014: la Situazione del Paese è uscito, per l’Editore Cantagallo, l’Appello Politico agli Italiani dell’Osservatorio Internazionale Cardinal Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa-. Sui documenti, scritti da donne e uomini indipendenti in cui chi redigeva l’uno neanche sapeva che si stesse scrivendo l’altro, c’è più di un punto di contatto. E questi nessi possono essere l’architrave di quella politica economica a medio termine che, come già sottolineato da questa testata, il Governo Renzi non ha ancora adeguatamente articolato.
CHI ERA IL CARDINALE VAN THUAN
Tutti sanno cosa è l’Istat. Pochi conoscono l’Osservatorio Internazionale Cardinal Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Il Cardinale Van Thuan (in foto) è stato a lungo Presidente del Pontificio Consiglio Justitia et Pax. Alta personalità ecclesiastica vietnamita, non lasciò i suoi fedeli alla caduta di Saigon. Venne imprigionato in isolamento per diversi anni; nella sua cella un altoparlante suonava musica marziale 24 ore su 24. San Giovanni Ventiduesimo lo volle al suo fianco quando venne finalmente liberato perché contribuisse alla pace ed alla giustizia nelle aree più lontane del mondo. Il dicastero da lui diretto produsse, tra l’altro, il Catechismo sulla Dottrina Sociale della Chiesa. L’osservatorio, composto da personalità di alto livello, ha redatto l’Appello perché vede nell’Italia un Paese smarrito , con un popolo alla ricerca di speranza.
IL NESSO TRA ISTAT E MONDO CATTOLICO
Il nesso tra un documento di personalità del mondo cattolico e quello Istat consiste nel fatto che il Rapporto Annuale 2014 del nostro Istituto di statistica non è soltanto una radiografia quantitativa del Paese ma contiene ‘suggerimenti’ di politica economica e sociale che spesso combaciano con le proposte dell’Appello Politico agli Italiani. L’Istat delinea una ripresa lenta e fragile con l’esigenza di grande rigore in materia di spesa pubblica e grande attenzione alla qualità della spesa pubblica, un welfare con un crescente ruolo di quello che viene comunemente chiamato ‘il terzo settore’, misure redistributive che considerino un’imposta negativa sul reddito per favorire chi è maggiormente in stato di bisogno.
Le proposte dell’Osservatorio Internazionale Cardinal Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa sono più articolate. I meno giovani non possono  non ricordare il Codice di Camaldoni di 70 anni fa che tanto incise sull’Italia di quello che venne chiamato il ‘miracolo economico’. Il volume (86 pagine) inizia con la visione di un popolo che ritorna a credere in sé stesso e delinea un nuovo patto costituzionale sostanziale. Contiene naturalmente proposte puntuali di politica istituzionale ed economica: da una legge elettorale per evitare un eccessivo premio di maggioranza, ad una riforma della giustizia che dia certezze a libertà di educazione, da un nuovo patto di solidarietà e di produzione a una politica di privatizzazioni (che prenda l’avvio con quella della Rai). Al pari del Rapporto Annuale 2014 dell’Istat che dà molto rilievo alle migrazioni e svela aspetti poco noti del ruolo della famiglia (e dei pensionati) nel sociale, l’Appello propone una maggiore assunzione di responsabilità da parte di tutti anche al fine di rendere più equa l’imposizione e di migliore qualità la spesa pubblica.
Due documenti che tutti coloro un tempo chiamati ‘persone colte’ dovrebbe leggere insieme.

Lo spettacolo entra in GUERRA in Avvenire 28 maggio

Lo spettacolo entra in GUERRA


GIUSEPPE PENNISI


ROMA

L
a presentazione, alla presenza del Capo dello Stato, di
Cesare Battisti: l’ultima fotografia lu­nedì sera al Parco della Musica a Roma, dà il via a una serie di manifestazioni che arti e spet­tacolo organizzano nel cente­nario della Grande Guerra. Il documenta­rio di Clemente Volpini con regia di Grazia­no Conversano (che andrà in onda sabato 31 maggio su Rai Storia alle 21,15) è lavoro di ottima fattura che illustra la vita, e la mor­te, di Battisti (e di Fabio Filzi ) giustappo­nendo l’Europa dell’inizio del secolo scor­so con quella di oggi. «Quello della storia – ha detto il direttore generale della Rai Luigi Gubitosi nell’introdurre la serata – sarà un settore in cui cercheremo di mantenere in­tatto lo sforzo e anzi di fare ancora di più». Si alterneranno così per 5 anni, fino al 2018, una serie di programmi televisivi, appun­tamenti settimanali e quotidiani, produ­zioni nazionali e coproduzioni internazio­nali, per comprendere fatti, personaggi, cul­tura e società dell’epoca. Nel programma

Eco della Storia,
condotto da Gianni Riotta, ci saranno dibattiti sulle conseguenze del conflitto con Giuliano Amato e Franco Ma­rini e gli storici Mario Isnenghi e Valerio Ca­stronovo. Rai Storia sta compiendo il re­stauro in alta definizione dei film-docu­mentari sulla Grande Guerra e nuove rea­lizzazioni in 3D, destinate anche alle video­installazioni museali. Grande lo sforzo an­che di Radio Rai, con la staffetta di Radio­due e Radiotre sul Sentiero di pace (su Ra­diotre Marco Paolini leggerà Un anno sul­l’altipiano).
Il momento clou delle inziati­ve Rai, sarà il 28 giugno, anniversario dello scoppio della guerra, con la nuova opera

Sarajevo del
maestro Nicola Piovani che de­butterà a Trento con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.

Anche musica e teatro guardano alla Gran­de Guerra. Un’anteprima si è avuta al festi­val
Printemps des Arts a Montecarlo. Uno dei concerti di apertura, quello affidato a Philippe Bianconi è stato fortemente carat­terizzato dal ricordo della fase in cui nelle coscienze fu chiaro che si passava da 'una guerra lampo' ad un lungo 'conflitto di po­sizione', di trincea. Il titolo stesso En Noir et Blanc di Claude Debussy è, ispirato alle stampe di Goya sugli orrori della guerra.

In Italia un festival musicale estivo (quello di Ravenna, giunto ad un quarto di secolo) è dedicato alla Grande Guerra. Dal 5 giugno al 4 luglio, la Prima Guerra Mondiale sarà il filo conduttore della manifestazione: si ria­scolteranno la Messa degli alpini e quella delle alpi marittime (nonché il
Requiem ver­diano tanto nella città romagnola quanto nel Santuario di Redipuglia con la direzio­ne di Riccardo Muti), gli echi di battaglie ed i rapporti tra amore e guerra attraverso la musica; ci saranno spettacoli di prosa ispi­rati a quegli anni, molte grandi orchestre i­taliane e straniere con sinfonica sul tema.

Possiamo anticipare che al Teatro alla Sca­la, dopo l’inaugurazione con
Fidelio di Beethoven (inno alla libertà ), debutterà il 15 gennaio 2015 Die Soldaten di Zimmer­mann: la denuncia degli orrori della guerra viene spostata dalle guerre tra francesi e fiamminghi nel settecento alla prima guer­ra mondiale. Infine il festival estivo di Salisburgo (18 lu­glio -31 agosto) dedicherà una sezione al te­ma. Due settimane di musica spirituale, un’opera commissionata a Marc-André D’Albavie ( Charlotte Salomon ) relativa alle tensioni aperte dopo la pace di Versailles e la prima mondiale del dramma The For­bidden Zone: di Duncan Macmillan sulla guerra come vista e sentita dalle donne nel­la zona a loro 'proibita'; verrà interpretato da attori di lingua inglese e tedesca.

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Centenario


La Rai apre le celebrazioni del Primo conflitto con il documentario su Cesare Battisti e la nuova opera di Piovani «Sarajevo». E Muti a Redipuglia col «Requiem» guida la carica dei concerti

lunedì 26 maggio 2014

Debito pubblico, parte o no la ristrutturazione? n Avvenire 27 maggio



Debito pubblico, parte o no la ristrutturazione?

A
lla vigilia delle elezioni, l’aumento dello spread e articoli su stampa specializzata straniera hanno indotto a pensare che la possibile ristrutturazione del debito pubblico ita­liano sarà tra i dossier che (in Italia e non solo) verranno esaminati subito. Tra l’altro, Lucrezia Reichlin (membro del CdA di Unicredit) ha indi­cato come si dovesse pensare a riscrivere i tratta­ti europei per prevedere la ristrutturazione quan­do questi superi il 100% del Pil. Un cenacolo di u­na trentina di economisti alla Fondazione Ugo La Malfa (Fulm) ha espresso idee simili. A conclu­sioni analoghe si giunge leggendo saggi come quello di Wolfgang Kuhle sulla 'struttura ottima­le del debito pubblico' su Microeconomica o quel­lo di Louis Piccotti sul 'contagio' di debiti pub­blici troppo elevati. Nel documento di lavoro N. 1639 della Bce, in cui dieci economisti di altrettante banche centrali analizzano «la distribuzione del debito nell’area dell’euro e il ruolo delle caratte­ristiche individuali degli istituti e delle condizio­ni di credito» oppure al documento Bce N. 1623 sui «segnali del mercato nel valutare i debiti». An­cora più inquietante il XVIII Rapporto del Centro Einaudi sull’Italia nell’economia globale in cui si delinea la possibilità di una «grande ristruttura­zione » perché Francia e Germania sono alle pre­se con un debito pubblico che galoppa e un Pil che va al passo. Andiamo alle cose di casa nostra. Due settimane fa, l’Ocse ha stimato il peso del debito italiano al 134,2% del Pil per l’anno in corso nel­l’ipotesi di una crescita dello 0,5% del prodotto nazionale, inferiore alla stima del Governo ma ben superiore agli ultimi dati Istat a cui si aggiunge­rebbe un gelido vento maestrale quando il 28 mag­gio l’istituto di statistica pubblicherà la propria a­nalisi annuale. Siamo lontani dalla Grecia il cui rapporto debito-Pil è al 175%. Ma anche dalla Spa­gna che lo ha portato al di sotto del 100% del red­dito nazionale. Se la stagnazione o, peggio, la con­trazione, continuerà nei prossimi mesi, nel 2015 il rapporto debito-Pil dell’Italia sarebbe sul 137% ben lontani dall’obiettivo di arrivare al 60% nei prossimi tre- quattro lustri. Ne seguirebbe una cri­si di fiducia con aumento dello spread per collo­care titoli italiani, avvitandosi in un servizio del de­bito sempre più caro. «Ristrutturare» vuol dire fa­re pagare il costo della riduzione non solo al de­bitore (e ai loro cittadini) ma anche ai creditori (e ai loro istituti). Come per il bail in, negoziato re­cepito dal Parlamento Europeo, per l’unione ban­caria. È medicina, però, che sotto il profilo politi­co, unicamente Governi ben saldi in sella sono in grado di applicare. E fare accettare ai partner.

Giuseppe Pennisi

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