Debito pubblico, parte o
no la ristrutturazione?
Alla vigilia delle elezioni, l’aumento dello spread e articoli su stampa specializzata straniera hanno indotto a pensare che la possibile ristrutturazione del debito pubblico italiano sarà tra i dossier che (in Italia e non solo) verranno esaminati subito. Tra l’altro, Lucrezia Reichlin (membro del CdA di Unicredit) ha indicato come si dovesse pensare a riscrivere i trattati europei per prevedere la ristrutturazione quando questi superi il 100% del Pil. Un cenacolo di una trentina di economisti alla Fondazione Ugo La Malfa (Fulm) ha espresso idee simili. A conclusioni analoghe si giunge leggendo saggi come quello di Wolfgang Kuhle sulla 'struttura ottimale del debito pubblico' su Microeconomica o quello di Louis Piccotti sul 'contagio' di debiti pubblici troppo elevati. Nel documento di lavoro N. 1639 della Bce, in cui dieci economisti di altrettante banche centrali analizzano «la distribuzione del debito nell’area dell’euro e il ruolo delle caratteristiche individuali degli istituti e delle condizioni di credito» oppure al documento Bce N. 1623 sui «segnali del mercato nel valutare i debiti». Ancora più inquietante il XVIII Rapporto del Centro Einaudi sull’Italia nell’economia globale in cui si delinea la possibilità di una «grande ristrutturazione » perché Francia e Germania sono alle prese con un debito pubblico che galoppa e un Pil che va al passo. Andiamo alle cose di casa nostra. Due settimane fa, l’Ocse ha stimato il peso del debito italiano al 134,2% del Pil per l’anno in corso nell’ipotesi di una crescita dello 0,5% del prodotto nazionale, inferiore alla stima del Governo ma ben superiore agli ultimi dati Istat a cui si aggiungerebbe un gelido vento maestrale quando il 28 maggio l’istituto di statistica pubblicherà la propria analisi annuale. Siamo lontani dalla Grecia il cui rapporto debito-Pil è al 175%. Ma anche dalla Spagna che lo ha portato al di sotto del 100% del reddito nazionale. Se la stagnazione o, peggio, la contrazione, continuerà nei prossimi mesi, nel 2015 il rapporto debito-Pil dell’Italia sarebbe sul 137% ben lontani dall’obiettivo di arrivare al 60% nei prossimi tre- quattro lustri. Ne seguirebbe una crisi di fiducia con aumento dello spread per collocare titoli italiani, avvitandosi in un servizio del debito sempre più caro. «Ristrutturare» vuol dire fare pagare il costo della riduzione non solo al debitore (e ai loro cittadini) ma anche ai creditori (e ai loro istituti). Come per il bail in, negoziato recepito dal Parlamento Europeo, per l’unione bancaria. È medicina, però, che sotto il profilo politico, unicamente Governi ben saldi in sella sono in grado di applicare. E fare accettare ai partner.
Giuseppe Pennisi
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