lunedì 26 maggio 2014

Debito pubblico, parte o no la ristrutturazione? n Avvenire 27 maggio



Debito pubblico, parte o no la ristrutturazione?

A
lla vigilia delle elezioni, l’aumento dello spread e articoli su stampa specializzata straniera hanno indotto a pensare che la possibile ristrutturazione del debito pubblico ita­liano sarà tra i dossier che (in Italia e non solo) verranno esaminati subito. Tra l’altro, Lucrezia Reichlin (membro del CdA di Unicredit) ha indi­cato come si dovesse pensare a riscrivere i tratta­ti europei per prevedere la ristrutturazione quan­do questi superi il 100% del Pil. Un cenacolo di u­na trentina di economisti alla Fondazione Ugo La Malfa (Fulm) ha espresso idee simili. A conclu­sioni analoghe si giunge leggendo saggi come quello di Wolfgang Kuhle sulla 'struttura ottima­le del debito pubblico' su Microeconomica o quel­lo di Louis Piccotti sul 'contagio' di debiti pub­blici troppo elevati. Nel documento di lavoro N. 1639 della Bce, in cui dieci economisti di altrettante banche centrali analizzano «la distribuzione del debito nell’area dell’euro e il ruolo delle caratte­ristiche individuali degli istituti e delle condizio­ni di credito» oppure al documento Bce N. 1623 sui «segnali del mercato nel valutare i debiti». An­cora più inquietante il XVIII Rapporto del Centro Einaudi sull’Italia nell’economia globale in cui si delinea la possibilità di una «grande ristruttura­zione » perché Francia e Germania sono alle pre­se con un debito pubblico che galoppa e un Pil che va al passo. Andiamo alle cose di casa nostra. Due settimane fa, l’Ocse ha stimato il peso del debito italiano al 134,2% del Pil per l’anno in corso nel­l’ipotesi di una crescita dello 0,5% del prodotto nazionale, inferiore alla stima del Governo ma ben superiore agli ultimi dati Istat a cui si aggiunge­rebbe un gelido vento maestrale quando il 28 mag­gio l’istituto di statistica pubblicherà la propria a­nalisi annuale. Siamo lontani dalla Grecia il cui rapporto debito-Pil è al 175%. Ma anche dalla Spa­gna che lo ha portato al di sotto del 100% del red­dito nazionale. Se la stagnazione o, peggio, la con­trazione, continuerà nei prossimi mesi, nel 2015 il rapporto debito-Pil dell’Italia sarebbe sul 137% ben lontani dall’obiettivo di arrivare al 60% nei prossimi tre- quattro lustri. Ne seguirebbe una cri­si di fiducia con aumento dello spread per collo­care titoli italiani, avvitandosi in un servizio del de­bito sempre più caro. «Ristrutturare» vuol dire fa­re pagare il costo della riduzione non solo al de­bitore (e ai loro cittadini) ma anche ai creditori (e ai loro istituti). Come per il bail in, negoziato re­cepito dal Parlamento Europeo, per l’unione ban­caria. È medicina, però, che sotto il profilo politi­co, unicamente Governi ben saldi in sella sono in grado di applicare. E fare accettare ai partner.

Giuseppe Pennisi

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