Avanti tutta
con l’unione europea delle pensioni
03 - 05 -
2014Giuseppe Pennisi
Si sta avvicinando il “semestre europeo” non nel senso
secondo cui gli Stati dell’Unione Europea (UE) devono armonizzare il calendario
dei loro documenti di politica economica (e nei limiti del possibile) renderli
compatibili gli uni con gli altri per ottenere sinergie. Nel senso, invece,
secondo cui l’Italia avrà la Presidenza degli organi di governo dell’UE –
un’occasione che si riproporrà tra 14 anni (sempre che, come probabile, le
istituzione UE non vengano aggiornate).
UNA NUOVA MAASTRICHT
In tempi non sospetti (quando Enrico Letta era
Presidente del Consiglio), anche sulla base di una conversazione con il Primo
Ministro della Finlandia, proposi che durante il semestre (che inizia il primo
luglio) l’Italia prendesse l’iniziativa di “fare il tagliando” al trattato di
Maastricht, se del caso riscrivendolo per tenere conto delle lezioni apprese
nel quarto di secolo da quando è stato negoziato. Questa strada sembra
difficile. Non solo alcuni Stati dell’unione monetaria temono che, nell’attuale
contesto, un nuovo accordo non venga ratificato. Ma il parlare stesso di una
nuova Maastricht potrebbe trasformare in tempesta il vento anti-UE che già tira
in maniera abbastanza forte.
UN’UNIONE EUROPEA DELLE PENSIONI
Tuttavia, Renzi potrebbe rilanciare un’idea che
sembrava morta e seppellita: quella di un’unione europea delle pensioni. E’
un’idea attraente perché la mancanza di un sistema previdenziale europeo
unificato è un ostacolo alla circolazione dei lavoratori ed induce il capitale
umano migliore ad andare là dove i sistemi previdenziali sono migliori non solo
in termini di spettanze attuali ma soprattutto di aspettative di futura
solidità. Il sistema attuale di ricongiunzioni non solo abbassa le spettanze ma
è altamente inefficiente: mia moglie ha atteso quattro anni perché l’Inps
istruisse la ricongiunzione e liquidasse le spettanze. E’ un’idea che attira
non solo l’elettorato vicino alla quiescenza ma anche e soprattutto quello
giovane che si sta abituando ad una sempre maggiore mobilità tra uno Stato e
l’altro dell’UE.
COME AFFRONTARE IL PROBLEMA
Una decina di anni fa in vari convegni internazionali
il problema venne affrontato. Un gruppetto di italiani (Elsa Fornero, divenuta
Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, Daniele Franco, oggi Ragioniere
Generale dello Stato, Mauro Maré, oggi Presidente del Mefop, Nicola Sartor,
sottosegretario dell’ultimo Governo Prodi, ed il vostro chroniqueur)
erano un po’ i “clorici vaganti” in quei convegni. La Scuola Superiore della
Pubblica Amministrazione organizzò anche, a mezzadria con la Banca Mondiale,
una tre giorni internazionale nella Reggia di Caserta. Allora la proposta di
Robert Holzmann (all’epoca Vice Presidente della Banca Mondiale) di estendere
gradualmente il meccanismo a contributi figurativi introdotto quasi
contemporaneamente in Italia ed in Svezia alla metà degli Anni Novanta. Da
allora, però, la situazione occupazionale, specialmente dei giovani, è cambiata
drasticamente: saranno sempre di più coloro che avranno impieghi a termini con
una vasta tipologia di contratti, anche in differenti Paesi.
LA PROPOSTA DELL’EIOPA
Il lavoro è continuato, silenziosamente. Soprattutto
da parte dell’EIOPA – European Insurance and Occupational Pensions Authority,
acronimo poco conosciuto nella galassia delle sigle europee. Un’interessante
proposta è in un documento ancora inedito presentato a metà aprile alla
conferenza annuale dell’EIOPA a Bratislava da due giuristi specializzati in
previdenza, P. Borsjé e. H. van Meerten. La proposta, peraltro ben delineata,
consiste nel fare confluire contributi pubblici e privati in Personal Pension
Plans (PPP) uniformi per tutti i lavoratori europei che potrebbero scegliere se
utilizzare questa strada o sistemi previdenziali nazionali. E’ un’idea su cui
c’è ancora molto lavoro da fare, ma che potrebbe favorire l’avvio per uno stato
sociale europeo tale da equilibrare disfunzioni dell’unione monetaria.
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