Debiti alti,
si faccia pulizia
GIUSEPPE PENNISI
Quante sono le municipalizzate? Secondo le stime più accreditate, quelle 'primarie' sarebbero almeno 6.000. Ci sono poi le società di secondo grado, 'figlie' delle prime, in merito al cui numero nessuno può azzardar stime. Il presidente del Consiglio ha detto che in tutto sono 8.000; probabilmente un’approssimazione per difetto. La ragion d’essere di numerose di queste società 'figlie' pare essere quella di aggirare (entro certi limiti) la normativa su appalti e commesse. La situazione non sarebbe preoccupante se, come auspicato da Giovanni Montemartini in età giolittiana (in testi studiati, obliati in Italia, ma su cui si basano le direttive della Banca mondiale) le municipalizzate portassero un flusso di cassa positivo netto, grazie al quale Regioni e Comuni potrebbero poi destinare risorse e progetti ai più deboli. In realtà sembrano, invece, essere né più né meno che una fabbrica di cambiali. Secondo la banca dati del Dipartimento della Funzione Pubblica i risultati economici delle municipalizzate italiane sono crollati del 77%: nel solo 2011, ultimo anno monitorato, soltanto il 56% delle società locali ha chiuso in utile e meno del 7% degli utili è stato generato da aziende interamente pubbliche. Per la Corte dei Conti, l’indebitamento netto di questo 'capitalismo delle autonomie locali' si porrebbe sui 35-40 miliardi.
I vari tentativi di porre rimedio hanno fatto un buco nell’acqua. Lo scorso autunno i Comuni fino a 30mila abitanti, cioè 96 municipi su 100, avrebbero dovuto privatizzare le proprie società, ma non se ne è fatto nulla. La regola è in Gazzetta Ufficiale dal 2010, quando la manovra estiva diede un ordine draconiano: fino a 30mila abitanti non si possono costituire società partecipate e i Comuni che le avevano, avrebbero dovuto cederle entro il 31 dicembre 2012. È seguita la pioggia di correttivi, che hanno diluito e snaturato il testo originario. La legge oggi in vigore salva le società con i conti in ordine, ma impone di vendere quelle che zoppicano e magari hanno subito negli ultimi anni perdite tali da portare il capitale sotto i minimi richiesti. Dato che se queste sono messe in vendita, nessuno le compra, se ne dovrebbe imporre la liquidazione.
Vicende analoghe hanno avuto i tentativi di porre ordine nelle società 'strumentali', cioè quelle che lavorano quasi esclusivamente per l’ente pubblico che le ha create. A prenderle di mira è stata la spending review: non servono a nulla perché è meglio acquistare i servizi dal mercato. In questo caso i termini erano doppi: la privatizzazione doveva avvenire entro il 30 giugno scorso, mentre a dicembre avrebbero dovuto chiudere i battenti quelle non ancora privatizzate. La Corte costituzionale, chiamata in causa da Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia e Sardegna, a luglio ha stabilito che, in base all’attuale Titolo V, la regola è incostituzionale per le tutte le Regioni e per i Comuni nei territori a Statuto speciale. Il presidente del Consiglio in carica è stato presidente di provincia e sindaco di una grande città. Ha quindi esperienza in materia di governo degli enti locali. Se non la coniuga con l’ambizione di modernizzare l’Italia, diventerà poco più che un numero: una vittima in più del 'socialismo reale' a livello locale.
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Per la Corte dei Conti l’indebitamento netto del 'capitalismo delle autonomie locali' è sui 35-40 miliardi. I tentativi di porvi rimedio hanno fatto un buco nell’acqua
I TAGLI Una recente protesta a Genova dei lavoratori delle società municipalizzate LA
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