OPERA/ Perché le Carmelitane di Poulenc ci commuovono e danno coraggio
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Les Dialogues de Carmélites
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L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha riportato a Roma uno dei capolavori
del Novecento ‘Les Dialogues de Carmélites’ di Francis Poulenc. Non è
un’esecuzione integrale: dal 10 al 13 maggio, le pagine salienti dell’opera
vengono accoppiate con lo ‘Stabat Mater’ sempre di Poulenc. Lo Stabat
Mater è un capolavoro eccelso già ospitato due volte nei concerti
dell’Accademia; nell’attuale esecuzione il coro, guidato da Ciro Visco, ha dato
il meglio di sé ed è stato, meritatamente acclamato.
Credo che questa sia la prima volta che ‘Les Dialogues de
Carmélites’ viene presentato all’Accademia di Santa Cecilia, che
ebbe la prima assoluta al Teatro alla Scala – che la aveva commissionata – nel
gennaio 1957. Anche sotto il profilo musicale, nel 1957 era opera ‘moderna’ ma
non ‘contemporanea’, in quanto vicina al teatro musicale tradizionale italiano
e non agli stilemi di moda all’epoca, ‘Les Dialogues de Carmélites’ è
uno dei grandi capolavori del Novecento.
Altri lavori di Poulenc , quali La Voix Humaine e Le
Mammelles de Tirésias, possono essere considerati più innovativi, ma tanto
Stabat Mater quanto Les Dialogues de Carmélites segnano il
desiderio del compositore nel dare il meglio di sé nel ritorno alla Fede.
A Roma, il lavoro mancava del 1991, quando al Teatro
dell’Opera venne presentata una superba edizione (con la regia di Alberto
Fassini, le scene e i costumi di Pasquale Grossi, la direzione Musicale di Jan
Lotham Koening ed un cast stellare), successivamente ripresa a Cagliari,
Catania e Trieste; varrebbe la pena che il Teatro dell’Opera la riproponesse in
una delle prossime stagioni. Ho avuto la fortuna di vedere e ascoltare l’opera
non solo a Roma ma nell’edizione di altissimo livello di John Dexter al
Metropolitan di New York nel 1980 e in quella di Robert Carsen (con Muti sul
podio) nel 2004 al Teatro degli Arcimboldi, dove la Scala era in trasferta
durante i lunghi anni del restauro della sala del Piermarini.
Anche se non si tratta di teatro in musica all’insegna di quella
che nel 1957 era la contemporaneità, l’ascolto de Les Dialogues de
Carmélites, specialmente se in forma di concerto, richiede preparazione.
Proprio in questa settimana, è uscito un libro da leggere prima di entrare
nella Sala Santa Cecilia Francis Poulenc – Una Biografia di
Stefania Franceschini (Zecchini Editore, 320 pagine € 23). Stefania
Franceschini è una giovane docente e musicologa che ha dedicato anni allo
studio della musica francese del Novecento, capitolo importante ma spesso
ignorato nella pubblicistica italiana (molto più attenta all’evoluzione in
Germania, negli Usa e nei Paesi dell’Europa centrale ed orientale). Il libro è
il primo lavoro completo di autore italiano ed in italiano su Poulenc.
Consideralo una biografia è riduttivo. E’, invece, un’analisi del compositore e
della sua musica, del suo amore per l’Italia (dove lui vivente, i suoi lavori
venivano eseguiti con grande successo) e della sua attività di pianista (sia
come autore sia come interprete in lunghe tournée in tutto il mondo).
La vicenda è nota: riguarda il ghigliottinamento di sedici
carmelitane in Piazza della Rivoluzione (oggi Piazza della Concordia) dieci
giorni prima della fine del terrore. E’ una vicenda vera tramandata da una
delle consorelle che, per una caso fortuito (era nei ministeri alle prese con pratiche
burocratiche) non venne arrestata – segno della volontà del Signore di farla
restare in vita a testimoniare il martirio delle consorelle. In effetti, la
scrittrice tedesca Gertrud von le Fort ne trasse un racconto che pubblicato nel
1931 aveva anche intenti politici (la libertà della Fede a fronte del Nazismo
incalzante). Georges Bernanos ne trasse un dramma teatrale di successo e la
sceneggiatura per un film.
l lavoro di Poulenc è tratto dalla sceneggiatura:
rapide scene che si succedono nei tre atti (originariamente sarebbero dovuti
essere due). Un film venne realizzato nel 1960 con la regia di Raymond Léopold
Bruckberg e Philippe Agostini con Jeanne Moreau (tra gli interpreti) e André Bac
(perla fotografia). Il film non torna nelle sale e neanche in televisione.
L’opera di Poulenc è spesso in cartellone negli Usa, in Germania e in Francia,
ma raramente in Italia dove pur ebbe la prima esecuzione assoluta.
E’ un lavoro quasi interamente per voci femminili
anche se richiede un tenore lirico spinto ed un baritono nei ruoli principali
(e molte voci maschili in quelli secondari). Tra la voci femminili, dominano un
soprano ‘assoluto’ (la protagonista Blanche), un soprano di coloratura (Constance),
un contralto (la vecchia Priora), ed un mezzo soprano (Marie). La selezione
presentata all’Accademia di Santa Cecilia, con la concertazione di
Stéphane Denève, propone i tre interludi sinfonici e quattro dei quindici
quadri dell’opera. In effetti, resta il tronco centrale ed alcun scene
magnifiche, quali la morte della vecchia Priora, il duetto tra sorella e
fratello, e il drammatico finale, ma si perdono alcuni aspetti musicali
importanti, quali la fresca spensieratezza di Suor Costanza (che richiede un
soprano di coloratura in grado di cantare il Donizetti e il Rossini più
spericolato - parte decurtata all’osso nell’esecuzione ascoltata). Il pubblico
ha un assaggio – come tutti gli assaggio privo di alcune delle portate
principali.
Fatta questa precisione, occorre sottolineare che
l’esecuzione è stata di altissimo livello grazie alla bacchetta di Denève, ed a
Jean – François Bourras, Karen Voucrch, Monica Bacelli, Sylvie Brunet-Grupposo,
Hélène Guilmette, Laurent Nouri e professionisti del coro dell’Accademia
(Michele Malagoli, Simonetta Pelacchi, Tiziani Pizzi, Carlo Napoletani) nei
ruoli secondari. Di grande impatto, e di grande emozione, la scena finale.
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