Perché non sarà facile far lievitare il Pil
22 - 05 - 2014Giuseppe Pennisi
Il presidente del Consiglio Matteo
Renzi passerà in bianco la notte tra il 25 ed il 26 maggio in
attesa di conoscere i dettagli dei risultati elettorali (non solamente gli exit
polls, spesso rivelatisi fuorvianti). Sarà in compagnia di molti altri
italiani, convinti che – quali che siano le affermazioni del presidente del
Consiglio di questi ultimi giorni – gli esiti delle elezioni europee peseranno
sulla solidità e stabilità del Governo da lui guidato. Gli suggeriamo di
dormire bene (e profondamente) la notte tra il 27 ed il 28 maggio (quali che sia
stato il risultato elettorale) per essere accanto alla radio o di fronte al
video quando verranno annunciati i dati principali del Rapporto
Istat. E’ l’altra componente da cui dipende il futuro della
maggioranza. Tanto più che sino a ora è stato annunciato un programma di
riforme, ma non una politica economica a medio termine completa in tutti i suoi
aspetti.
In effetti, si ha l’impressione che sul comodino del presidente
del Consiglio ci sia un unico volume: il Rapporto Brandt del
1980 in cui si sosteneva la tesi che, effettuate le necessarie riforme
istituzionali e, se del caso, allineate alcune strutture portanti dell’economia
internazionale, la crescita sarebbe stata automatica e inclusiva, ossia da
beneficiare anche i meno fortunati e dare loro un ascensore sociale. Il Rapporto
Brandt è stato alla base del Washington Consensus che
ha dominato il pensiero economico sino agli Anni Novanta quando, in seno
all’Agesci, l’attuale Presidente del Consiglio era un lupetto. Non lo rottami,
ma non lo tenga neanche sul comodino. Lo manda negli scaffali tra i libri
d’epoca sempre utili per venire consultati.
I dati Istat potranno essere molto eloquenti. Non conterranno
previsioni quantitative dettagliate ma l’analisi del 2013 e le anticipazioni
sul 2014 ci diranno se stiamo uscendo dal tunnel. Ed in caso contrario se è
necessario un cambiamento di marcia per farlo.
Interessante, a riguardo, il XVIII Rapporto sull’Economia
Globale e l’Italia del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi
Einaudi e curato, come sempre, da Mario
Deaglio. E’ stato presentato a Roma la sera del 20 giugno e
pone apertamente la domanda di come sarà la ripresa, se è quando di recovery si
potrà parlare anche per il nostro Paese. Vengono presentati vari scenari: un
ritorno ai livelli del 2007 e da lì una nuova fase di crescita sostenuta, ad un
estremo; il ritorno a segni positivi molto deboli dell’andamento del Pil, ad un
altro.
Non viene espressa, nel XVIII Rapporto sull’Economia
Globale e l’Italia, una previsione puntuale. Ma dal documento è chiaro che
non è possibile pensare di ripartire da dove eravamo nel 2007 a tassi di
sviluppo degli Anni Ottanta. Da un lato, per una serie di determinanti
(demografia, emigrazione delle migliori risorse umane in cerca di opportunità,
scarsa managerialità, piccole dimensioni delle imprese, impianti obsoleti), la
produttività dei fattori di produzione pare destinata a restare bassa. Da un
altro, la crescita del passato non è più sostenibile, soprattutto a ragione
degli alti costi energetici. Da un altro ancora, lo stock di debito pubblico
(quasi al 135% del Pil) frenerebbe anche economie più produttive e con meno
costi energetici.
Nascono molte domande propedeutiche all’uscita dal tunnel. A cui
finora non sono state fornite risposte. Magari arriveranno stasera nel corso
del comizio di chiusura che il premier e segretario del Pd terrà a Roma.
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