Decreto Franceschini: è presto per stappare lo champagne
La misura recentemente approvata aiuterà la musica? Il
percorso tecnico sembra andare nella giusta direzione, concedendo sgravi
fiscali al contributo dei privati. Poi bisognerà confrontarsi con la mentalità
delle aziende che, secondo uno studio del 2010, preferiscono elargizioni a fini
sociali che culturali
di Giuseppe Pennisi
Grande festa la sera
del 23 maggio in Piazza Beniamino Gigli dove ha sede il Teatro di Roma
Capitale, nuova denominazione del Teatro dell’Opera, In mattinata è stato
approvato il decreto legge che, oltre a dare un’allocazione supplementare del
Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), alla fondazione lirica romana (che ha
attuato una severa cura economica negli ultimi mesi), le conferisce uno stato
‘speciale’, tale da consentire programmazione triennale delle attività.
«Si tratta – hanno
affermato il Sindaco di Roma e Presidente della Fondazione Ignazio Marino ed il
Sovrintendente Carlo Fuortes – di un primo importante passo per il
riconoscimento dell’alto valore del Teatro e dei suoi complessi artistici che,
sotto la direzione del Maestro Riccardo Muti ha raggiunto livelli di
eccellenza». Il decreto legge prevede che, “per valorizzare e sostenere le
attività operistiche nella Capitale, la Fondazione Teatro dell’Opera di Roma
assume il nome di Teatro dell’Opera di Roma Capitale”. Muti ha fatto loro eco
dal Giappone dove è in tournée con la compagnia.
Sulla stessa linea il
Presidente della Fondazione del Teatro La Fenice, nonché Sindaco di Venezia,
professor Giorgio Orsoni, che si è espresso anche in veste di Coordinatore
delle Città Metropolitane. «Il decreto del Ministro Dario Franceschini che
consente la defiscalizzazione del 65% del contributo dei privati alle
Fondazioni degli enti lirici è un sostanziale passo in avanti compiuto dal
Governo in favore della cultura musicale italiana».
«Finalmente – aggiunge
Orsoni – c’è un governo che va nella direzione giusta della valorizzazione del
rapporto tra pubblico e privato». Relazione che non può che essere sostanziata
da un intervento che, come questo, dà la possibilità, se non a tutti, almeno
alla maggioranza dei Teatri d’opera di proporre quelle partnership con il mondo
delle aziende, degli stake-holders e dell’industria che, legittimamente, si
chiedevano quale potesse essere il loro vantaggio fiscale rispetto alla
manifesta volontà di contribuire al rilancio di una delle più importanti
manifestazioni culturali del nostro Paese.
Un altro elemento
positivo nel decreto del governo è riscontrabile nell’aumento del fondo a
disposizione per i Teatri che hanno chiesto il riconoscimento dello stato di
crisi , un provvedimento che ci auguriamo si accompagni alla creazione di quel
fondo di rotazione auspicato dalle Fondazioni che, invece, non hanno voluto
accedere al fondo perché con i bilanci in regola. Si potrebbero citare
altre dichiarazioni anche se la prudenza consiglia di attendere la firma del
decreto dal Presidente del Consiglio e la promulgazione prima di analizzare il
testo e la ‘relazione tecnica’ della Ragioneria Generale dello Stato per
individuare quali saranno le coperture di spese aggiuntive o di mancato gettito
tributario.
Il decreto legge – di
cui circolano bozze ed anche la versione del testo approvato dal Consiglio dei
Ministri – prevede principalmente incentivi tributari per le donazione di
privati per la cultura, chiamati ‘Artbonus’, oltre ad altre materie (quali un
commissario alla Reggia di Caserta, tre milioni per i comuni che faranno
attività culturali nelle periferie urbane, e misure a supporto del
turismo). L’ Artbonus è modellato sull’ Ecobonus, in vigore da anni per
impianti ed altre attività ad alto contenuto ecologico. È solo in parte una
novità: da anni esistono sgravi tributari (una detrazione del 19%) per
individui ed aziende che vogliano fare elargizioni liberali a varie attività
con finalità socio-assistenziale o culturali, elencate in decreti applicati.
Nel 2009 una Commissione ministeriale propose di portare la detrazione al 30%
(media allora degli Stati più avanzati dell’Unione Europea- in effetti UE a
15). Non se fece nulla a ragione dell’opposizione del Dipartimento delle
Politiche Fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze poiché avrebbe
comportato una perdita di gettito ritenuta eccessiva. Si tentò di coniugare la
detrazione con un ‘plafond’ annuo stabilito del Parlamento (su proposta del
Governo). Il nodo fu come applicare il ‘plafond’ dato che il Ministero dei Beni
e delle Attività Culturali ha smantellato nel 2005 la propria unità di
valutazione. La procedura più ‘ efficiente’ parve essere quella allora in atto
per le energie alternative: ordine di presentazione della domanda previa una
valutazione più amministrativa che tecnica della richiesta. Comunque non se ne
fece nulla. Occorre ricordare che le prime proposte di incentivi tributari alle
attività culturali risalgono al 1985-86; allora si puntava a deduzioni dal
reddito imponibile non di detrazioni d’imposta.
La strada adesso
scelta (salvo verifica quando sarà promulgato il decreto) sarebbe un credito
d’imposta del 65% in tre anni, analogo, per molti aspetti, al tax credit
Bondi (dal nome del Ministro che lo ha introdotto) per il cinema. Lo
conferma, indirettamente, il raffronto con la Francia fatto dal Ministro
Franceschini in conferenza stampa; in Francia sono in vigore deduzioni sino al
60% (in certi casi) che si applicano sul reddito imponibile non sull’ammontare
dell’imposta da pagare. Se questo è il caso, la detrazione fiscale equivalente
sarebbe attorno al 20-22% – più o meno in linea con quanto già in vigore. Ciò
spiega perché le vestali dell’erario non si innervosiscono.
La misura porterà ad
un aumento delle elargizioni liberali per l’arte dal vivo e per la musica?
L’unico studio in materia (a noi noto) è quello pubblicato dall’Associazione
Civita nel 2010 e fatto in collaborazione con il Dipartimento di Economia
dell’Università di Roma La Sapienza: realizzato su un vasto campione di
individui e di aziende (principalmente nel centro-nord) arrivava alla
conclusione che gli italiani preferiscono di gran lunga elargizioni liberali a
fini sociali (asili nido, residenze assistite per anziani, ricerca medica,
formazione di inferiori, borse di studio a studenti bisognosi ma meritevoli)
che quelle alla cultura. Tra queste ultime, i siti archeologici ed i musei
erano preferiti alle arti dal vivo.
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