domenica 31 agosto 2014

OPERA/ King Arthur di Purcell, la prima italiana: scontro tra cristianesimo e paganesimo germanico in Il Sussidiario primo settembre



OPERA/ King Arthur di Purcell, la prima italiana: scontro tra cristianesimo e paganesimo germanico

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King Arthur , ‘semi-opera’ di Henry Purcell su testo di John Dryden, arriva in Italia dopo circa 325 anni dalla prima londinese, di cui si hanno tracce (recensioni giornalistiche) nel giugno 1691. La prima italiana sarà a Rimini il 16 settembre, nell’ambito della Sagra Malatestiana; si vedrà, poi, a Roma nel quadro del RomaEuropa Festival a metà ottobre e successivamente in varie città italiane e forse straniere. E’ un evento importante per il suo significato musicale e religioso-filosofico. 
La messa in scena, come di consueto alla Sagra Malatestiana, è affidato ad un gruppo di avanguardia, il Motus creato ed animato da Daniela Nicolò che ci sottolinea come il lavoro sia un terreno di incontro fra musica e parole assolutamente originale in cui i  suoni sono strumenti di metamorfosi che svelano una potenzialità ambigua. Il canto è affidato a presenze sovrannaturali, spiriti o figure mitologiche, personaggi secondari che non hanno diritto di parola, mentre i veri protagonisti, recitano o declamano. Da una tale dialettica – rara nella storia del teatro occidentale – derivano il carattere ibrido del lavoro, detto “semi-opera”, e la sua anomalia fascinosa e unica.
Nel  testo, scritto nel 1684 dal poeta John Dryden, i personaggi commentano le loro azioni e si avventurano spesso anche in micidiali riflessioni sul teatro e il suo stesso farsi, sul rapporto con la critica e il pubblico. Nel 1690, mutato il regime politico in cui l’opera era stata commissionata, il drammaturgo chiese a Purcell di comporne le musiche. Artù per i Britanni e Oswald per i Sassoni, si specchiano in Merlino e Osmond, replicati a loro volta nei loro magici serventi, Philidel e Grimbald, perfetti equivalenti di Ariel e Calibano, in una vertigine di doppi… Un po’ come accadeva - sottolinea Daniela Nicolò -  nella Seconda Guerra Mondiale, quando Churchill e Hitler avevano i loro rispettivi stregoni che inviavano incantesimi guerrieri sopra le onde.
La passione tra Arthur, spesso in preda a dubbi e assai disamorato della sua professione di conquistatore, e la non vedente principessa  Emmeline, ha sullo sfondo il rumore assordante del conflitto, quello tra gli dei del paganesimo germanico ed il mondo classico e cristiano
Gli eventi del King Arthur conducono infatti alla nascita di una nazione in un momento politico convulso, in cui lo scrittore doveva rivisitare il proprio ruolo, rispetto alla società e alla corte. 
Sotto il profilo musicologico – avverte l’ensemble Sezione Aurea che ne curerà l’esecuzione -  King Arthur stimola oggi due riflessioni: la prima deriva dal genere - sperimentale in quanto semi-opera - come ibrida combinazione di recitazione, canto, danze, brani strumentali e macchine sceniche; la seconda è legata alla tradizione del testo musicale, della partitura o delle parti staccate La partitura manoscritta originale non è sopravvissuta al tempo, ma gran parte di essa è rimasta in possesso del Dorset Garden Theatre, dove la prima venne seguita da cento repliche, e venne usata per le riprese nei decenni successivi, fino ad essere copiata, integrata ed in parte pubblicata nei primi anni del Settecento.  
Sezione Aurea intende offrire una rivisitazione musicale storicamente attenta. Le fonti principali sono state individuate nella seconda ristampa (1702) e nella seconda edizione (1712) del King Arthur, a complemento delle due diverse lezioni conservate a Salisbury e al British Museum.   
Nella storia delle produzioni successive del King Arthur – che dal 1784 appare più frequentemente con il titolo  Arthur and Emmeline - si assiste a continue sperimentazioni nell'organizzazione dei ‘numeri’, negli organici e nella diversa formazione delle compagnie, con equilibri sempre diversi tra le parti recitate e cantate (come nelle versioni rimaneggiate di Henry Bishop al Covent Garden del 1819 o in quella di William Hawes per il Lyceum del 1857).
Per la nostra esecuzione,precisa Sezione Aurea, si è cercato di elaborare un originale equilibrio strumentale, che tenesse conto della nuova lettura drammaturgica, non prescindendo dal confronto serrato con le recenti letture musicali di Pinnock, Gardiner, Christie e Niquet.
Sezione Aurea intende offrire alla lettura drammaturgica alcune tra le molteplici sfumature del dettato musicale purcelliano. Nella famosa Aria del Freddo, che vibra attraverso l’insistita figura del tremulo, il tema iniziale costruito su cellule musicali ripetute in monotona sequenza, non esercita solo un immediato impulso retorico ad evocazione del ghiaccio, ma suggerisce un’intenzione più profonda, della voce, del gesto e dell’azione scenica e pone le sue radici nella tradizione francese. Si pensi alla Isis di Lully ed in particolare, al Choeur des Trembleurs che provocherà infinite suggestioni anche dopo Purcell, ad esempio nell’Inverno delle Quattro stagioni vivaldiane, dove il gelo viene quasi reso pittoricamente dalle crome che si ripetono senza apparente ritmo o melodia.


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CONSIGLI A RENZI/ Le tre mosse che valgono più dello sblocca-Italia in Il Sussidiario primo settembre



CONSIGLI A RENZI/ Le tre mosse che valgono più dello sblocca-Italia

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Agli economisti e ai commentatori economici spetta di essere criticamente da stimolo, specialmente in una situazione come quella di oggi. Gran parte dei commenti sull’ultimo Consiglio dei ministri sono positivi. E non possono non esserlo dato che, secondo il comunicato di palazzo Chigi e gli interventi del Presidente del Consiglio e dei principali Ministri competenti per le materie trattate (non si conoscono ancora i testi dei provvedimenti), sono stati affrontati e verosimilmente risolti alcuni nodi della giustizia (specialmente di quella civile) e dell’investimento pubblico.
Tuttavia, occorre chiedersi se: a) è stata data una risposta adeguata alle aspettative suscitate; b) si è tenuto conto del peggioramento della situazione economica italiana (quale risulta dalle statistiche più recenti); e, soprattutto, c) cosa può essere fatto di concreto e di attuabile nelle prossime settimane nel predisporre la Legge di stabilità.
Le aspettative suscitate riguardano non solamente il vasto comparto della scuola (per il riassetto del quale ci è stato chiesto di pazientare solo alcuni giorni), ma soprattutto le inefficienze dell’azione pubblica quali risultanti del Rapporto Cottarelli (soprattutto nel comparto del socialismo municipale e regionale), abilmente centellinate dal servizio stampa di palazzo Chigi ai giornali e, quindi, all’opinione pubblica. La situazione economica riguarda l’evidente scivolamento dell’Italia dalla più lunga recessione del dopoguerra e una fase di deflazione in cui rischiamo di avvitarci su noi stessi perdendo ogni anno un po’ di reddito reale (sia nazionale, sia familiare, sia individuale).
Non conosco personalmente Matteo Renzi, ma non nego di provare simpatia per questo quarantenne (alla prese con problemi gravissimi) che si atteggia a trentenne e utilizza le metodiche di comunicazione dei ventenni nella convinzione (vera o presunta) di avere esiti positivi, in tal modo, anche sugli “umori” degli ottantenni. La conferenza stampa (dal “gioco del gelato” all’ultima slide) è stato un piccolo capolavoro di quella che un tempo si chiamava “persuasione occulta”. Ha probabilmente diminuito il divario tra attese e risultati, ma i problemi restano poiché in sostanza l’esito è stato un modesto rilancio dell’investimento pubblico (ridotto, nel lasso degli ultimi dieci anni, di due terzi per rapporto al Pil) e una velocizzazione della giustizia civile, che avverrà solo se si supereranno le resistenze di varie oligarchie.
Agli economisti e ai commentatori economici spetta di essere criticamente da stimolo, specialmente in una situazione come quella di oggi. Gran parte dei commenti sull’ultimo Consiglio dei ministri sono positivi. E non possono non esserlo dato che, secondo il comunicato di palazzo Chigi e gli interventi del Presidente del Consiglio e dei principali Ministri competenti per le materie trattate (non si conoscono ancora i testi dei provvedimenti), sono stati affrontati e verosimilmente risolti alcuni nodi della giustizia (specialmente di quella civile) e dell’investimento pubblico.
Tuttavia, occorre chiedersi se: a) è stata data una risposta adeguata alle aspettative suscitate; b) si è tenuto conto del peggioramento della situazione economica italiana (quale risulta dalle statistiche più recenti); e, soprattutto, c) cosa può essere fatto di concreto e di attuabile nelle prossime settimane nel predisporre la Legge di stabilità.
Le aspettative suscitate riguardano non solamente il vasto comparto della scuola (per il riassetto del quale ci è stato chiesto di pazientare solo alcuni giorni), ma soprattutto le inefficienze dell’azione pubblica quali risultanti del Rapporto Cottarelli (soprattutto nel comparto del socialismo municipale e regionale), abilmente centellinate dal servizio stampa di palazzo Chigi ai giornali e, quindi, all’opinione pubblica. La situazione economica riguarda l’evidente scivolamento dell’Italia dalla più lunga recessione del dopoguerra e una fase di deflazione in cui rischiamo di avvitarci su noi stessi perdendo ogni anno un po’ di reddito reale (sia nazionale, sia familiare, sia individuale).
Non conosco personalmente Matteo Renzi, ma non nego di provare simpatia per questo quarantenne (alla prese con problemi gravissimi) che si atteggia a trentenne e utilizza le metodiche di comunicazione dei ventenni nella convinzione (vera o presunta) di avere esiti positivi, in tal modo, anche sugli “umori” degli ottantenni. La conferenza stampa (dal “gioco del gelato” all’ultima slide) è stato un piccolo capolavoro di quella che un tempo si chiamava “persuasione occulta”. Ha probabilmente diminuito il divario tra attese e risultati, ma i problemi restano poiché in sostanza l’esito è stato un modesto rilancio dell’investimento pubblico (ridotto, nel lasso degli ultimi dieci anni, di due terzi per rapporto al Pil) e una velocizzazione della giustizia civile, che avverrà solo se si supereranno le resistenze di varie oligarchie.
Se gli esiti sono questi, ipotizzando che tra brevissimo verranno sciolti (e bene) i nodi sulla scuola, cosa deve entrare nella Legge di stabilità per tirarci fuori dalla deflazione? L’Italia ha poche frecce al proprio arco. Quelle monetarie sono in mano alla Banca centrale europea ed è da dubitare che le possa utilizzare vista l’opposizione di molti paesi (non solo la Germania) e la necessità della preliminare revisione del proprio regolamento (che la obbliga a non fare superare più del 2% l’anno la crescita del tasso armonizzazione dell’indice dei prezzi al consumo). Quelle di bilancio sono spuntate dalla decisione “politica” di contenere l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni entro il 3% del Pil anche se, giuridicamente, nella situazione di grave recessione (e di deflazione), si potrebbe superare temporaneamente il vincolo.
Al Governo resta, essenzialmente, la messa in atto di misure per ridurre la spesa pubblica e renderla più efficiente (alleggerendo così quella che è una vera oppressione fiscale e regolamentare) e una strategia dell’offerta. Come? In primo luogo, i provvedimenti della spending review richiedono una cornice che può essere inclusa nella riforma della Costituzione (in discussione in parallelo alla Legge di stabilità). Si potrebbe introdurre nella Carta il fatto che: a) che tutte le leggi (e regolamenti e circolari varie) siano “a termine” (una “sunset regulation” generalizzata) e non possano essere estese con marchingegni quali il “mille proroghe” per impedire il formarsi di un Himalaya di norme (la fonte principale di sprechi e inefficienze); b) le società in disavanzo per più di tre esercizi del socialismo municipale (e regionale, nonché di quel che resta di quello provinciale) vengano messe in liquidazione forzosa, con commissari provenienti da regioni differenti da quelle in cui l’azienda ha la sede sociale.
In secondo luogo, serve un’energica strategia dell’offerta basata sulla liberalizzazione dei mercati delle merci e dei servizi per spingere imprese grandi e piccole a essere più competitive, e quindi più produttive. Ci vuole una terapia shock che azzeri resistenze settoriali e morda davvero.
In terzo luogo, occorre tenere conto del “convitato di pietra”, il fardello del debito pubblico che frena da anni la crescita e aggrava ora la deflazione. Non mancano proposte: prima di chiudere i battenti del Cnel si potrebbe incoraggiare un confronto, con esperti e Parti sociali, tra le varie proposte sul tappeto per giungere a un programma concreto.


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Complimenti a Tusk e Mogherini, ma solo Merkel può salvarci dalla deflazione in Formiche 31 agosto




Complimenti a Tusk e Mogherini, ma solo Merkel può salvarci dalla deflazione
31 - 08 - 2014Giuseppe Pennisi Complimenti a Tusk e Mogherini, ma solo Merkel può salvarci dalla deflazione
La “politica del sedere” (vedere Formiche.net del 17 agosto) fa sempre notizia, ma noi che siamo, in spirito, molto più giovani di Matteo Renzi, siamo meno interessati a chi posa il fondoschiena dove e più a come l’Europa potrà uscire dalla deflazione e chi potrà pilotarla verso acque migliori. La storia non si ripete, ma occorre metabolizzarne le lezioni. In passato, la via d’uscita dalla ‘deflazione’ è stata contrassegnata da guerre e da riduzioni delle libertà democratiche.
Ai complimenti d’obbligo a Federica Mogherini e ad Donald Tusk, è doveroso aggiungere che non saranno né loro né i Commissari “economici” ad impedire che la barca, specialmente quella dell’eurozona, riesca e non affondare ed a navigare piano, ma serenamente, in mare aperto.
Non lo sarà neanche la Banca centrale europea (Bce) il cui Consiglio si riunisce il 4 settembre sotto la guida del suo Presidente Mario Draghi. Nonostante la promesse fatte nel giugno 2012 e ribadite pochi giorni fa a Jakson Hole, di mettere in atto “misure non convenzionali”, i differenti punti di vista all’interno dell’organo di governo della Bce e la notoria (piuttosto che nota) prudenza del suo Presidente faranno sì che il quantative easing e le ouright monetary transactions (ove mai adottate) lo saranno tardivamente ed in misura inadeguata.
Inoltre, la storia economica ci insegna pure che la freccia monetaria non basta; per essere efficace deve essere accompagnata da una politica “aggressiva” di bilancio (vincolata dal Fiscal Compact ed in Italia vietata dalla legge “montiana” sul pareggio di bilancio), nonché da politiche ‘strutturali’, nel senso che incidano sulle ‘strutture’ dell’economia e sul loro indicatore più eloquente, i prezzi dei fattori di produzione, nonché delle merci e dei servizi. Con la sua franca brutalità di sempre, Lawrence Summers (ex Segretario al Tesoro Usa, nonché consigliere economico di Obama e, pure, grande frequentatore e conoscitore dell’Italia) dice senza mezzi termini L’Europa corre il rischio di una stagnazione secolare. Se i Governi non mettono in atto misure drastiche – aggiunge – ci sono poche probabilità che nell’eurozona si torni a tassi di crescita sufficientemente sostenuti da portare la disoccupazione a limiti accettabili. Non crede che la Bce prenderà le misure minime necessario – Chi non ha coraggio, non se lo può dare – e considera velleitari i propositi di Palazzo Chigi di porsi alla testa di una politica di crescita per l’eurozona.
Un altro osservatore straniero, grande conoscitore dell’Italia (dove vive diversi mesi l’anno per incarichi universitari e societari, quali il CdA Telecom), Jean Paul Fitoussi, afferma che dobbiamo cambiare l’indirizzo di politica economica (in Europa ed in Italia, ndr) per evitare una situazione potenzialmente preoccupante sotto il profilo politico e sociale ma non si vede chi la farà.
Tutto sommato penso che si debba dare retta al mio vecchio amico Anatole Kaletski (ha dieci anni meno di me, ma ha una visione molto più giovane di quella di Matteo Renzi, le cui continue battute sarebbero – se si deve retta a Italo Svevo – un segno di senilità incipiente): sarà Angela Merkel a tirarci fuori dal pasticcio prima di ritirarsi a vita privata, con il suo amato Johakim, nelle tre stanze vicine alla Staatsoper ad ascoltare musica classica.
Anatole se ne intende. Nato a Mosca, ma con gioventù e scuole in Polonia ed Australia prima di approdare al King’s College di Cambridge e di diventare un noto analista “eterodosso”, ha contatti diretti e frequenti con Angela Merkel. A suo dire, l’asse franco-tedesco si è rinsaldato (e l’Italia ha avuto il seggio ambito ma è tornata a fare da comprimario). Anche se, nelle dichiarazioni ufficiali, Berlino mostra il piglio del rigore, la Germania avrebbe avuto un ruolo non secondario nel pirotecnico rimpasto del Governo francese: il nuovo Ministro dell’Economia, Emanuel Macron (di cultura “atlantica” ove non apertamente americana) ha ottimi rapporti con i colleghi tedeschi e, soprattutto, ha un’idea abbastanza chiara delle riforme ‘strutturali’ da apportare al sistema francese: drastiche revisioni a previdenza e sanità per contenere la spesa pubblica, revisione della normativa sul lavoro per aumentare produttività  e soprattutto abbattimento delle barriere categoriali alla concorrenza. Anche se “scelto per caso” (l’Eliseo avrebbe voluto l’ex Presidente delle Ferrovie ma è stato impossibile raggiungerlo in quanto era in barca a cellulare spento), il 36nne Macron ha le caratteristiche dell’interlocutore-partner ideale di Angela Merkel.
La situazione economica tedesca si sta avviando verso una stagnazione che potrebbe esserne lunga. La Repubblica federale non può uscirne da sola. Tuttavia, il resto dell’eurozona (o almeno dei grandi Paesi dell’area) deve attuare riforme economiche ‘strutturali’. La Spagna lo sta facendo e se ne cominciano a vedere gli esiti. Macron ne potrebbe essere il protagonista in Francia.
Ed in Italia? Si parla da mesi del Jobs Act, ma se non si crea un clima più favorevole nei confronti delle imprese (e’ di venerdì la notizia dell’esodo, verso la Romania, di un’impresa americana di alta tecnologia localizzata nel Mezzogiorno), non si rimuovono i limiti alla concorrenza e non si riduce il fardello del debito pubblico, resteremo al palo. D’altronde – dicono a Bruxelles – avete avuto il seggio che volevate: adesso muovetevi.

sabato 30 agosto 2014

ROMEO E JULIETTE” NELLE GUERRE STELLARI IN MILANO FINANZA 30 AGOSTO



ROMEO E JULIETTE” NELLE GUERRE STELLARI
Giuseppe Pennisi
Chi avrebbe mai pensato che sarebbe quel reazionario di Charles Gounod a rinnovare il pubblico di un’Arena di Verona abituato sino a poche ‘stagioni’ fa ad un repertorio di “Aida”, “Carmen”, “Turandot” quasi immodificabile. William Shakespeare e George  Lucas hanno complottato con il regista Francesco Micheli e trasferito l’opèra lyrique Roméo et Juliette,  in una Verona da “guerre stellari”. Le gradinate più alte (ed a prezzi più bassi)  dell’Arena (dove è in scena sino al 6 settembre) sono affollate da giovani. L’elemento scenico principale è una copia del teatro elisabettiano The Globe che si apre in due spicchi per diventare i palazzi dei rivali Capuleti e Montecchi. Costumi atemporali: da abbigliamento odierno ed un Rinascimento “fantasy”. La cella di Frà Lorenzo è un grande globo multicolore Non mancano effetti speciali come un auto alata che va in fuoco. I cantanti devono essere anche atleti non solo per i duelli: Romeo e Giulietta passano la notte di nozze sospesi a 20 metri dal palcoscenico.
Chi storce il naso di fronte ad un approccio così avveniristico è, però, soddisfatto dalle voci. I due protagonisti (Vittorio Grigolo e Lana Kros ) hanno l’aspetto e la tessitura vocale appropriata, nonché un francese senza sbavature . Di livello tutta la compagnia - 12 solisti, coro e corpo di ballo. Spiccano Annalisa Stroppa (Stefano, paggio di Romeo), Michael Batchtadze (Mercuzio) e Giorgio Giuseppini (un imponente Frà Lorenzo). E l’orchestra? Jean-Luic Tinguad tiene un buon equilibrio tra buca e palcoscenico.