Vi spiego perché
mi convince (in parte) la politica del ministro Padoan
27 - 08 - 2014Giuseppe Pennisi
Formiche.net non ha mai fatto sconti al ministro dell’Economia e
delle Finanze, Pier Carlo Padoan, anche se il vostro chroniqueur lo
conosce e lo apprezza da quando, oltre trent’anni fa, organizzavamo convegni
per l’Istituto Affari Internazionali sulla International Political
Economy – allora oggetto misterioso in Italia. In epoca più recente,
ci consultavamo, da schieramenti per così dire opposti, quando l’uno curava la
parte economica del mensile MondOperaio (contiguo
al Psi) e l’altro quella di Politica ed Economia (vicino
al Pci). Formiche.net ha più volte criticato il
suo assordante silenzio, mentre altri esponenti del governo parlavano di
temi economici, senza averne competenza né amministrativa né sostanziale.
Non è, quindi, per acquisire benevolenze anche
solamente di un buon vicinato, che la sua intervista al Corriere
della Sera di oggi ci sembra un’ottima introduzione al Consiglio
dei Ministri di venerdì.
In primo luogo, Padoan chiarisce che dopodomani a
Palazzo Chigi non si parlerà solo o principalmente di giustizia e di scuola –
argomenti peraltro importantissimi – ma anche di strategia economica. Ciò è
necessario non tanto in vista del Consiglio Europeo di sabato 30 agosto (dove i
28 si accapiglieranno su nomine e poltrone) ma in prospettiva dell’Eurogruppo
in calendario il 12 settembre a Milano, quando l’Europa dell’euro dovrà non
solo affinare una posizione comune per l’assemblea delle istituzioni di Bretton
Woods (Fondo monetario, Banca mondiale, ecc) in programma a Washington
all’inizio di ottobre) ma pure definire una strategia per le scadenze europee
immediate, quali i documenti di stabilità ed i programmi nazionali di riforma.
In secondo luogo, Padoan smitizza il clamore delle
anticipazioni del Rapporto Cottarelli sull’inefficienza del
“capitalismo regionale e municipale”. Sono dati notissimi: nel 2007 al tema
venne dedicato un saggio nell’ufficialissima rivista Amministrazione
Civile del ministero dell’Interno; nel 2005, l’Università di Roma La
Sapienza aveva condotto uno studio ampiamente discusso in vari seminari (a cui
hanno partecipato esponenti politici); l’associazione di ricerche Astrid ha
pubblicato più di un libro in materia; da tredici anni
l’associazione Società Libera batte su questo tasto nel
suo Rapporto Annuale. C’è solo da augurarsi che questa ultima
uscita serva a smuovere le tendenze di alcune parti del sindacato (specialmente
all’interno del Cnel) a “liberalizzare ma non privatizzare”. E men che meno
chiudere. E’ strada impervia: occorre un articolo nella riforma della Costituzione
in lettura alla Camera per consentire alla Stato di intervenire se gli enti
locali non fanno il loro dovere.
In terzo luogo, Padoan ha annunciato una strategia di
rigore nella riduzione della spesa pubblica (ritengo di parte corrente, il
conto capitale – in percentuale della spesa complessiva e del Pil – è ai
livelli più bassi dall’età giolittiana). Il rigore verrà mitigato a ragione
della grave situazione dell’economia reale (che comporterà un rinvio del
pareggio di bilancio). Tuttavia, questa sarebbe potuta essere l’occasione di
introdurre (nella riforma della Costituzione o con norma strutturale ad hoc)
una misura strutturale, tale da impedire che, in caso di risanamento, le nostre
“profonde radici socio-culturali” (le chiamano così Spolarore e Wackziarg in un
bel saggio sul fascicolo di giugno 2013 del Journal of Economic
Literature) ci riconducano alla situazione attuale. Questa misura sarebbe
la “Sunset Legislation” in base alle quale tutte le leggi debbano
essere “a termine” ed allo scadere debbano, se utile, essere ri-approvate (con
gli aggiornamenti del caso) dagli organi deputati a legiferarle (vietando
Milleproroghe o simili) al fine di evitare l’Himalaya legislativo in cui si
annidano le disfunzioni e gli sprechi.
In quarto luogo, nei lineamenti di politica economica
indicati nell’intervista sembra mancare un capitolo: quello dell’offerta.
Essere supply sideo offertisti (secondo la pessima traduzione
italiana) pare essere diventata una parolaccia. Tuttavia, il ministro
dell’Economia e delle Finanze (di concerto con il ministro dello Sviluppo
Economico), ha due frecce importanti al suo arco: a) l’investimento pubblico
che nel breve periodo attiva capacità produttiva non utilizzata e, nel medio
periodo, migliora la produttività dei fattori produttivi; b) le
liberalizzazioni dei mercati delle merci e dei servizi per spingere imprese
grandi e piccole ad essere più competitive, e quindi più produttive. Se
l’investimento pubblico non può essere portato ai livelli degli anni Ottanta
(negli anni Novanta è iniziato il suo declino) si può attivare risparmio
privato in impieghi a lungo termine tramite banche di sviluppo, in primo luogo
la Cassa Depositi e Prestiti. In materia di liberalizzazioni, meglio una
terapia shock che azzeri resistenze settoriali che “lenzuolate” e simili.
In quanto luogo, non si parla di strategia per
incidere sul debito pubblico. Il Ministro ha più volte affermato che, a suo
avviso, il debito è sostenibile. Chi scrive ritiene che il
limite della sostenibilità è stato superato e che il fardello frena la
crescita. Persone oneste e in buona fede hanno spesso differenze di punti di
vista.
Nessun commento:
Posta un commento