giovedì 28 agosto 2014

Der Rosenkavalier- in Musica settembre



STRAUSS Der Rosenkavalier- Wiener Philhamoniker , direttore Franz Welser-Möst, regia Harry Kupfer, scene Hans Schavernoch, Costumi, Yan Tax, luci Jürgen Hoffmann, Video Thomas Reimer Coro della Staatsoper di Vienna diretto da Ernst Raffelberger Coro di voci bianche del Festival di Salisburgo diretto da Wolfang Götz. K. Stoyanova, G. Groissböck, S, Koch, A. Eröd, M.Erdmann, S. Dussmann, R. Scasching, W. Lehmkuhl, S. Pop, T. Kehrer, F. Supper, M. Piskorski, D. Aleschus, R. Sadnik, A. Zidarič,  P. Haines, I. Münch, A. Flood, F. Gürtelschmied, R. Grössinger, W.C. Song, F. Gruber, F. Springer, J. Musger, F. Boberski, K. Chobanov, M. Grabner, H. Höllriegl, B. Lichtenberger, C. Schläpfer, L. Burz.

Salisburgo, Grosses Festspielhaus
1 agosto 2014

Non è indubbiamente facile per i complessi dell’Opera di Vienna , per i quali Der Rosenkavalier è una pietanza regolare così come per i napoletani lo è la ‘pizza margherita’, suonare ‘fuori casa’ l’opera al tempo stesso più nota e più viennese di  Richard Strauss. Specialmente se il maestro concertatore è Franz Welser-Möst, che li guida regolarmente alla Staatsoper dove la ‘commedia per musica’ di Hofmannsthal e Strauss viene replicata almeno una diecina di volte l’anno. Il compito è ancora più arduo perché l’Opera di Vienna e il National Theater di Monaco di Baviera  il copyright dell’allestimento di Otto Schenk, noto per essere la lettura migliore di un’opera la cui verità consiste proprio nel fatto che tutto è finzione: la  cerimonia della presentazione della rosa (alla base dell’intreccio), il walzer che nel 1740 era (al più una danza contadina), e via discorrendo. In effetti, Hoffmannsthal e Strauss  non intendevano una commedia ad intrigo divertente in un barocco di maniera, ma una riflessione, tra il serio ed il faceto, sul passaggio del tempo, sui cambiamenti della società, sulla labilità di molti rapporti umani e soprattutto sulla tolleranza che fa giganteggiare la Marschallin rispetto alla varia umanità che la circonda (giovanotti in crisi di testosterone, fanciulle ingenue ma sino ad un certo punto, aristocratici di provincia spiantati, borghesi arricchiti, imbroglioni di periferia, osti-tenutari di bordelli, vedove ‘di professione’, tenori boriosi e via discorrendo).
Tuttavia, in occasione dei 150 anni dalla nascita di Richard Strauss, uno dei tre fondatori del Festival di Salisburgo in quel 1917 in cui la Grande Guerra era ancora in corso, non si poteva non mettere in scena, accanto ad un ricchissimo programma di sinfonica e cameristica straussiana, un nuovo allestimento del lavoro più austriaco del bavarese. Tanto più che l’edizione presentata a Salisburgo nel 2004, aveva lasciato molti spettatori (e molti critici) insoddisfatti, non per la concertazione di Bychkov e la bravura del cast, ma per la ‘trasgressiva’ regia di Robert Carsen , con una tutt’altro che necessaria esibizione di nudi maschili.
Per il Der Rosenkavalier del centocinquantenario, il Festival non si è rivolto ad un regista ‘emergente’ ma ad uno dei mostri sacri del teatro in musica tedesco Harry Kupfer che a quasi ottant’anni sta progettando nuovi importanti allestimenti tra cui un Parsifal. A sua volta Kupfer, da consumato uomo di teatro qual è, non riprende una delle sue vecchie regie e soprattutto non imita Schenk. Inserisce il lavoro in quello che è il tema di fondo dell’intero Festival di Salisburgo 2014: il ricordo dell’inizio della Grande Guerra. La vicenda è trasportata da un 1740 di maniera al 1911, quando Der Rosenkavalier ebbe la sua trionfale prima esecuzione a Dresda ma erano già in atto tutte le condizioni politiche , economiche e militari perché gli Stati Europei finissero in  guerra l’uno contro l’altro, trascinando seco alleati e colonie nel resto del mondo. Quindi, il passaggio del tempo e la fine di un’epoca (‘prima di quanto potessi pensare’, dice nel terzetto finale la Marschallin), diventa il cuore dell’opera.
Il 1911 viene rievocato con un allestimento essenzialmente in bianco e nero (spiccano il costume marrone del Barone Ochs e quello amaranto  di Octavian al primo atto, l’abito viola di Marianna al secondo, e una breve fantasmagoria di colori nel rapido intervento della folla di personaggi secondari nel terzo). L’attrezzeria è essenziale con mobili d’epoca e soprattutto specchi (il pavimento del palcoscenico è uno specchio grigio all’azione scenica) : la carrozza bianca della Marschallin nel finale è sostituita da una lunghissima, e bianchissima, limousine. Nel fondale vengono proiettate immagini (anche esse in bianco e nero) d’epoca: dettagli di palazzi e strade di Vienna, di Parchi , del Belvedere. Ricordi di un mondo destinato, nell’arco di pochi anni, a scomparire. Come sempre nei lavori di Kupfer, la recitazione è molto curata. Da segnalare, la sensualità del rapporto tra la trentatreenne Marschallin ed Octavian il quale (nel giorno in cui si svolge l’azione) compie 17 anni , 9 mesi e 10 giorni, e la caratterizzazione del Barone Ochs presentato non come un vecchio satiro da opera buffa ma come un quarantenne con le tasche vuote ma tanta voglia di trovare , non solo una giovane moglie ricca, ma anche un’ingenua amante alle prime armi. In breve, la parte più apertamente comica del secondo e del terzo atto è presentata con leggerezza. Come si addice ad un lavoro che è al tempo stesso il canto ad un mondo che sta per sparire ed il ricordo melanconico di un’epoca.
In questo contesto, la concertazione di Franz Welser-Möst acquista un colore differente da quello che ha a Vienna quando in scena c’è l’allestimento di Otto Schenk. I tempi vengono dilatati, i violoncelli acquistano maggior rilievo del solito, la celesta appare in brevi sublimi ‘a solo’ ed il cembalo e l’armonio intervengono per rammentarci che ci stiamo emozionando per un mondo che non c’è più.  Il Der Rosenkavalier di Welser-Möst è, come le edizioni di Solti e di Kleiber, cesellato come una raffinata partitura cameristica, nonostante l’organico sia mahleriano. In breve, siamo lontani dai temi serrati di von Karajan oppure dal clima tardo-romantico di Mehta. Alla prima, lo spettacolo è durato cinque ore con due breve intervalli.
Tra le voci spiccano Sophie Koch (una specialista del ruolo di Octavian che ha interpretato anche in Italia) e Krassimira Stayanova (al debutto nella parte). La prima coniuga perfettamente l’ardore sensuale con la maturazione che sviluppa (diventando da ragazzo uomo e marito) nell’arco di una sola giornata (ma sappiamo che è bene non fidarsi dei ‘giuramenti di quel labbro mensogner’). La Stayanova è una Marschallin, al tempo stesso, bellissima e possente. Di grande livello il Barone Ochs di Günther Groissböck, pieno di sfumature sia nel canto sia nella recitazione. Mojca Erdmann è una Sophie pupattola- il personaggio meriterebbe maggiore caratura. Di buon livello il resto della compagnia, specialmente i giovani del Young Singer Project utilizzati nei numerosissimi ruoli minore.
Un quarto d’ora d’ovazioni al termine dello spettacolo.
Giuseppe Pennisi


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