STRAUSS Der Rosenkavalier- Wiener Philhamoniker , direttore Franz Welser-Möst, regia Harry Kupfer, scene Hans Schavernoch, Costumi, Yan Tax, luci Jürgen Hoffmann, Video Thomas
Reimer Coro della Staatsoper di Vienna diretto da Ernst Raffelberger Coro di voci bianche del Festival di Salisburgo
diretto da Wolfang Götz. K.
Stoyanova, G. Groissböck, S, Koch, A. Eröd, M.Erdmann, S. Dussmann, R.
Scasching, W. Lehmkuhl, S. Pop, T. Kehrer, F. Supper, M. Piskorski, D.
Aleschus, R. Sadnik, A. Zidarič, P. Haines,
I. Münch, A. Flood, F. Gürtelschmied, R. Grössinger, W.C. Song, F. Gruber, F.
Springer, J. Musger, F. Boberski, K. Chobanov, M. Grabner, H. Höllriegl, B.
Lichtenberger, C. Schläpfer, L. Burz.
Salisburgo,
Grosses Festspielhaus
1
agosto 2014
Non
è indubbiamente facile per i complessi dell’Opera di Vienna , per i quali Der Rosenkavalier è una pietanza
regolare così come per i napoletani lo è la ‘pizza margherita’, suonare ‘fuori
casa’ l’opera al tempo stesso più nota e più viennese di Richard Strauss. Specialmente se il maestro
concertatore è Franz Welser-Möst, che li guida regolarmente alla Staatsoper
dove la ‘commedia per musica’ di Hofmannsthal e Strauss viene replicata almeno
una diecina di volte l’anno. Il compito è ancora più arduo perché l’Opera di
Vienna e il National Theater di Monaco di Baviera il copyright dell’allestimento di Otto
Schenk, noto per essere la lettura migliore di un’opera la cui verità consiste
proprio nel fatto che tutto è finzione: la
cerimonia della presentazione della rosa (alla base dell’intreccio), il
walzer che nel 1740 era (al più una danza contadina), e via discorrendo. In
effetti, Hoffmannsthal e Strauss non
intendevano una commedia ad intrigo divertente in un barocco di maniera, ma una
riflessione, tra il serio ed il faceto, sul passaggio del tempo, sui
cambiamenti della società, sulla labilità di molti rapporti umani e soprattutto
sulla tolleranza che fa giganteggiare la Marschallin rispetto alla varia
umanità che la circonda (giovanotti in crisi di testosterone, fanciulle ingenue
ma sino ad un certo punto, aristocratici di provincia spiantati, borghesi
arricchiti, imbroglioni di periferia, osti-tenutari di bordelli, vedove ‘di
professione’, tenori boriosi e via discorrendo).
Tuttavia,
in occasione dei 150 anni dalla nascita di Richard Strauss, uno dei tre
fondatori del Festival di Salisburgo in quel 1917 in cui la Grande Guerra era
ancora in corso, non si poteva non mettere in scena, accanto ad un ricchissimo
programma di sinfonica e cameristica straussiana, un nuovo allestimento del
lavoro più austriaco del bavarese. Tanto più che l’edizione presentata a
Salisburgo nel 2004, aveva lasciato molti spettatori (e molti critici)
insoddisfatti, non per la concertazione di Bychkov e la bravura del cast, ma per
la ‘trasgressiva’ regia di Robert Carsen , con una tutt’altro che necessaria
esibizione di nudi maschili.
Per
il Der Rosenkavalier del
centocinquantenario, il Festival non si è rivolto ad un regista ‘emergente’ ma
ad uno dei mostri sacri del teatro in musica tedesco Harry Kupfer che a quasi ottant’anni
sta progettando nuovi importanti allestimenti tra cui un Parsifal. A sua volta Kupfer, da consumato uomo di teatro qual è,
non riprende una delle sue vecchie regie e soprattutto non imita Schenk.
Inserisce il lavoro in quello che è il tema di fondo dell’intero Festival di
Salisburgo 2014: il ricordo dell’inizio della Grande Guerra. La vicenda è
trasportata da un 1740 di maniera al 1911, quando Der Rosenkavalier ebbe la sua trionfale prima esecuzione a Dresda
ma erano già in atto tutte le condizioni politiche , economiche e militari
perché gli Stati Europei finissero in
guerra l’uno contro l’altro, trascinando seco alleati e colonie nel
resto del mondo. Quindi, il passaggio del tempo e la fine di un’epoca (‘prima
di quanto potessi pensare’, dice nel terzetto finale la Marschallin), diventa
il cuore dell’opera.
Il
1911 viene rievocato con un allestimento essenzialmente in bianco e nero
(spiccano il costume marrone del Barone Ochs e quello amaranto di Octavian al primo atto, l’abito viola di
Marianna al secondo, e una breve fantasmagoria di colori nel rapido intervento
della folla di personaggi secondari nel terzo). L’attrezzeria è essenziale con
mobili d’epoca e soprattutto specchi (il pavimento del palcoscenico è uno
specchio grigio all’azione scenica) : la carrozza bianca della Marschallin nel
finale è sostituita da una lunghissima, e bianchissima, limousine. Nel fondale
vengono proiettate immagini (anche esse in bianco e nero) d’epoca: dettagli di
palazzi e strade di Vienna, di Parchi , del Belvedere. Ricordi di un mondo
destinato, nell’arco di pochi anni, a scomparire. Come sempre nei lavori di
Kupfer, la recitazione è molto curata. Da segnalare, la sensualità del rapporto
tra la trentatreenne Marschallin ed Octavian il quale (nel giorno in cui si
svolge l’azione) compie 17 anni , 9 mesi e 10 giorni, e la caratterizzazione
del Barone Ochs presentato non come un vecchio satiro da opera buffa ma come un
quarantenne con le tasche vuote ma tanta voglia di trovare , non solo una
giovane moglie ricca, ma anche un’ingenua amante alle prime armi. In breve, la
parte più apertamente comica del secondo e del terzo atto è presentata con
leggerezza. Come si addice ad un lavoro che è al tempo stesso il canto ad un
mondo che sta per sparire ed il ricordo melanconico di un’epoca.
In
questo contesto, la concertazione di Franz Welser-Möst acquista un colore
differente da quello che ha a Vienna quando in scena c’è l’allestimento di Otto
Schenk. I tempi vengono dilatati, i violoncelli acquistano maggior rilievo del
solito, la celesta appare in brevi sublimi ‘a solo’ ed il cembalo e l’armonio
intervengono per rammentarci che ci stiamo emozionando per un mondo che non c’è
più. Il Der Rosenkavalier di Welser-Möst è, come le edizioni di Solti e di
Kleiber, cesellato come una raffinata partitura cameristica, nonostante
l’organico sia mahleriano. In breve, siamo lontani dai temi serrati di von
Karajan oppure dal clima tardo-romantico di Mehta. Alla prima, lo spettacolo è
durato cinque ore con due breve intervalli.
Tra
le voci spiccano Sophie Koch (una specialista del ruolo di Octavian che ha
interpretato anche in Italia) e Krassimira Stayanova (al debutto nella parte).
La prima coniuga perfettamente l’ardore sensuale con la maturazione che
sviluppa (diventando da ragazzo uomo e marito) nell’arco di una sola giornata
(ma sappiamo che è bene non fidarsi dei ‘giuramenti di quel labbro mensogner’).
La Stayanova è una Marschallin, al tempo stesso, bellissima e possente. Di
grande livello il Barone Ochs di Günther Groissböck, pieno di sfumature sia nel
canto sia nella recitazione. Mojca Erdmann è una Sophie pupattola- il
personaggio meriterebbe maggiore caratura. Di buon livello il resto della
compagnia, specialmente i giovani del Young Singer Project utilizzati nei
numerosissimi ruoli minore.
Un
quarto d’ora d’ovazioni al termine dello spettacolo.
Giuseppe Pennisi
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