Complimenti a Tusk
e Mogherini, ma solo Merkel può salvarci dalla deflazione
31 - 08 - 2014Giuseppe Pennisi
La “politica del sedere” (vedere Formiche.net del
17 agosto) fa sempre notizia, ma noi che siamo, in spirito, molto
più giovani di Matteo Renzi, siamo meno interessati a chi posa il fondoschiena
dove e più a come l’Europa potrà uscire dalla deflazione e chi potrà pilotarla
verso acque migliori. La storia non si ripete, ma occorre metabolizzarne le
lezioni. In passato, la via d’uscita dalla ‘deflazione’ è stata contrassegnata
da guerre e da riduzioni delle libertà democratiche.
Ai complimenti d’obbligo a Federica Mogherini e ad Donald Tusk, è doveroso
aggiungere che non saranno né loro né i Commissari “economici” ad impedire che
la barca, specialmente quella dell’eurozona, riesca e non affondare ed a
navigare piano, ma serenamente, in mare aperto.
Non lo sarà neanche la
Banca centrale europea (Bce) il cui Consiglio si riunisce il 4 settembre sotto
la guida del suo Presidente Mario Draghi. Nonostante la promesse fatte nel
giugno 2012 e ribadite pochi giorni fa a Jakson Hole, di mettere in atto
“misure non convenzionali”, i differenti punti di vista all’interno dell’organo
di governo della Bce e la notoria (piuttosto che nota) prudenza del suo
Presidente faranno sì che il quantative easing e le ouright
monetary transactions (ove mai adottate) lo saranno tardivamente ed in
misura inadeguata.
Inoltre, la storia economica ci insegna pure che la freccia monetaria non basta;
per essere efficace deve essere accompagnata da una politica “aggressiva” di
bilancio (vincolata dal Fiscal Compact ed in Italia vietata
dalla legge “montiana” sul pareggio di bilancio), nonché da politiche
‘strutturali’, nel senso che incidano sulle ‘strutture’ dell’economia e sul
loro indicatore più eloquente, i prezzi dei fattori di produzione, nonché delle
merci e dei servizi. Con la sua franca brutalità di sempre, Lawrence Summers
(ex Segretario al Tesoro Usa, nonché consigliere economico di Obama e, pure,
grande frequentatore e conoscitore dell’Italia) dice senza mezzi termini L’Europa
corre il rischio di una stagnazione secolare. Se i Governi non mettono
in atto misure drastiche – aggiunge – ci sono poche probabilità che nell’eurozona
si torni a tassi di crescita sufficientemente sostenuti da portare la
disoccupazione a limiti accettabili. Non crede che la Bce prenderà le misure
minime necessario – Chi non ha coraggio, non se lo può dare – e
considera velleitari i propositi di Palazzo Chigi di porsi alla testa di una
politica di crescita per l’eurozona.
Un altro osservatore straniero, grande conoscitore dell’Italia (dove vive diversi
mesi l’anno per incarichi universitari e societari, quali il CdA Telecom), Jean
Paul Fitoussi, afferma che dobbiamo cambiare l’indirizzo di politica
economica (in Europa ed in Italia, ndr) per evitare una
situazione potenzialmente preoccupante sotto il profilo politico e
sociale ma non si vede chi la farà.
Tutto sommato penso
che si debba dare retta al mio vecchio amico Anatole Kaletski (ha dieci anni
meno di me, ma ha una visione molto più giovane di quella di Matteo Renzi, le
cui continue battute sarebbero – se si deve retta a Italo Svevo – un segno di
senilità incipiente): sarà Angela Merkel a tirarci fuori dal pasticcio prima di
ritirarsi a vita privata, con il suo amato Johakim, nelle tre stanze vicine
alla Staatsoper ad ascoltare musica classica.
Anatole se ne intende. Nato a Mosca, ma con gioventù e scuole in Polonia ed
Australia prima di approdare al King’s College di Cambridge e di diventare un
noto analista “eterodosso”, ha contatti diretti e frequenti con Angela Merkel.
A suo dire, l’asse franco-tedesco si è rinsaldato (e l’Italia ha avuto il
seggio ambito ma è tornata a fare da comprimario). Anche se, nelle
dichiarazioni ufficiali, Berlino mostra il piglio del rigore, la Germania
avrebbe avuto un ruolo non secondario nel pirotecnico rimpasto del Governo
francese: il nuovo Ministro dell’Economia, Emanuel Macron (di cultura
“atlantica” ove non apertamente americana) ha ottimi rapporti con i colleghi
tedeschi e, soprattutto, ha un’idea abbastanza chiara delle riforme
‘strutturali’ da apportare al sistema francese: drastiche revisioni a
previdenza e sanità per contenere la spesa pubblica, revisione della normativa
sul lavoro per aumentare produttività e soprattutto abbattimento delle
barriere categoriali alla concorrenza. Anche se “scelto per caso” (l’Eliseo
avrebbe voluto l’ex Presidente delle Ferrovie ma è stato impossibile
raggiungerlo in quanto era in barca a cellulare spento), il 36nne Macron ha le
caratteristiche dell’interlocutore-partner ideale di Angela Merkel.
La situazione economica tedesca si sta avviando verso una stagnazione che potrebbe
esserne lunga. La Repubblica federale non può uscirne da sola. Tuttavia, il
resto dell’eurozona (o almeno dei grandi Paesi dell’area) deve attuare riforme
economiche ‘strutturali’. La Spagna lo sta facendo e se ne cominciano a vedere
gli esiti. Macron ne potrebbe essere il protagonista in Francia.
Ed in Italia? Si
parla da mesi del Jobs Act, ma se non si crea un clima più favorevole nei
confronti delle imprese (e’ di venerdì la notizia dell’esodo, verso la Romania,
di un’impresa americana di alta tecnologia localizzata nel Mezzogiorno), non si
rimuovono i limiti alla concorrenza e non si riduce il fardello del debito
pubblico, resteremo al palo. D’altronde – dicono a Bruxelles – avete avuto il
seggio che volevate: adesso muovetevi.
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