giovedì 21 agosto 2014

Germania, perché la frenata ha due facce in Avvenire 22 agosto



Germania, perché la frenata ha due facce


GIUSEPPE PENNISI
S
otto il profilo economico, la Repubblica federale tedesca ha nell’Unione Europea un pe­so almeno tanto importante quanto quello che l’Impero Guglielmino a­veva ai tempi di Otto von Bismarck: era così rilevante che un’accelerazio­ne ed una frenata del suo andamen­to economico avevano ripercussioni in tutto il 'consesso', anche negli Sta­ti più lontani. Non era, però, abbastanza forte da potere risolvere tutti i pro­blemi europei.

È tenendo presente questo retaggio storico (oggi at­tuale quanto non mai) che occorre chiedersi se la con­trazione del Pil tedesco nel secondo trimestre di que­sto 2014 è una frenata op­pure il segno di un cambio di marcia. In un docu­mento, l’Economist Intelligence Unit sostiene l’ipotesi della frenata, ossia di una tendenza di breve periodo dovu­ta in gran misura, sul piano interno, ad un forte rallentamento delle co­struzioni (sia pubbliche sia private) a carattere temporaneo e, sul piano in­ternazionale, alle vicende dell’Ucraina e alle sanzioni alla Russia e relative contro-sanzioni. Sono gli stessi eco­nomisti tedeschi, però, a non credere a questa ipotesi. Marcel Frantscher, di­rettore del Diw di Berlino, ci dice con grande franchezza che «l’euforia sul­l’economia tedesca è semplicemente fuori luogo». Il rallentamento ha poco o nulla a che vedere con l’Ucraina o con il Medio Oriente. Ha determinan­ti interne di lungo periodo di cui sem­briamo accorgerci solo ora.

In primo luogo, la coalizione allora al Governo ha forzato il Cancelliere Merkel ad uscire dal nucleare dopo l’incidente di Fukushima. Ciò ha ag­gravato i costi di produzione del si­stema industriale ed inciso anche sul reddito disponibile dei consumato­ri: la recente legge sulle rinnovabili non ha alleviato l’incertezza sul fu­turo della dipendenza e della politi­ca energetica. Alla Deutsche Bank, fanno notare come grandi imprese industriali si stanno indirizzando ver­so altri Stati dell’Ue per la localizza­zione di impianti che richiedono un forte input di energia. Inoltre, la gran­de coalizione sta facendo marcia in­dietro su alcune delle riforme attua­te dal governo Schroeder e dai primi due governi Merkel. Al Flossbach von Storch, istituto di ricerca economica di Colonia, si punta il dito sulla 'con­troriforma della previdenza' (ora molte categorie possono andare in pensione a 63 anni, non più a 67 ) e all’aumento del salario mimino di 8,5 euro a 11.40 euro l’ora. Inoltre, si stan­no per rendere più stringenti le rego­le per i contratti a termine. Il mini­stro dell’Economia, Sigmar Gabriel, ha invitato esperti stranieri a fornire suggerimenti. Da un lato, le modifi­che di politica economica (energia, previdenza, norme lavoristiche) sco­raggiano le imprese che «emigrano» in vicini Paesi neocomunitari. Da un altro ancora (capitolo poco noto in I­talia), i Länder hanno una ragnatela di regole che per ragioni campanili­stiche hanno in gran misura neutra­lizzato le leggi Schroeder- Merkel per incoraggiare l’aumento delle dimen­sioni industriali. In questo quadro, però,ci sono elementi incoraggianti: un tasso di disoccupazione appena del 6,7% della forza lavoro ed un de­bito pubblico aggregato (Governo fe­derale più Länder) che nell’ultimo se­mestre è diminuito rispetto al Pil per la prima volta dalla fine della secon­da guerra mondiale. Quindi, la Ger­mania ha le carte per cambiare di nuovo marcia, accelerando. Dipen­de dalla politica.

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L’analisi

Lo stop del Pil tedesco nel secondo trimestre può essere l’inizio di un cambio di marcia



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Angela Merkel

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