di Giuseppe Pennisi
Ci sono due
ragioni per iniziare l’anno 2017 con una riflessione sull’economia sommersa:
a) da un
canto, anche se i dati Istat segnano solo una leggera, ma flebile, ripresina, il
solito “coretto a cappella” sostiene che comunque sarà il sommerso a tirarci
d’impaccio;
b) da un
altro, la Direzione Generale preposta alle ricerche del Dipartimento del Tesoro
del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato, alla fine del 2016,
un eccellente lavoro su dove sta andando l’economia sommersa in Italia. Ne è
autrice Cecilia Morvillo. Lo studio è intitolato Evoluzione delle determinanti
dell’economia sommersa: analisi panel di regioni italiane . Si può scaricare
liberamente dal sito del dicastero.
Il lavoro è
volto ad analizzare empiricamente la relazione esistente tra l’economia
sommersa e alcune variabili esplicative. A tal fine si dispone di dati panel
riguardanti le 20 regioni italiane con 12 osservazioni annuali comprese tra il
2001 ed il 2012, per un totale di 240 osservazioni. Nella presente nota
l’economia sommersa viene identificata con il tasso di irregolarità del lavoro,
pubblicato dall’Istat e calcolato come la quota percentuale delle unità di
lavoro irregolari sul totale delle unità di lavoro. Le variabili esplicative
sono invece in parte dedotte da una rassegna di studi econometrici relativi
all’economia sommersa, tra le quali la densità di popolazione e il tasso di
industrializzazione, proprie della dimensione e della struttura economica
regionale; il PIL pro capite e la partecipazione femminile al mercato del
lavoro, quali variabili di controllo dell’economia sommersa; una proxy
dell’intensità della regolamentazione in grado di fornire una fotografia del
contesto istituzionale italiano.
Dopo una
breve descrizione dei dati, supportata da una rappresentazione cartografica a
livello regionale delle variabili più rappresentative delle diverse condizioni
economiche delle regioni italiane, l’analisi empirica si declina in una stima
di quattro distinti modelli panel dai quali emergono risultati sui quali
riflettere. Il lavoro si incardina nel filone di approfondimenti con approccio
modellistico. L’approccio econometrico ha riscosso negli ultimi anni molto
successo in quanto è in grado di studiare l’economia sommersa attraverso le sue
cause, non limitandosi solamente all’analisi degli aspetti puramente fiscali,
ma individuando anche fattori di carattere sociale ed economico che in misura
diversa influenzano il fenomeno.
In accordo
con l’ipotesi che il lavoro irregolare è “il principale fattore produttivo su
cui si basa il funzionamento dell’economia sommersa”, la variabile in esame
viene in questo contesto identificata con il tasso di irregolarità del lavoro.
Lo studio è stato applicato dapprima su un campione di dati costituito da un
panel bilanciato relativo alle 20 regioni d’Italia e composto da 6 variabili
con 12 osservazioni annuali comprese tra il 2001 e il 2012, per un totale di
240 osservazioni. L’analisi è stata successivamente arricchita con ulteriori
fattori sociodemografici ed economici.
I modelli
esaminati, oltre a confermare alcune relazioni già esistenti, hanno fatto
emergere due risultati importanti. La relazione tra economia sommersa e
intensità della regolamentazione non risulta positiva. Ciò dipende dalla
modalità di costruzione dell’indicatore, dal campione di riferimento utilizzato
e dalla tecnica di stima applicata. L’interpretazione economica della nuova
relazione trovata è perfettamente intuibile considerando la specifica scelta
dell’indicatore. E’ infatti agevole ritenere che nelle zone con una maggiore
presenza di dipendenti pubblici il sommerso sia meno radicato e ciò a
dimostrazione della positiva opera dei pubblici dipendenti di tutte le
istituzioni centrali e periferiche. Infine la relazione tra l’economia sommersa
e la densità di popolazione mostra un segno negativo, poiché dove la maggior
densità è legata ad una necessità lavorativa, tale variabile può essere
correlata negativamente all’economia sommersa.
In breve un
lavoro da leggere e meditare.
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