Il ritorno dei Nibelunghi sulle Alpi Bavaresi
23 - 07 - 2014Giuseppe Pennisi
Le complesse vicende del “Ring” non sono riassumibili in poche
righe: è una visione cosmica dalla creazione del mondo al crepuscolo degli Dei.
La sua realizzazione richiede un organico orchestrale vastissimo, 30
protagonisti con voci molto speciali, trasformazioni a vista...
In questi ultimi anni, il bicentenario della
nascita di Richard
Wagner (2013) ha indotto i maggiori teatri d’opera a mettere in
scena il suo opus magnum, la tetralogia “L’Anello del Nibelungo” (in gergo, il
“Ring”), un prologo – atto unico di due ore e mezzo e tre opere, o “giornate”,
di circa 5 ore ciascuna – Al tempio wagneriano di Bayreuth, un nuovo
allestimento viene presentato ogni cinque anni in quanto ogni produzione viene
allestita per i quattro anni successivi e successivamente si prende in anno di
pausa presentando altre opere del Maestro per eccellenza.
Mettere in scena il “Ring” è intrapresa che incute timore per i
costi di comporta. Anche un Teatro notoriamente ben gestito come il “Regio” di
Torino andò in dissesto dopo un avventura del genere. L’Opera di Roma promette
da lustri un nuovo “Ring”, ma dal 1961 non riesce ad attuarlo (in forma
scenica). Firenze, La Fenice e La Scala hanno presto la strada delle
coproduzioni (rispettivamente con Valencia, Colonia e la Staatoper under Den
Linder di Berlino). La città del Giglio si è vista commissariare il teatro dopo
il “Ring”. Catania e Bari hanno presentato versioni al risparmio di modesto
valore artistico. Quella lanciata a Palermo è rimasta a metà, ma riprenderà il
prossimo autunno. La ragione principali sono gli alti costi: da 130 a 180
orchestrali (a seconda del grado di filologia), una sessantina di cantanti-attori
solisti (soprattutto se si mettono in scena più cicli in sequenza e ci si deve
garantire nei confronti di malattie od altro), effetti speciali in scena (il
fondale del Reno, crolli, incendi, draghi, cavalli, ecc). In questi ultimi
anni, poi, si è teso a dare una lettura registica politica (anche alla Scala, a
Venezia , a Palermo) come lotta dei diseredati in un modo dominato dalla brama
del potere e del guadagno. Solo il Metropolitan, Aix-en-Provence si sono
nettamente distaccati da questa interpretazione.
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(Credit: Festspiele Erl/APA-Fotoservice/Franz Neumayr)
Il “Ring” del Festival del Tirolo merita particolare attenzione
perché è alla terza edizione, le prime due vennero messe in scena (con enorme
successo nel luglio 2004 e nel luglio 2005); sono già aperte le prenotazione
per il luglio 2015. Questa recensione si basa sul primo “ciclo” visto in due
fine settimana. L’ultimo “ciclo” è una maratona i cui i fans del Festival sono
affezionatissimi. Inizia la mattina e termina trenta ore dopo con 3,30 alle
10,30 del giorno successivo per consentire alcune ore di sonno ad artisti e
pubblico.
Le complesse vicende del “Ring” non sono riassumibili in poche
righe: è una visione cosmica dalla creazione del mondo al crepuscolo degli Dei.
La sua realizzazione richiede un organico orchestrale vastissimo, 30
protagonisti con voci molto speciali, trasformazioni a vista. Nel “Ring” del
Tirolo c’è tutto questo, con economia di mezzi scenici (e la partecipazione di
tutta la popolazione del villaggio come comparse e coristi), ma se senza
compromessi sull’organico (170 orchestrali provenienti da 15 nazioni) e con un
cast giovane, addestrato in Italia, alla Accademia di Montegral nei pressi di
Lucca. A prezzi che sono una frazione di quelli di Bayreuth.
Gustav Kuhn anima sia l’Accademia sia il Festival. Ha costruito il “Ring” a
blocchi su diversi anni; dal 1998 ha realizzato, prima, un’opera alla volta e,
poi, due cicli completi ogni estate. Nella Passionsspielhaus (l’auditorium dove
ogni otto anni i cittadini di Erl rappresentato la Passione) non c’è il golfo
mistico; quindi l’orchestra è disposta in fondo, a vista, su gradoni – in alto
le arpe, e poi, a scendere, ottoni, fiati, archi. L’azione si svolge davanti
all’orchestra che, con un sapiente gioco di luci, ne diventa protagonista. C’è
molto sport in questo “Ring” in abiti moderni (Gutrune è in tailleur Chanel e
Sigfried in pantaloni tirolesi): i due giganti sono teppistelli vestiti da
baseball e da hockey, e le Valkirie vanno in mountain bike. Gli Dei germanici giocano
a golf sull’enorme palcoscenico.
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(Credit: Tiroler Festspiele Erl /
APA-Fotoservice / Ernst Wukits)
Kuhn, pure regista, sfrutta ogni possibilità dello spazio: le
scale della platea diventano il Reno, le incudini dei nibelunghi sono sparse
per la sala con un effetto stereofonico, i vigili del fuoco di Erl portano le
fiamme per spegnere l’incendio con cui si conclude il crespuscolo degli Dei.
Occorre sottolineare che da cinque anni circa accanto alla Passionsspielhaus
c’è una Festivalsspielhaus modernissima, di ottocento posti, e costruita da
sponsor privati dove, in estate si svolgono concerti (nel 2014 soprattutto
Bruckner) ed in inverno un altro festival organizzato da Kuhn e dalla sua
équipe. Vale infine la pena ricordare che circa un terzo dei costi sono
finanziati da Pantalone, il resto da sponsor, noleggi ad altri teatri, cessioni
a reti televisive e biglietteria.
I cantanti? Giovani e in gran misura sconosciuti in Italia.
Segnaliamo l’intenso Wotan di Vladimir
Bayok, gli appassionati Siegmund e Sieglinde di Andrew Sritherann
e Marianna
Szikova,Siegfried di Gianluca
Zampieri, la toccante Brunnhilde di Elena Comotti D’Adda.
Impossibile citare l’altra ventina di solisti. In Austria ha un grande successo
ed attira spettatori dalla Svizzera, dalla Germania e dal Nord Italia. Vale un
viaggio.
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