Perché la strategia europea di Renzi è ad alto rischio
19 - 07 - 2014Giuseppe PennisiI primi colpi sparati dall’artiglieria di Matteo Renzi in sede europea (il patto ‘riforme flessibilità’ e la nomina del Ministro dell’Esteri Italiano, Federica Mogherini) sono andati a salve. E potrebbero diventare fuoco amico per chi ha premuto il grilletto.
Oggi a Monaco di Baviera, sede del ‘pensatoio’ più ascoltato dal Cancelliere Angela Merkel, il CESifo guidato da Hans Werner Sinn, è il caso di chiedersi che cosa succederà nel medio e lungo periodo (nonostante i faux pas di queste settimane la strategia per metterci al sicuro da nuove crisi). Al CESIfo ci mostrano due studi che hanno avuto una modesta circolazione in Italia, nonostante siano il frutto del lavoro di due grandi economisti italiani, uno sparito non molto tempo fa e l’altro malato da mesi.
Il primo, del compianto Luigi Spaventa, riguarda gli effetti dell’inflazione nel 1953-1962 sulla distribuzione del reddito. Apparso un anno fa sulla Quarterly Review, potrebbe sembrare un saggio di storia economica. Per certi aspetti lo è ma ha ramificazioni importanti sul tema principale oggi sul tappeto: se ed in che misura, occorrerebbe accettare un po’ di inflazione per fare crescere l’economia. Il saggio non solo analizza le implicazioni degli aumenti dei prezzi sulle varie categorie di percettori di reddito. La conclusione è che l’inflazione (contenuta e monitorata) è stata il lubrificante del ‘miracolo economico’. In un altro saggio nello stesso fascicolo, Spaventa sottolinea che l’unione monetaria è stata pensata ‘frettolosamente’, ‘alla carlona’. Ora che i nodi vengono al pettine, nessuno pare volerne assume responsabilità.
Sempre dalla Quartely Review di circa un anno fa viene mostrato un lavoro di Mario Sarcinelli sull’unione bancaria europea’ – altro obiettivo su cui pare puntare Renzi. Le trenta pagine a stampa fitta sono chiare e nette: Sarcinelli, che di vigilanza bancaria ha avuto lunga esperienza, specialmente in anni difficili, mette in dubbio la saggezza di affidarla alla Banca centrale europea (Bce) e sottolinea che ‘senza qualche forma di condivisione del rischio’ , l’unione bancaria servirà poco o nulla. Lo ribadiscono Carlos Closa e Alekzandra Maatsch in un saggio sul Journal of Common Market Studies. Ad aggiungere olio sul fuoco, un lavoro di Trevor Puch della University of Sheffield, solleva seri dubbi teorici sul quantitative easing quale applicato dalla Bce.
Non sta a noi chiedersi chi ha ragione e chi ha torto. Tuttavia, non si può eludere la domanda: perché il dibattito su questi temi è un corso a Monaco di Baviera e non a Roma? .
Nessun commento:
Posta un commento