Lo sapete che la banca dei Brics è anti Europa più
che anti Usa?
26 - 07 - 2014Giuseppe Pennisi
I BRICS
(Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) hanno annunciato, il 15 luglio, la
creazione di una propria banca di sviluppo con sede a Shangai, con un capitale
iniziale di 50 miliardi di dollari che diventeranno presto 100 miliardi di
dollari, cui aggiungerne altri 100 come riserva finanziaria tecnica.
Con una leva
finanziaria di questa natura, potrà facilmente effettuare prestiti di 20-25
miliardi di dollari l’anno, ossia un volume analogo a quello della Banca
Mondiale. Il primo presidente sarà indiano, con un mandato di sei anni; il
secondo brasiliano, il terzo russo; non chiaro ancora quanto verrà eletto un
cinese.
La Cina
rappresenta, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, il 70% del Pil dei
BRICS, ma ha già una propria banca di sviluppo (che collabora con banche di
sviluppo straniere quali la Cassa Depositi e Prestiti) ed ha creato una propria
Banca per lo Sviluppo Asiatico, in rapporto di cooperazione-competizione con
quelle esistente da oltre dieci lustri, con sede a Manila e nella cui gestione,
manager giapponesi hanno sempre fatto la parte del leone.
I BRICS
rappresentano il 40% della popolazione mondiale ed il 20 % del Pil del globo.
L’iniziativa non è giunta inattesa. Da anni, i BRICS insistevano per un ruolo
maggiore nelle istituzioni di Bretton Woods (Banca mondiale e Fondo monetario)
nei cui Consigli di amministrazione gli USA e soprattutto gli Stati dell’Unione
Europea (UE) hanno una rappresentanza che sostanzialmente ancora rispecchia il
ruolo che avevano negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. In
effetti, la banca dei BRICS nasce in funzione anti UE più che anti USA.
Gran parte dei
commentatori si sono soffermati su questi aspetti di peso e di potere relativo
nelle relazioni internazionali, in un mondo in rapido cambiamento. Sono senza
dubbio dimensioni di rilievo. Tuttavia, con il punto di vista di chi ha passato
18 anni alla Banca mondiale, è stato consulente della Banca Asiatica per lo
Sviluppo e del Banco Inter-Americano ed ha tentato (su mandato esplicito del
Presidente pro-tempore, un vecchio amico di nazionalità zambiana con cui c’era
un forte rapporto di fiducia reciproca) di riorganizzare (senza successo) la
Banca Africana per lo Sviluppo, credo che ci siano sfide ed opportunità molto
più importanti da esplorare.
In breve sino
al 1988, si guardava alla leadership della Banca mondiale in materia di
preparazione, valutazione ex-ante e valutazione ex-post di quei grandi
investimenti di cui oggi il mondo in generale e l’Europa in particolare hanno
disparatamente bisogno per uscire dalla stagnazione, evitare una nuova
recessione e tentare un nuovo percorso di crescita.
Nel 1988 la
Banca mondiale ha rinunciato a questo ruolo (di cui fruiva in condizioni di
monopolio) per dedicare le proprie risorse al debito ed al riassetto strutturale
dei Paesi in via sviluppo, prima, ed alla povertà assoluta, poi. Ha perso non
solo il primato ma anche la propria capacità tecnica trasformandosi da
organizzazione in cui si fa una carriera professionale (anche quarantennale) ad
un’istituzione dove il 90% dei dipendenti ha contratti triennali e non quindi
quella libertà di giudizio professionale che sino al 1988 ha contraddistinto il
personale dell’istituzione.
Sarebbe anche
diventata pletorica: da 2500 addetti quando presi servizio, nel 1968 dopo avere
esperito un concorso internazionale per 7 (sette) posti, a 6000 quando lasciai,
si è arrivati a 12.000 e si parla di un programma di portare il totale a 8.000
nell’arco di quattro anni.
Occorre dire
che la Banca Asiatica ed il Banco Inter-Americano hanno tenuto alta la qualità
dell’analisi degli investimenti- spesso più alta di quella delle istituzioni
europee spesso soggette a pressioni particolaristiche. Ho fatto parte di un
comitato per la produzione di criteri di valutazione europei; i nostri risultati
non sono mai stati pubblicati perché avrebbero vincolato, su base
professionale, gli scambi grandi e soprattutto piccoli tra Stati e funzionari.
La banca BRICS
opererà in un mondo in cui i testi più recenti catalogano circa 300 banche di
sviluppo tra nazionali, multinazionali regionali, multinazionali
mondialistiche e via discorrendo.
E’ una sfida
che può essere vincente se copre il vuoto professionale lasciato dalla Banca
Mondiale tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio degli Anni Novanta. Deve
porre il finanziamento di investimenti di lungo periodo e la loro accurata
valutazione ex-ante, in itinere ed ex-post come suo obiettivo centrale, ove non
unico. Può farlo perché gli Stati che ne fanno parte dispongono di economisti,
analisti finanziari e tecnici nelle varie discipline di livello. Può trovare un
elemento di supporto e di confronto nel Long Term Investment Club, ora
presieduto dall’italiana Cassa Depositi e Prestiti.
Il nodo è se
vorrà farlo o se invece entrerà in sterili giochi di potere con le altre banche
di sviluppo. Nella seconda ipotesi potrebbe essere destinata a fare confusione
nella galassia di sigle relative alle varie banche di sviluppo.
Nessun commento:
Posta un commento