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D20, il "jolly" per la ripresa di Europa e Italia
Pubblicazione: lunedì 7 luglio 2014
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“D20” è una nuova abbreviazione entrata nella galassia
delle sigle dell’economia internazionale. Indica le banche di sviluppo del G20,
sia quelle multilaterali (dalla Banca mondiale alla Banca europea per gli
investimenti passando per le banche regionali come quelle di Asia, America
Latina e Africa), sia quelle nazionali (da quelle più antiche come la Cassa
depositi e prestiti italiana e la Caisse de depôt et consignation francese a
quelle più recenti come la banca di sviluppo istituita non molto tempo fa nella
Repubblica popolare cinese). Poco più di un anno fa i loro Presidenti e manager
hanno tenuto una prima riunione a Mosca. Il 4 luglio, la Banca europea per gli
investimenti e la Cassa depositi e prestiti ne hanno organizzata una seconda a
Roma. Una terza è in programma in Turchia.
La cronaca della riunione romana è apparsa su alcune
testate di economia e finanza. A nostro parere, è più importante riflettere sul
significato del D20 in questo scorcio di terzo millennio che sulle analogie e
sulle differenze tra i differenti istituti emersi nella riunione romana.
In primo luogo, una ricerca recente censisce ben 286
banche di sviluppo in 117 Stati, precisando che l’analisi non ha la pretesa di
essere esauriente. Una delle più antiche è la Vnesheconombank creata in Russia
nel 1917. L’impulso - ricorda un libro di Giovanni Farese e Paolo Savona uscito
in questi giorni (Il banchiere del mondo - Eugene Robert Black e l’ascesa
della cultura dello sviluppo in Italia, Rubettino 2014) - si è avuto dopo
la Seconda guerra mondiale in parallelo con i programmi ricostruzione diventati
nel giro di pochi anni veri e propri programmi di sviluppo.
In secondo luogo, le banche di sviluppo, nelle loro
varie guise, coniugano analisi micro-economica dei singoli investimenti con
analisi macro-economica del contesto in cui vengono concepiti, preparati e
attuati, con attenzione alle loro ramificazioni in termini di distribuzione del
reddito e sostenibilità sociale e ambientale. Hanno, quindi, ciascuna in
differente misura, quella expertise di cui necessitano i Governi nel
predisporre programmi di riassetto strutturale.
In terzo luogo, i loro interventi finanziari sono
quasi sempre accompagnati da assistenza tecnica, principalmente dall’esperienza
accumulata lavorando su vari settori e su vari paesi. Ciò non è necessariamente
la caratteristica delle banche multilaterali ma anche di banche nazionali
specialmente se associate, come lo sono numerosi istituti dei maggiori paesi,
al Long term investment club.
n quasi tutti i maggiori paesi Ocse, la crisi in corso
dal 2007-2008 ha comportato una contrazione degli investimenti pubblici a lungo
termine (mediamente dal 3% del Pil prima della crisi ad attorno l’1%
dell’ultima conta). Gli investimenti a lungo termine hanno un duplice effetto:
nel breve termine sostengono l’utilizzazione dei fattori di produzione; nel
medio e lungo, contribuiscono a un aumento della produttività. Nella diversità
e nelle differenze tra banche, il D20 ha una funzione chiave per il rilancio
dello sviluppo, specialmente in Europa. Un ruolo che merita l’attenzione dei
Governi (nel dare certezza regolatoria e tributaria a chi destina risparmi a
investimenti a lungo termine incanalati tramite le banche di sviluppo) e della
Banca centrale europea.
Come ha sottolineato il Presidente della Cassa
depositi e prestiti, Franco Bassanini, nel concludere la riunione, ora il D20
rappresenta un framework (quadro operativo) pur se non
un’istituzione con cui le autorità politiche possono lavorare per rimetterci
sul sentiero dello sviluppo.
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