FINANZA/ L’Italia cade nella
"trappola" dell’anti-spread
martedì 10
luglio 2012
Mario Monti
(Infophoto)
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Poter annunciare alle 2:30 del mattino un rinvio è
meglio che ammettere un secco fallimento di un progetto, tutto sommato,
modesto. Fare sì che al primo telegiornale - sia del TG5, sia del TG1- di
questa mattina 10 luglio, gli inviati presentino il rinvio come una vittoria
vuole dire o che gli uffici stampa della delegazione italiana sono “persuasori
occulti” di rara efficacia o che gli inviati meritino un “sabbatical” per
potere frequentare un corso di economia per principianti - quali quelli delle
scuole secondarie superiore.
Proprio ieri nel pomeriggio, in locali della
Rappresentanza Europea in Italia, il Centro Europa Ricerche (Cer) presentava il
proprio rapporto semestrale in cui si sottolineava come, dopo avere perso 12
punti percentuali del Pil, l’unico anti-spread che serve all’Italia è un
programma di crescita (mentre si starebbe scivolando da recessione a
depressione). Le stime econometriche del Cer convalidano l’analisi fatta su
queste pagine secondo cui lo scudo anti-spread, peraltro delineato in linee molto
generali e in gran misura ancora molto “misterioso”, sarebbe, ove venisse in
vita, un’arma spuntata al di fuori di un contesto di crescita.
Per quel che si è compreso, la riunione di Bruxelles
non è neanche terminata con un supporto unanime all’idea, poiché - dicono gli
inviati televisivi - alcuni Stati dell’eurozona hanno ancora “il mal di
pancia”. Tuttavia, un buon segnale sarebbe lo sblocco di 30 miliardi di euro
per le banche spagnole, sull’orlo di chiudere i battenti. Un altro sarebbe che
il Fondo monetario internazionale (Fmi) non si immischierebbe dei problemi
italiani: un timore difficile da capire, perché qualsiasi paziente (lo stesso
Governo Monti ripete a iosa che lo siamo) dovrebbe cercare i migliori consulti
medici senza avere paura del Fmi come se fosse un lupo cattivo avido di
sbranare Governi “tecnici”.
Andiamo con ordine. All’interno dell’eurozona si è
formato un gruppo di Stati - Francia e Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia,
Grecia e Spagna) - che si attaccano un po’ a tutto per di ritardare le riforme
che avrebbero dovuto fare prima di entrare nell’unione monetaria. Ora hanno
trovato l’anti-spread come l’aggancio a cui appendersi. La Francia di Hollande
è un alleato “naturale” dell’Italia (e degli altri della non tanto allegra
compagnia) perché ha un disavanzo delle pubbliche amministrazioni pari al 5%
del Pil, un debito pubblico un rapida crescita, un saldo dei conti delle
partite correnti al 2% del reddito nazionale, un tasso di disoccupazione
superiore al 10% della forza lavoro e, soprattutto, un Governo eletto sulla
promessa di aumentare spese pubbliche e abbassare l’età della pensione.
Il Governo Monti, invece di gloriarsi di avere un
simile alleato, avrebbe motivo di preoccuparsene: rispetto all’Europa “in
ordine” (conti pubblici, economia reale), l’Italia è un mero paravento per una
Francia che fa acqua da tutte le parti. In breve, non solo “quelli
dell’anti-spread” non sono una ciurma di cui è meglio non fare parte, ma
l’enfasi su marchingegni tecnici per tentare di tamponare la sfiducia dei
mercati distraggono dal punto vero: la crisi si supera con più Europa, sempre
che si tratti di Europa semplice e forte (non di un’ulteriore ragnatela
burocratica) con elezione della Commissione, poteri effettivi al Parlamento
europeo e trasferimento di sovranità dagli Stati nazionali all’Ue.
Indubbiamente, questo disegno richiede una grande visione - che manca a “quelli
dell’anti-spread”- e la consapevolezza che in democrazia chi ha più popolazione
e più voti conta di più, soprattutto se lavora e produce più degli altri.
Il 20 luglio si rischia una nuova seduta di onanismo
di gruppo alla ricerca di qualche elemento sulla base del quale far dire a
giornalisti compiacenti o ignoranti (oppure un po’ di ambedue) che si è vinta
una nuova battaglia di Austerlitz. Attenzione - i cronisti sanno poco pure di
storia - lo stesso successo di Austerlitz, che “quelli dell’anti-spread” non
osano neanche sognare, fu effimero.
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