rating nel
mirino
Ecco perché le agenzie mordono e resistono
Ecco perché le agenzie mordono e resistono
DI GIUSEPPE PENNISI
S ono finite nel mirino, ma ai piani alti delle tre agenzie, nessuno sembra particolarmente nervoso. Perché le «tre sorelle del rating» sanno che vengono da lontano e hanno resistito a tempeste ben più forti. Secondo lo storico dell’economia Richard Sylla, sono nate nei Paesi Bassi nel Seicento, in parallelo con lo sviluppo di imprese dedicate a operare in mercati lontani e finanziate principalmente con l’emissione di obbligazioni (come la Compagnia delle Indie). Nel 1817 il Re di Prussia si rivolse a Nathan Rothschild perché si ponessero le basi di una struttura del genere nel Regno, considerata essenziale per lo sviluppo di un mercato obbligazionario – e quindi finanziario – in un contesto dove l’aristocrazia era essenzialmente terriera e non esisteva borghesia. Dall’inizio dell’Ottocento alla Guerra di Secessione, gli Stati americani fecero a gara nell’emettere titoli di debito sovrano. La prima agenzia di rating in senso moderno venne creata da John Moody nel 1910 proprio in quanto i titoli in circolazione erano tali e tanti che operatori grandi e piccoli, compresi i piccoli risparmiatori, avevano bisogno di una bussola per orientarsi.
L’idea vincente di John Moody (e del suo «servizio agli investitori») fu quella di tenere conto non solo di aspetti tecnico-finanziari, ma anche e soprattutto del «rischio politico» come determinante della solvibilità. I sovrani europei, del resto, avevano la brutta abitudine di non pagare i propri debiti; se le Repubbliche che componevano gli Usa ne avessero seguito l’esempio, non sarebbe mai esistito, in Nord America, un mercato dei capitali funzionante.
Questa premessa storica è essenziale perché, nell’immaginario comune, le agenzie lavorano con complicati algoritmi e astrusi grafici. Indubbiamente, analisi statistiche complesse non mancano, ma una percentuale importante dei dipendenti delle agenzie sono analisti politici con studi in Scienze politiche.
Cercando quindi di interpretare in questa prospettiva le motivazioni addotte da Moody’s per tagliare di due gradini il giudizio sulla solvibilità dell’Italia, pare essere risultato importante per gli analisti la previsione di una forte recessione nel 2012 e, quindi, l’aumento del peso del debito sul Pil. Ancora più importante, però, agli occhi dell’agenzia Usa, il mancato accordo su una legge elettorale in grado di assicurare sia rappresentatività sia governabilità dopo le elezioni della prossima primavera. Un’eventuale situazione di stallo, se non di caos, renderebbe ancora più difficile l’uscita dalla recessione. Con un debito pubblico che (incluso il debito commerciale) sfiora il 140% del Pil, aumenterebbe il rischio solvibilità. E in questo contesto le voci di misure straordinarie taglia-debito, di aumento forzoso delle scadenze, di prestiti ugualmente forzosi – nell’ottica di Moody’s – non agevolano certo a dormire tranquilli.
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Hanno radici lontane, nei Paesi Bassi del Seicento, e hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo dei mercati finanziari
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