I «piani B»
per salvare la moneta unica
DI GIUSEPPE PENNISI
L e parole della Cancelliera Angela Merkel – «Non sono sicura che il progetto euro funzionerà» – vanno soppesate con cautela perché si basano su un solco di analisi recenti sull’urgenza di definire un 'Piano B' per l’Eurozona.
Circa un anno fa, avevamo anticipato le linee verso cui si stava dirigendo la Germania. L’occasione era stata fornita da una serie di incontri avuti da uno dei più autorevoli economisti tedeschi (e più stretto consigliere della Cancelleria), Hans-Werner Sinn, nel corso di un tour nelle maggiori capitali europee. Sinn andava in effetti in avanscoperta: prospettava una soluzione per la Grecia – allora considerato il «grande malato» – nella convinzione che iniezioni di aiuti non avrebbero curato il paziente infermo.
La soluzione era quella di trovare un 'percorso ordinato' per evitare che Atene uscisse dall’Ue (o ne venisse cacciata) e fare sì che per un periodo cambiasse alloggio: da inquilino 'moroso' dell’area dell’euro, entrasse cioé in quello Sme II in cui vivono comodamente Danimarca, Regno Unito, Svezia, Lettonia e Lituania – ciascuno con margini d’oscillazione tagliati su misura nei confronti dell’euro. La proposta è al centro di documenti che circolano tra le banche centrali ed i ministeri economici. Circa una settimana fa, gli aspetti più strettamente tecnico-economici della proposta sono stati approfonditi in un documento del Cesifo (il Working Paper numero 3845) dal titolo inequivocabile: 'L’Eurozona necessita di regole di uscita'. Ne sono co-autori un economista tedesco, Christian Fahrholz dell’Università di Jena, ed uno polacco, Cesar Wojcik dell’Università di Varsavia.
È verosimile che i governi della Repubblica Federale e della Polonia abbiano dato il nulla osta alla pubblicazione. In parallelo, Hall Scott dell’Università di Harvard ha diramato un’analisi giuridica molto puntuale ( Harvard Public Law Working Paper numero 12-16) su come fare il percorso in modo ineccepibile sotto il profilo del diritto internazionale.
Quasi in parallelo, uno dei padri dell’euro, Paul de Grauwe ha pubblicato, con l’economista asiatico Jumei Ji un lavoro ( Ceps Working Document
numero 366, 2012) in cui si sottolinea come l’Eurozona porta ad oscillazione degli spread ben superiori a quanto ci si aspetterebbe. La settimana scorsa, la stessa Banca mondiale, di solito molto cauta nel commentare le faccende europee (dato che l’Ue ha ancora il 30% dei diritti di voto e 5 componenti del consiglio d’amministrazione) ha diramato uno studio ancora inedito (il Policy Research Working Paper numero 6127) in cui Justin Lin dell’Università di Pechino e Volker Treichel del servizio studi dell’istituto documentano che l’euro ha aggravato la crisi del debito sovrano in Europa e la recessione di alcuni Paesi dell’area.
Il 17 luglio, dall’Università della Svizzera Italiana, è arrivato infine un lavoro del cattedratico elvetico più autorevole in materia di economia monetaria, Alvaro Cencini, in cui senza mezzi termini si afferma che all’origine dei mali dell’Italia c’è «una patologia »: il modo in cui è stato allestito l’euro. Senza riforme profonde (non solo dell’Italia, ma dell’intera Eurozona), secondo Cencini, non se ne esce. E gli italo-svizzeri spesso ci azzeccano: pensate a Vilfredo Pareto!
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Economisti di Harvard e della Banca mondiale al lavoro sulle ricette per un «percorso ordinato» di uscita dall’Eurozona: molti i 'paper' riservati
Il cancelliere Angela Merkel
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