DALLA GERMANIA/ Quattro
"pallottole" contro l’Italia
giovedì 26
luglio 2012
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Monaco di Baviera In questa calda estate 2012 siamo arrivati al “momento
della verità” per l’unione monetaria europea. Lo si percepisce a tutto tondo a
Monaco di Baviera, capitale dell’area con il reddito più capite più alto
dell’Unione europea e molto più influente sulle decisioni del Governo tedesco
di quanto normalmente si pensi: non solo a ragione del suo peso specifico
all’interno della Germania, e nell’ambito del partito che ha espresso Angela
Merkel come Cancelliere della Repubblica Federale, ma anche in quanto sono gli
istituti di ricerca economica con sede centrale a Monaco - specialmente il
CESifo - quelli a cui il Governo federale più si appoggia per analisi e
consigli.
Il rapporto dell’Istituto per il Nuovo Pensiero
Economico - una delle creature di George Soros - ha qui avuto una lettura della
situazione completamente differente da quella fatta a Madrid, a Roma, a Parigi
e, soprattutto, ad Atene (dove da oggi il Presidente della Commissione europea,
José Manuel Barroso, è in quella che potremo eufemisticamente chiamare una
“visita pastorale”). Il documento afferma che la “Ue è come una sonnambula che
cammina su un precipizio di dimensioni incalcolabili” e invita le economie più
forti (Germania, Olanda, Svezia, Austria) a una maggiore condivisione
dell’onere del riassetto nel breve periodo “per il benessere di tutti nel lungo
termine”: “senza un’adeguata risposta collettiva, l’euro si disintegrerà”.
Di tale disintegrazione vede i segni Harald Benink,
professore di banche e finanza all’università di Tilburg in Olanda e in visita
al CESifo (di cui è socio) in questi giorni: “Se la Grecia esce (dall’unione
monetaria) l’assunto di base dell’unione monetaria, ossia la sua
irreversibilità, è rotto una volta per tutte”. Ciò non vuole dire, però, che le
istituzioni europee e il Fondo monetario internazionale debbano accettare le
nuove proposte del Governo di Atene (un riscadenzamento degli impegni assunti
quando è stato definito l’ultimo programma di aiuti): “Se non osserva il
principio dell’inviolabilità dei contratti, i principi di base vanno ugualmente
a gambe all’aria”.
Cosa fare? In primo luogo, è sterile prendersela con
le agenzie di rating e imputare loro l’impennata degli spread. Al CESifo si
mostra un saggio, avvertendo che dovrebbe essere letto con maggiore attenzione
in Italia: il lavoro di Thomas Langner e Dodo zu Knyphausen-Aufsess a pp.
157-202 dell’ultimo numero della rivista Financial Markets, Institution and
Instruments. Il lavoro passa in rassegna 40 anni di ricerche economiche
sulle agenzie per concludere che, nonostante qualche “sporadico” errore, sono
stati utili guardiani del buon funzionamento del mercato dei capitali.
Non possono mancare riferimenti a come in Italia si
sia irriso il downgrading dei nostri titoli pubblici da parte di
Moody’s: le vicende di questi giorni provano che l’agenzia aveva ragione nello
stimare un deprezzamento delle obbligazioni italiane, anche per le ragioni
spiegate la settimana
scorsa su questa pagine.
Dalla differente percezione allora espressa su Moody’s
alla politica economica dell’Italia (argomento di cui si preferirebbe non
parlare) il passo è breve. Non si sa se lo si debba attribuire a qualche
vecchia ruggine degli anni in cui Mario Monti era Commissario europeo, ma,
parlando tra colleghi sia al CESifo, sia all’Università Tecnica di Monaco, il
giudizio sul Governo guidato dal Professore appare molto meno positivo di
quanto non dicano i comunicati ufficiali emessi in occasione di incontri
“bilaterali” a Roma o a Berlino. Queste le critiche:
- Il Governo ha solo un alone tecnico, ma in sostanza
è l’alibi di una “mini-coalizione” che lo tira da una parte all’altra e lo fa
restare immobile. In pratica, l’esecutivo non avrebbe dovuto mandare Ministri e
Sottosegretari a negoziare i singoli provvedimenti, ma presentarli avvertendo
che in mancanza di approvazione se ne sarebbe tornato a casa e sarebbero state
indette elezioni. Le troppo evidenti ambizioni politiche del Presidente del
Consiglio, di Ministri e anche di Sottosegretari paralizzano l’azione più di
quanto non faccia “la strana maggioranza”.
- Il programma di politica economica ha sinora
compreso unicamente aumenti delle imposte e rischia di tramutare la recessione
in grave depressione. Per le ragioni riassunte in precedenza, il “CresciItalia”
è stato annacquato e la tanto pubblicizzata spending review sta per fare
la stessa fine. Inoltre, non sono stati aggrediti i costi dell’apparato
politico: Monti & Co. avrebbero dovuto dare il buon esempio, mettersi gratis
al servizio del Paese (come in condizioni analoghe fece De Gaulle) e indurre
così il Parlamento a una drastica riduzione dei costi.
- Quel che è più grave, l’esecutivo pare senza
bussola. Ove avesse una direttrice chiara non si comprenderebbe perché si
respingono gli apporti (e la vigilanza) della Commissione europea, della Banca
centrale europea e del Fondo monetario internazionale o perché non si supporta
apertamente il programma di unione fiscale e vigilanza europea e la cessione di
sovranità che esso implica.
- I timori di un’imposta patrimoniale straordinaria o
ancora peggio di un’uscita dall’euro stanno accelerando la fuoruscita legale di
capitale verso banche della Baviera (e non solo), rendendo ancora più difficile
un’eventuale ripresa degli investimenti.
La diagnosi, quindi, è inquietante. Previsioni? Pur se
tutti sono cauti, appare chiaro che si aspetta con ansia un Governo frutto di
elezioni che possa prendere in mano la situazione dell’Italia. Sperando che sia
ancora nell’unione monetaria.
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