OPERA/
Quell'Offenbach "ridotto" proposto al Festival di Monaco
sabato
28 luglio 2012
Un
momento dello spettacolo
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Il Festival di Monaco ha una caratteristica che lo accomuna
con il Festival delle Notti Bianche di San Pietroburgo: nelle ultime cinque
settimane dell’anno, prima delle ferie estive, vengono riproposti gli
spettacoli che hanno avuto maggior successo di critica e di pubblico.
Quest’anno, il piatto forte è stata “L’Anello del Nibelungo”, ma vedere e
ascoltare le quattro opere richiedeva un soggiorno di un’intera settimana nella
capitale della Baviera. Quindi, avendo a disposizione tre giorni per tre opere,
abbiamo scelto di recensire “Les contes de Hoffmann” di Jacques Offenbach
perché poco nota in Italia (anche se negli ultimi dieci anni la si è vista a
Roma, a Macerata ed alla Scala), ma è un lavoro inquietante ancor più che
ambiguo che merita attenzione. E’ l’ultima composizione per la scena del
maestro dell’operetta francese, che era diventato ricco e famoso grazie al
successo di capolavori del teatro leggero (soffuso di satira politica e
sociale) quali “Orphée aux Enfers” e “La belle Helène”. E’ anche la prima ed
opera vera composta da Offenbach, rimasta mai completata a ragione della sua
prematura morte. Più che incompiuta, “Les contes de Hoffmann” è stata lasciata
in un’edizione ridotta, e in parte spuria, per le esigenze de l’Opéra Comique,
dove un enorme successo in una versione che, con pochi adattamenti, è stata
rappresentata sino alla metà degli Anni Settanta quando, ritrovati alcuni
manoscritti, venne approntata l’edizione critica. Quest’ultima risultò di difficile,
ove non impossibile, realizzazione scenica a ragione, se non altro, di quella
che sarebbe stata la durata. Quindi, le produzioni (in teatro ed in disco) sono
di norma varie contaminazioni delle versioni pubblicate dalla fine
dell’Ottocento al 1934 con l’edizione critica del 1977. Non si tratta di un
problema solo o principalmente filologico in quanto variano interi passaggi ed
il peso relativo dei personaggi tanto che ad ogni edizione “Les contes” sembra
un’opera nuova. Ma le chiavi di lettura cambiano in misura significativa.
Mentre nelle versioni rappresentante sino alla fine degli Anni Settanta, “Les
contes” aveva, nonostante il finale amaro, il tono di un’opera leggera, ove non
quasi di un’operetta (almeno sino alla metà del secondo atto), l’edizione
critica è apparsa drammatica, con passi cupi e temi demoniaci. Qualcosa di ben
diverso, quindi, di un “piccolo Faust” da Terza Repubblica. Un lavoro è tanto
più inquietante in quanto può essere presentato e compreso in modi molto
differenti.
L’apologo di Hoffmann (pittore, poeta scrittore e
musicista della Prussia della prima metà dell’Ottocento), delle sue
quattro donne, della musa/ispiratrice di lui innamorata e del mefistofelico
deuteragonista (che lo sconfigge ad ogni occasione) viene frequentemente letto
come quello dell’incapacità di relazioni vere e di una vita trascorsa in
rapporti interinali inconcludenti. Spesso il protagonista è presentato come
uomo giovane ed attraente. Per molti aspetti ricorda un bel racconto di Ernest
Hemingway sullo stesso tema- “Le nevi del Kilimajaro”. Il protagonista ,
ammalato, ricorda storie di amore inconcludenti. Nell’edizione in scena a
Monaco (una coproduzione con l’English National Opera di Londra), Richard Jones
porta l’azione in un’epoca imprecisata della prima metà del Novecento. Hoffmann
corteggia Stella , soprano di successo, ma mentre lei è impegnata nel “Don
Giovanni”, si ubriaca di birra nella taverna accanto al teatro e si ricorda
delle sue donne precedente: Olimpia- la amò alla follia per accorgersi che era
un automa; Antonia, ammalatissima tanto che l’amore la fa perire; Giulietta,
affascinante ma essenzialmente una prostituta che vive in un mondo di
malaffare. Ciascuna delle tre (pure la bambola) lo tradisce. E al termine del
“Don Giovanni”, Stella da un’occhiataccia all’ubriaco e se ne va con un signore
elegante. Belle le scene di Giles Cadle ed i costumi di Buki Shiff. Rolando
Villazón è il vero mattatore della serata: canta, danza e salta da una parte
all’altra del palcoscenico. Un po’ stanco all’inizio della terza parte si è
ripreso nel duello con Giulietta. Di grande livello, Angela Brower , il suo
allievo e, al tempo stesso, sua musa. Brenda Rae (Olimpia) affascina con i suoi
vocalizzi, Olga Mykytenko (Antonia) è un soprano drammatico di livello, Anna
Virovlansky è una Giulietta tenerissima (nonostante la professione). John
Relyea interpreta i quattro rivali che hanno sempre la meglio sul povero
Hoffmann. Grande successo, resterà a lungo in cartellone a Monaco e a Londra.
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