Statali
Prima dei tagli servirà un riassetto interno
DI GIUSEPPE PENNISI
U no dei temi più ostici di questa spending review è certamente quello dei tagli all’impiego pubblico e, in particolare, come rivedere, nell’arco di pochi mesi, le 'piante organiche' della pubbliche amministrazioni. Argomento che assilla milioni di dipendenti pubblici, poiché dalle nuove 'piante' dipenderà chi resta e chi verrà invece, in vario modo, costretto a uscire.
Sono stati annunciati due obiettivi: ridurre il numero degli uffici dirigenziali (e dei dirigenti) del 20% ed il totale del pubblico impiego del 10%. È anche apparso e sparito, più volte, un parametro quasi sussurrato più che pronunciato: giungere ad un dirigente pubblico ogni 40 dipendenti circa. Sono obiettivi fattibili? Per rispondere, occorre chiedersi , in primo luogo, quanti sono i dipendenti pubblici e quali sono le tendenze (se alla crescita od alla diminuzione).
Non è facile dare una risposta data la molteplicità delle fonti statistiche non sempre basate su definizioni coerenti o tra loro compatibili. Grosso modo, oggi i dipendenti pubblici sono circa 3,4 milioni (ossia uno ogni 6 italiani), un indicatore non certo eccessivo se confrontato con quello della vicina Francia (la cui popolazione ha una dimensione analoga alla nostra) in cui il pubblico impiego è composto di 5,4 milioni di persone e assorbe il 14% del Pil (rispetto all’11% circa in Italia). Tuttavia, mentre dal 1990 al 2000, la 'macchina pubblica' italiana si è snellita (il numero dei dipendenti è diminuito del 4%), dall’inizio del nuovo secolo si è ingrossata (sono aumentati gli addetti) ed è ingrassata (hanno preso a costare di più, specialmente l’alta dirigenza) proprio mentre il settore privato di produzione di beni e servizi ristagnava o, dal 2007 circa, si contraeva.
Due determinati paiono avere inciso in gran misura: anzitutto lo spoil system che ha portato ad una frammentazione degli organici e alla proliferazione degli uffici dirigenziali. E poi lo spezzettamento di competenze derivante dalla revisione del Titolo V della Costituzione. Questi fattori si sono poi innestati sulla secolare tendenza ad avere ufficio sguarniti al Nord e personale pletorico al Sud. Nei 15 anni passati alla Scuola superiore della pubblica amministrazione, ad esempio, mi sono spesso chiesto perché la sede di Reggio Calabria avesse il triplo del personale di quella di Bologna, nonostante l’attività didattica nella città felsinea fosse più del doppio di quella svolta nella città sullo Stretto.
Si può porre rimedio a queste distorsioni senza causare troppe sofferenze? In primo luogo, in molte amministrazioni il 20-25% delle posizioni dirigenziali sono in realtà 'scoperte' e i compiti svolti dai cosiddetti 'f.f.' (facenti funzioni). Inoltre, l’anzianità di servizio media dei dipendenti pubblici sfiora i 35 anni e circa due terzi dei dirigenti superano i 60 anni di età. Questi dati suggeriscono che il riassetto delle 'piante' è fattibile, senza che nessuno muoia in trincea per difendere quelle varate negli ultimi dieci anni.
E il ventilato parametro di 40 dipendenti per un dirigente? Il Commissario Bondi certamente sa che è appropriato per la produzione di beni e servizi omogenei e di massa (ad esempio, quelli forniti da 'sportelli unici') non però per la parte più prettamente pensante dell’amministrazione, dove sino ad ora nessuno ha indicato un parametro migliore di dieci funzionari per dirigente ricavato decine di anni fa da Daniel Bell, a lungo professore di management alla Università di Harvard.
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In molte amministrazioni manca già oggi il 20% dei dirigenti e le piante organiche sono da rivedere Il vero problema sono le duplicazioni di funzione e gli organici squilibrati tra uffici al Nord e al Sud
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