FINANZA E POLITICA/
"L'occasione persa" per l'Europa
Pubblicazione:
lunedì 14 marzo 2016
Infophoto
Approfondisci
NEWS Economia e Finanza
Nel fine
settimana, i commentatori economici hanno posto la loro attenzione sulle misure
approvate dalla Banca centrale europea il 10 marzo e sull’avvicinarsi del
referendum in Gran Bretagna sulla permanenza o meno nell’Unione europea. I due
temi sono stati trattati separatamente, mentre, a mio avviso, c’è un nesso
forte che pochi sembrano avere colto. Da un lato, le misure specifiche varate
dalla Bce contengono una notevole prova di innovazione, specialmente nella
condizionalità posta agli istituti di credito di poter fruire delle nuove
agevolazioni della Banca dell’euro con sede a Francoforte, unicamente se, a
loro volta, si adopereranno per fare giungere la liquidità alle imprese (al
fine di attivare capacità produttiva e occupazione) e alle famiglie (al fine di
incrementare i loro consumi). È una prova di innovazione forse tardiva (negli
Stati Uniti misure analoghe sono state prese nel 2008). Quindi, rappresenta,
più che un bazooka, un’ultima spiaggia. Se non avrà gli effetti sperati,
la flebo di marca Bce non risveglierà l’Europa dal suo letargo che sembra
avviarla sulla via di una nuova “stagnazione secolare”. La responsabilità non
cadrà sull’istituto di Francoforte, ma sui Governi, la società civile, i gruppi
di pressione che hanno procrastinato urgenti riforme economiche, in certi casi
per gingillarsi con riforme istituzionali (tali comunque da rallentare
l’economia). Si perderebbe l’occasione offerta dall’ultima spiaggia.
Da un altro
lato, la trattativa tra il Governo di Sua Maestà britannica e il resto dell’Ue
è già stata un’occasione tristemente perduta. È stata condotta in modo caotico
e in tempi molto stretti . Si è conclusa in una maniera che potrebbe contagiare
altri Stati insofferenti di vari aspetti dell’Ue, e particolarmente colpiti
dalla stagnazione economica e dalla dilagante disoccupazione (soprattutto
giovanile). Mentre sarebbe potuta essere una “finestra di opportunità” per un
effettivo scambio politico. Da un canto, i punti fondanti sollevati dal
Regno Unito avrebbero rafforzato il ruolo dei Parlamenti nazionali nella
costruzione europea (oggi sono ridotti a meri ratificatori di provvedimenti di
cui spesso non percepiscono il significato - come nei casi del bail-in delle
banche e dei ritardi dei pagamenti dei mutui per l’edilizia residenziale).
Dall’altro, le richieste in materia di welfare avrebbero potuto essere viste
come un grimaldello per individuare elementi comuni di stato sociale europeo
(essenziale per la mobilità del lavoro). L’Eurogruppo avrebbe poi potuto
chiedere al Regno Unito, in cambio delle concessioni richieste, un supporto
indiretto a favore di quell’unione monetaria di cui non fa parte (ad esempio,
con un impegno per il mercato unico dei capitali).
In sintesi,
si sarebbe proposta un’Europa non solo a passi differenziati (lo è già e
verosimilmente lo diventerà ancora di più nel prevedibile futuro), ma con un
doppio binario. Uno più vasto geograficamente diretto verso un minimo comun
denominatore nel sociale e uno più ristretto su un approfondimento dell’unione
monetaria. La sostituzione del binario unico con il doppio binario è sempre
stata considerata come uno dei passaggi decisivi verso la modernizzazione delle
infrastrutture.
Viene spesso
obiettato che le tradizioni storico-culturali rendono impossibile quel minimo
comun denominatore sociale (che ha portato la Gran Bretagna a chiedere clausole
tali da discriminare, per sette anni, cittadini della stessa Unione). Cogliere
la finestra di opportunità sarebbe potuto essere semplice: oltre un terzo della
spesa pubblica degli Stati Ue va nel sociale e circa la metà riguarda la
previdenza (una proporzione destinata ad aumentare a ragione
dell’invecchiamento della popolazione). Si sarebbe potuti partiti da
un’uniformazione di base (pur tenendo conto di specifiche differenze storico
culturali), adottando come architrave il sistema Ndc (Notional Defined
Contribution - o “contributivo”) iniziato in Italia e Svezia nella
primavera 1995 e diffusosi in molti paesi neo-comunitari (specie quelli
dell’Est dove i sistemi previdenziali erano quasi non esistenti).
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento