L’impresa in politica per contrastare la mediocrazia

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di Giuseppe Pennisi

Da circa un decennio due studiosi italiani trapiantati negli Stati Uniti, Andrea Mattozzi (del California Institute of Technology) e Antonio Merlo (della University of Pennsylvania), studiano la Mediocracy (“Mediocrazia- ossia il potere dei mediocri”) . Fondamentale il loro saggio uscito come  NBER Working Paper No. W12920. È un’analisi teorica , ma Mattozzi e Merlo non nascondono di averla basata sul “caso Italia”. La ricerca studia i metodi reclutamento iniziale nei partiti e costruisce un modello di reclutamento politico in cui i partiti sono in concorrenza con le imprese e le lobby dell’industria, della finanza, del commercio e via discorrendo. Anche ove i partiti potessero avere la prima di scelta (le imprese e le lobby pagano di più ed offrono carriere più stabili), decidono di reclutare i mediocri al fine di evitare che i loro leader siano minacciati, o meglio insidiati, dall’interno.
Secondo Francisco J. Gomes (London Business School), Laurence Klotikoff (Boston University) e Luis M. Viceira (Harvard Business School) ciò è all’origine del fenomeno che denominano “The Excess Burden of Government Indecision” (“Il peso eccessivo dell’indecisione dei Governi”) pubblicato come NBER Working Paper No. W12859. La mediocrità ha come conseguenza la tendenza a procrastinare quando si devono dare soluzioni a problemi di politica pubblica. Ciò genera un onere molto forte sulla collettività.
Un nuovo studio quantitativo abbraccia i Paesi OCSE. Ne sono autori Bernd Hayo e Florian Neumeier ambedue della Università di Marburg in Germania. È uscito nell’ultimo numero di “Economics and Politics” (Vol, 28, No. 1 2016, pp,55-78) con il titolo Political Leaders “Socioeconomic Background and Public Budget Deficits; Evidence from OECD Countries”. L’analisi si basa su dati di 21 Paesi OCSE nel periodo 1980-2008. In breve, lo status socio-economico dei decisori politici ad alto livello (Presidenti, Primi Ministri) ha un impatto sulle decisioni di bilancio. In sintesi, nei Paesi in cui i governi sono guidati da politici provenienti da “fasce basse” di reddito ed istruzione il rapporto deficit-Pil supera di 1,6 punti percentuali quello che prevale in Paesi guidati da imprenditori ad alto reddito dedicatisi alla  politica.
*Presidente del board scientifico di ImpresaLavoro